20 November 2021

Osca GT 1600 Touring, sofisticata sportiva

Linea pulita, ampie superfici vetrate, eleganza moderna ed aggressiva: la Osca 1600 GT appare come una tipica Gran Turismo all’italiana, pur se di piccole dimensioni e un poco appesantita da alcune soluzioni stilistiche...

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Sofisticata sportiva Linea pulita, ampie superfici vetrate, eleganza moderna ed aggressiva: la Osca 1600 GT appare come una tipica Gran Turismo all’italiana, pur se di piccole dimensioni e un poco appesantita da alcune soluzioni stilistiche tipicamente da Salone, come denuncia l’elaborato frontale.

La cifra stilistica si ritrova tutta la storia della Carrozzeria milanese in quest’auto rimasta esemplare unico, fin troppo bella per avere successo. Una meravigliosa utopia Anni 60, restaurata nel pieno rispetto del suo linguaggio, in cui si mescolano le tradizioni modenese e milanese.

È una splendida mattina d’inverno, col freddo pungente ma col sole che brilla, la luce tagliente e le ombre nette, quando il portone del garage-museo si apre e mormorando con voce sommessa ma profonda esce la Osca 1600 GT Touring. Minuta e graziosissima, appena la luce del sole la raggiunge, si anima di nuova vita: il blu-celeste metallizzato che avevamo ammirato alla luce artificiale si trasforma in un verde acqua meraviglioso, compatto e morbido, che la disegna in modo perfetto.

Sarà la magia di quel cielo di Lombardia, così bello quand’è bello, così splendido, così in pace, come scriveva Alessandro Manzoni, ma l’emozione nel vederla dal vivo è veramente grande. Questa Osca è un piccolo capolavoro, chissà perché poco capito ed apprezzato all’epoca della presentazione.

La mattina del 23 Ottobre 1961, all’apertura del 43° Salone Internazionale dell’Automobile di Torino, il pubblico non trova grandi novità su cui soffermarsi, se non la Lancia Flavia Coupé e le sorprese Renault 4 e Simca 1000, di cui era già apparsa qualche anticipazione sulla stampa specializzata. Auto quest’ultime interessanti sì, ma pur sempre utilitarie, buone per sostituire la vetusta 600 senza spendere un patrimonio (sono i primi vantaggi dell’apertura del MEC, il Mercato Comune Europeo) ma non certo per sognare ad occhi aperti.

A scatenare la fantasia sono come al solito i Carrozzieri italiani, sempre molto fecondi di idee e pronti a vestire le varie meccaniche disponibili, in maggioranza Fiat ovviamente, ma spesso anche quelle più prestigiose.

È la scelta che ha fatto Touring, che, nonostante sia già impegnatissima in quegli anni con le fortunate Flaminia GT e Maserati 3500 GT, ha deciso di lavorare anche sull’interessante telaio tubolare prodotto dalla OSCA, fondata nel 1947 dai fratelli Maserati. È un telaio di taglio decisamente sportivo, piccolo e leggero, caratterizzato dalle sospensioni a ruote indipendenti e dai freni a disco sulle quattro ruote. È equipaggiato con un 1600 bialbero, evoluzione del glorioso quattro cilindri montato sulla MT4, disponibile ora in tre versioni: con un carburatore Weber 34/22 doppio corpo, con due doppio corpo - sempre Weber - da 38 e, nella versione più spinta, con due grossi doppio corpo da 42/45 sempre della stessa marca. Le potenze sono rispettivamente di circa 90, 115 e 125 Cv.

Un anno prima, alla fine del 1960, Zagato aveva presentato per quel telaio la sua proposta, un coupé essenziale, corto e grintosissimo pensato quasi esclusivamente per le competizioni. In poco più di due anni ne produrrà 98 esemplari, montando anche l’ultima evoluzione a doppia accensione del bialbero, per una potenza massima di circa 140 Cv. L’interpretazione di Touring è invece più tranquilla, da sportiva-chic, quindi la motorizzazione scelta è quella più “morbida”, mono carburatore.

La Osca 1600 GT disegnata da Touring si presenta al pubblico come una piccola ma sofisticata GT, di un bellissimo blu-celeste metallizzato, ricercata nella linea e ancora più nei particolari estetici e di finitura. È con ogni evidenza una tipica auto da Salone, pensata per affascinare sì ma ancora di più per stupire. Ma l’essenza è quella giusta, tipicamente Touring: una Gran Turismo moderna, luminosa, con le proporzioni armoniose e quell’aria vagamente snob perfetta per renderla ancora più intrigante.

Le soluzioni estetiche sono ardite, non passano inosservate. Se, visto di lato, il pulito andamento della fiancata è molto tranquillizzante, colpisce invece il disegno del padiglione e in modo particolare il taglio del lunotto: non è infatti convesso come di consuetudine, ma concavo e alto, addirittura panoramico. Non è una novità, la stessa Touring aveva già sperimentato una soluzione analoga sull’Alfa Romeo 2000 Praho, presentata un anno prima.

