Come non pensare, per esempio, alla Mercedes 230SL, la famosa Pagoda? Il taglio del parabrezza e dei finestrini laterali conferisce un aspetto da Gran Turismo importante, con la promessa di un abitacolo luminoso e confortevole e un aspetto molto signorile. La fiancata pulita e levigata, che incornicia i bei cerchi in lega Amadori, sostiene il padiglione con armonia, sottolinea per contrasto l’elaborato frontale e accompagna bene la coda, molto presente e morbidamente arrotondata. E qui l’occhio attento si ferma sul leggero diedro che caratterizza il cofano del bagagliaio: è appena accennato, ma conferisce quel pizzico di leggerezza che ingentilisce il tutto. Tenere tutto Un risultato di restauro così appagante è stato reso possibile anche dalla assoluta originalità della macchina, trovata integra e completa di tutte le sue parti.
Fu acquistata nuova a Genova nel 1962, per poi passare in proprietà ad una signora di Pesaro che la ricevette in eredità dal marito. Durante lo smontaggio è emersa la verniciatura originale, di una colorazione piuttosto diversa rispetto a quella con cui era stata “velata”. Separata la meccanica dal telaio, la scocca è stata risanata nei pochi punti che meritavano attenzione, con tutta la cautela e la perizia che l’alluminio e il sistema costruttivo Superleggera richiedono per il corretto ripristino. Gli interni fanno capitolo a sé. Si presentavano logorati, come naturale che fosse visto che si sta parlando di un’auto di quasi sessant’anni fa. Ma qui interviene d’imperio la “filosofia Lopresto”.
Di sostituire i materiali non se ne parla: gli artigiani coinvolti vengono incaricati di smontare, pulire, cucire, riparare dove serve e rimontare tutti i rivestimenti di pelle o di moquette; la minuteria è pulita e ricromata se necessario, persino il complesso meccanismo di estrazione della ruota di scorta viene rimesso in efficienza ma mantenuto esattamente com’era, guaina di copertura della ruota compresa. Il risultato è sorprendente. Si apprezza la cura con cui sono stati studiati all’epoca gli abbinamenti di materiali e colori, in piacevole contrasto con la colorazione delle parti metalliche comune a quella dell’esterno.
La pelle di un bel rosso fondo alternato all’avorio domina sovrana, oltre che sui sedili e sui fianchetti anche sul cruscotto, completamente rivestito, sul cielo e persino all’interno dei fori circolari che caratterizzano i montanti dell’abitacolo (alleggerimento…) e i supporti dei sedili. La moquette sul pavimento e sul tunnel di trasmissione denuncia tutta la sua età, ma è un piacere constatare l’attenzione con cui è stata conservata.
Gli strumenti sul grande cruscotto sono gli Jaeger tipici delle auto sportive dell’epoca, bellissimi e perfettamente leggibili, la leva del freno a mano è cromata e comodissima da azionare, la leva del cambio perfettamente posizionata. Tutto fa capire come il grado di finitura fosse estremamente elevato, come si conviene ad un’auto esclusiva, presentata in esemplare unico ad un Salone internazionale e destinata nelle intenzioni ad un pubblico d’élite. Meccanica da corsa Un telaio con caratteristiche così spiccatamente sportive doveva necessariamente essere abbinato ad una meccanica di razza. Così è stato in effetti.
Il 1600 bialbero è, come si diceva, di nobili origini: ha infatti un glorioso passato sportivo sulle Osca Sport MT4 degli anni ’50, ed è stato successivamente adattato alla produzione di serie grazie anche alla collaborazione con Fiat, che l’ha montato sulle sue 1500 Cabriolet. Qui è nella sua versione più tranquilla, ma ha riacquistato in pieno la brillantezza dei suoi tempi migliori dopo una revisione completa, curata nei minimi particolari da Fabio Verin, da molti anni collaboratore di fiducia di Corrado Lopresto.
Lo stesso trattamento è stato riservato al cambio, a tutte le masse sospese e all’impianto elettrico. Oggi la Osca 1600 GT è perfettamente funzionante e piena di brio. Una rapida esperienza di guida ci regala sensazioni estremamente piacevoli. L’abitacolo è accogliente e luminoso, piccolo ma molto confortevole. Il grande volante Nardi d’ordinanza è verticale e ben posizionato, così come la pedaliera e la leva del cambio. La posizione di guida è a braccia raccolte e gambe allungate, molto efficace per una condotta spigliata.
All’accensione il motore è pronto, con un bel rumore secco e una tonalità di scarico profonda. Sale in fretta di giri, preferisce girare allegro e lo accontentiamo volentieri, anche se con grande prudenza. Più che la potenza la sua dote migliore è la brillantezza, con una bella capacità di ripresa ai regimi medi. L’essere una “Superleggera” in questo aiuta molto, così come nella maneggevolezza e nella rapidità di risposta. I freni a disco Girling sulle quattro ruote sono superbi per l’epoca, solo un po’ duri per la mancanza del servofreno ma perfettamente modulabili. Il cambio, un quattro marce di provenienza Fiat, è onesto e consente cambiate rapide ed agevoli. Il piacere di guida è notevole, lo sterzo non è direttissimo ma è abbastanza preciso, le sospensioni sono belle rigide, appena ammorbidite dalla pressione degli pneumatici tenuta prudenzialmente un poco bassa, sulle 1,5 atmosfere, perfette per sentire la coda in uscita dalle curve strette.
Il profumo della pelle, le lievi esalazioni di benzina e la sonorità piena regalano sensazioni molto appaganti: quando a fine prova scendo dalla macchina e ammiro ancora una volta le sue linee così personali e così seducenti, mi vien da pensare a quanto sia facile purtroppo perdere per strada anche le idee più belle.