Emissioni: i vecchi protocolli permettevano di barare

Le normative non proprio precise e metodi di misurazione sicuramente non così efficaci permisero per anni a chiunque di poter barare o falsificare i dati sulle emissioni inquinanti e nocive durante le fasi di omologazione.

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Era una situazione quanto mai palese a tutti, anche ai meno esperti e attenti figuriamoci agli addetti del settore, che i dati di consumo ed emissione, dichiarati dalle Case costruttrici, fossero quanto mai distanti dalla realtà. Nessuno di noi, nemmeno l’automobilista con la guida più accorta ed ecologica, è mai riuscito a replicare i consumi medi dichiarati da qualsiasi Brand automotive e lo stesso risultato si sarebbe ottenuto se fossimo stati in grado di misurare anche le emissioni, rilasciate dagli scarichi delle nostre vetture, durante un qualsiasi utilizzo reale del veicolo in strade aperte al pubblico.

Ma perché tutta questa discrepanza? Beh in primis vi erano sicuramente normative e cicli di omologazione blandi e non proprio veritieri perché poco affini a un reale utilizzo del mezzo in strada. Il precedente ciclo di omologazione, il ben noto NEDC, era, infatti, una prova che veniva eseguita unicamente in laboratorio, su un banco a rulli e sotto ben determinate condizioni per così dire ideali. Condizioni idilliache molto diverse però da quelle che incontriamo tutti i giorni nel comune utilizzo stradale in mezzo al traffico e con tutte le reali condizioni e variabili che possono influenzare tale dato.

Insomma a essere sbagliate erano sia le norme, quanto i metodi di rilevamento e gli strumenti utilizzati per rilevare i risultati di tali test. Da scaturirono però notevoli discrepanze con la realtà che portarono persino numerosi automobilisti a fare causa alle Case automobilistiche dopo aver rilevato una netta differenza tra i dati dichiarati e quelli realmente ottenuti con la propria vettura. Purtroppo però la questione non si limitava solamente a una netta differenza tra quanto dichiarato e quanto realmente rilevato in strada ma, stando ad alcune indiscrezioni, il vecchio metodo di omologazione permetteva proprio a qualche “furbetto” di poter persino barare o falsificare i dati sulle emissioni inquinanti e nocive durante le fasi di omologazione.

In prima istanza nessun altro ente, neanche indipendente, si era mai preso la briga di andare a verificare tali dati per capire se fossero corretti o meno. In secondo luogo nessun altro centro prova poteva contestare l’omologazione ottenuta in qualunque centro prove abilitato della UE. In terza istanza nessuna prova reale su strada era consentita per verificare che qui valori ottenuti in laboratorio fossero gli stessi di quelli ottenibili in strada. In ultima analisi a qualsiasi costruttore era consentito di spegnere i sistemi di post trattamento e le sonde per la rilevazione degli inquinanti in tutte quelle fasi esterne al ciclo di omologazione NEDC che, come ben saprete, aveva una affinità con la realtà davvero pessima.

Ora non solo è stato introdotto il nuovo ciclo di omologazione WLTP, molto più affine alla realtà, ma è stata inserita anche la prova su strada aperte al traffico (RDE) tramite i sensori portatili (PEMS). Nello stesso tempo, per rientrare nelle nuove normative, le vetture dovranno rispettare i limiti delle emissioni anche durante il loro ciclo di vita e cioè ben oltre i 100.000 chilometri percorsi, cercando di mantenere il più possibile una buona efficienza e un buono stato di tutto l’impianto di trattamento de gas di scarico. Come se non bastasse Bruxelles ha giusto di recente introdotto nuove regole che impongono ai Paesi membri della UE di effettuare controlli a campione su una vettura ogni 40.000 vendute nell’anno precedente e che il 20% di tali controlli devono riguardare le emissioni. Nello stesso tempo la stessa Commissione Europea avrà il potere di sindacare su tali controlli mediante la conduzione di test per verificare la conformità dei veicoli, nonché di imporre richiami alle Case e di sanzionarle in caso di irregolarità (fino a 30.000 euro per vettura).

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