Il quotidiano La Repubblica del 6 febbraio scorso ha pubblicato un dossier di ben tre pagine intitolato “L’industria della nostalgia”, con le firme prestigiose di Anais Ginori e Natalia Aspesi. La parola nostalgia fa pensare a un dolceamaro piacere di guardare al passato come rifugio dalle difficoltà del presente. In realtà, le stesse pagine del quotidiano intendevano si spiegare la sociologia del fenomeno; ma le conclusioni a cui si arrivava erano prettamente economiche. Più o meno queste: siamo in crisi di identità e il passato ci aiuta a ritrovarla. E aiuta l’economia: in quanto consumatori, ritroviamo l’identità acquistando i prodotti che al passato si rifanno. Vintage S.p.A.: chi può e vuole guardare al passato, vestendo in stile rètro la tecnologia di cui dispone, fa sempre più profitti. Spostando il concetto in campo automobilistico, c’è chi di questo argomento ha approfittato, come BMW con Mini e Volkswagen con il Maggiolino. Chi non riesce ad approfittarne, o lo fa in minima parte, sono i Marchi italiani.Quest’anno si festeggiano i 40 anni dell’Alfetta e i 50 della Giulia, due berline mitiche dell’Alfa Romeo. Pensate quale successo potrebbero avere, pur nel momento della crisi, delle riedizioni ben fatte di queste automobili. Certo, per essere ben fatte sul serio dovrebbero avere la trazione posteriore, quindi piattaforme diverse, investimenti solo per loro, eccetera eccetera...Di fronte al successso di una Mini, pensiamo a quanto avrebbe potuto vendere la Lancia Fulvia disegnata da Flavio Manzoni nel 2003. Non se ne fece nulla. Queste idee si scontrano con i tanti orticelli che difendono altrettanti piccoli budget dentro le grandi aziende. Ma la pura difesa dei piccoli budget rende piccole le aziende. Si è parlato tanto di Steve Jobs e del suo invito a essere affamati e “stupidi”. Non è stupidità, è coraggio. Ciò che manca al nostro costruttore di automobili.
di francesco.pelizzari@edisport.it