Ma qui le differenti proporzioni conferiscono maggiore importanza a quest’azzardo, dando un’impronta particolarissima all’intera vettura. La coda è massiccia ma ben modellata, con il complesso gruppi ottici - paraurti decisamente vistoso ma di pregevole fattura. Anche il frontale non scherza: è molto ben proporzionato, con impronta analoga a quella della coda, ricorda per certi versi quello della Pegaso Z102, ma è ricco di particolari insoliti, come l’elaborata griglia del radiatore anteriore e i due mozziconi laterali di un paracolpi in realtà inesistente. Con i due grossi fari protesi in avanti e la presa d’aria supplementare sul cofano motore, la piccola Osca dimostra subito il suo carattere di coupé elegante e grintoso.

L’interno è superbamente rifinito, con la pelle ovunque, sui sedili, sul cruscotto, sui pannelli porta, persino sul padiglione e negli inserti dei montanti laterali. Ma il particolare più appariscente è l’ingegnosissimo e complicato meccanismo pivotante per alloggiare ed estrarre la ruota di scorta: ufficialmente è stato studiato per non togliere spazio al bagagliaio e non essere costretti a svuotarlo in caso di necessità; in realtà è un modo come un altro per stupire il visitatore con i famosi effetti speciali.

Il pubblico osserva, pur interessato, e se ne va, la stampa specializzata resta abbastanza fredda e non apprezza più di tanto, l’Osca, già alle prese coi suoi problemi finanziari che porteranno alla cessione dell’azienda un paio d’anni dopo, non dà alcun seguito al progetto. La Touring, dal canto suo, espone senza entusiasmo un secondo esemplare, verniciato di nero, e tutto finisce lì. Composte proporzioni Come spesso accade nella vita, e per le opere d’arte in particolare, il tempo restituisce con gli interessi quello che in passato è stato negato. In questo caso il merito è anche di Corrado Lopresto, collezionista specializzato in prototipi e numeri unici, notissimo e soprattutto stimato in tutto il mondo per la sua particolare filosofia legata al concetto di restauro conservativo. Il lavoro suo e dei suoi abilissimi collaboratori ha portato ancora una volta ad un risultato straordinario.

Oggi l’Osca 1600 GT di Touring è qui, viva e vegeta, in tutta la sua straniante bellezza, a dimostrare che nonostante alcune eccentricità ed ingenuità dettate dall’ansia di ben figurare, è pur sempre il frutto di un talento creativo di notevole spessore. Già detto dell’indovinatissima colorazione, quello che balza agli occhi osservandola è la modernità del disegno e il pregio delle soluzioni estetiche. Anzi, c’è qualcosa d’altro che va sottolineato. Le piccole esagerazioni, che indubbiamente esistono, scompaiono del tutto di fronte all’eleganza complessiva della macchina, molto composta nelle sue proporzioni. È un oggetto molto bello, che nasconde pregi degni di attenzione.

I volumi sono armonici e mimetizzano bene l’evidente caratteristica del telaio, dettata da esigenze di equilibrio dinamico e corretta distribuzione dei pesi: il gruppo motore-cambio è piuttosto arretrato rispetto all’asse anteriore, e questo causa anche un generale arretramento dell’abitacolo. Di conseguenza lo sbalzo anteriore è molto contenuto, mentre quello posteriore è piuttosto accentuato. È, questa, una caratteristica tipica del design Touring, che dona una particolare eleganza. Nel padiglione, oltre al già citato lunotto concavo, spicca l’ampiezza della superficie vetrata, un’anticipazione di quella che sarà una moda generalizzata a partire dalla metà degli anni ’60.

Come non pensare, per esempio, alla Mercedes 230SL, la famosa Pagoda? Il taglio del parabrezza e dei finestrini laterali conferisce un aspetto da Gran Turismo importante, con la promessa di un abitacolo luminoso e confortevole e un aspetto molto signorile. La fiancata pulita e levigata, che incornicia i bei cerchi in lega Amadori, sostiene il padiglione con armonia, sottolinea per contrasto l’elaborato frontale e accompagna bene la coda, molto presente e morbidamente arrotondata. E qui l’occhio attento si ferma sul leggero diedro che caratterizza il cofano del bagagliaio: è appena accennato, ma conferisce quel pizzico di leggerezza che ingentilisce il tutto. Tenere tutto Un risultato di restauro così appagante è stato reso possibile anche dalla assoluta originalità della macchina, trovata integra e completa di tutte le sue parti.

Fu acquistata nuova a Genova nel 1962, per poi passare in proprietà ad una signora di Pesaro che la ricevette in eredità dal marito. Durante lo smontaggio è emersa la verniciatura originale, di una colorazione piuttosto diversa rispetto a quella con cui era stata “velata”. Separata la meccanica dal telaio, la scocca è stata risanata nei pochi punti che meritavano attenzione, con tutta la cautela e la perizia che l’alluminio e il sistema costruttivo Superleggera richiedono per il corretto ripristino. Gli interni fanno capitolo a sé. Si presentavano logorati, come naturale che fosse visto che si sta parlando di un’auto di quasi sessant’anni fa. Ma qui interviene d’imperio la “filosofia Lopresto”.

Di sostituire i materiali non se ne parla: gli artigiani coinvolti vengono incaricati di smontare, pulire, cucire, riparare dove serve e rimontare tutti i rivestimenti di pelle o di moquette; la minuteria è pulita e ricromata se necessario, persino il complesso meccanismo di estrazione della ruota di scorta viene rimesso in efficienza ma mantenuto esattamente com’era, guaina di copertura della ruota compresa. Il risultato è sorprendente. Si apprezza la cura con cui sono stati studiati all’epoca gli abbinamenti di materiali e colori, in piacevole contrasto con la colorazione delle parti metalliche comune a quella dell’esterno.

La pelle di un bel rosso fondo alternato all’avorio domina sovrana, oltre che sui sedili e sui fianchetti anche sul cruscotto, completamente rivestito, sul cielo e persino all’interno dei fori circolari che caratterizzano i montanti dell’abitacolo (alleggerimento…) e i supporti dei sedili. La moquette sul pavimento e sul tunnel di trasmissione denuncia tutta la sua età, ma è un piacere constatare l’attenzione con cui è stata conservata.

Gli strumenti sul grande cruscotto sono gli Jaeger tipici delle auto sportive dell’epoca, bellissimi e perfettamente leggibili, la leva del freno a mano è cromata e comodissima da azionare, la leva del cambio perfettamente posizionata. Tutto fa capire come il grado di finitura fosse estremamente elevato, come si conviene ad un’auto esclusiva, presentata in esemplare unico ad un Salone internazionale e destinata nelle intenzioni ad un pubblico d’élite. Meccanica da corsa Un telaio con caratteristiche così spiccatamente sportive doveva necessariamente essere abbinato ad una meccanica di razza. Così è stato in effetti.

Il 1600 bialbero è, come si diceva, di nobili origini: ha infatti un glorioso passato sportivo sulle Osca Sport MT4 degli anni ’50, ed è stato successivamente adattato alla produzione di serie grazie anche alla collaborazione con Fiat, che l’ha montato sulle sue 1500 Cabriolet. Qui è nella sua versione più tranquilla, ma ha riacquistato in pieno la brillantezza dei suoi tempi migliori dopo una revisione completa, curata nei minimi particolari da Fabio Verin, da molti anni collaboratore di fiducia di Corrado Lopresto.

Lo stesso trattamento è stato riservato al cambio, a tutte le masse sospese e all’impianto elettrico. Oggi la Osca 1600 GT è perfettamente funzionante e piena di brio. Una rapida esperienza di guida ci regala sensazioni estremamente piacevoli. L’abitacolo è accogliente e luminoso, piccolo ma molto confortevole. Il grande volante Nardi d’ordinanza è verticale e ben posizionato, così come la pedaliera e la leva del cambio. La posizione di guida è a braccia raccolte e gambe allungate, molto efficace per una condotta spigliata.

All’accensione il motore è pronto, con un bel rumore secco e una tonalità di scarico profonda. Sale in fretta di giri, preferisce girare allegro e lo accontentiamo volentieri, anche se con grande prudenza. Più che la potenza la sua dote migliore è la brillantezza, con una bella capacità di ripresa ai regimi medi. L’essere una “Superleggera” in questo aiuta molto, così come nella maneggevolezza e nella rapidità di risposta. I freni a disco Girling sulle quattro ruote sono superbi per l’epoca, solo un po’ duri per la mancanza del servofreno ma perfettamente modulabili. Il cambio, un quattro marce di provenienza Fiat, è onesto e consente cambiate rapide ed agevoli. Il piacere di guida è notevole, lo sterzo non è direttissimo ma è abbastanza preciso, le sospensioni sono belle rigide, appena ammorbidite dalla pressione degli pneumatici tenuta prudenzialmente un poco bassa, sulle 1,5 atmosfere, perfette per sentire la coda in uscita dalle curve strette.

Il profumo della pelle, le lievi esalazioni di benzina e la sonorità piena regalano sensazioni molto appaganti: quando a fine prova scendo dalla macchina e ammiro ancora una volta le sue linee così personali e così seducenti, mi vien da pensare a quanto sia facile purtroppo perdere per strada anche le idee più belle.

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