01 July 2022

Alfa Romeo GT-GTV, spirito Alfa

Non ha forse la stessa linea perfetta e intramontabile della precedente Giulia GT e derivate, ma l’Alfetta GT vanta comunque quella forte personalità, quel design innovativo e quelle prestazioni...

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Non ha forse la stessa linea perfetta e intramontabile della precedente Giulia GT e derivate, ma l’Alfetta GT vanta comunque quella forte personalità, quel design innovativo e quelle prestazioni inavvicinabili per le dirette concorrenti sue coetanee che ne fanno un vero must per il collezionista Alfa Romeo. Le protagoniste di questo servizio sono una GT 1600 e una GTV 2000.

È stata l’ultima coupé Alfa Romeo concepita secondo lo schema classico: motore anteriore e trazione posteriore, stretta derivazione dalla berlina di riferimento. Tecnicamente all’avanguardia, l’Alfetta GT-GTV è nata in un momento difficile, ma oggi che è nel mirino dei collezionisti sta riprendendo rapidamente il posto che merita.

È dagli anni 50 che nella storia dell’Alfa Romeo, quella “vera” naturalmente, conclusasi con lo sfumare degli anni 80, il concetto di berlina sportiva è indissolubilmente legato a quello di coupé da essa derivato.

Non è mai stata soltanto una pura scelta di marketing, quanto piuttosto una naturale conseguenza dell’amore per l’automobile tecnologicamente all’avanguardia e per la guida brillante, da sempre cifra identitaria dell’anima appassionata dei progettisti del Biscione. E anche della dirigenza, in particolare di Giuseppe Luraghi, coinvolto in Alfa a partire dal 1951 come Direttore Generale di Finmeccanica e dal 1960 promosso Presidente.

Coadiuvato da uomini di grande valore, Rudolf Hruska a capo della Direzione Tecnica e Orazio Satta Puliga, il responsabile del Reparto Progetti ed Esperienze cui si devono capolavori come la 1900, la Giulietta, la Giulia, la 1750, la 2000 e infine proprio l’Alfetta.

Luraghi riesce a trasformare in grande azienda automobilistica quella che fino ai primi anni del Dopoguerra era un’ottima ma piccola fabbrica di auto d’élite. Puntando su due armi vincenti e complementari: l’eccellenza progettuale e l’impegno agonistico. Come la berlina, anche l’Alfetta GT è l’erede diretta di questo entusiasta spirito innovatore.

Cara vecchia Giulia
L’idea di affiancare alla Alfetta berlina anche la versione coupé è sempre stata presente nella mente dei progettisti. In realtà fin dal 1967, e cioè poco prima di iniziare a lavorare sulla nuova berlina di classe media, in Alfa si decide di cominciare a pensare ad una evoluzione del coupé su base Giulia prima che l’inevitabile obsolescenza completi il suo percorso.

Il compito non è per niente facile, perché la GT, magistralmente disegnata dal giovane Giorgetto Giugiaro, sta compiendo egregiamente il suo lavoro. E’ molto bella, ricchissima di personalità, grazie alle nuove motorizzazioni 1300, 1600 e 1750 cc ha prestazioni ineguagliate dalla concorrenza ed ha sostituito nel cuore degli italiani la gloriosa Giulietta Sprint.

Probabilmente ha raggiunto dei picchi di popolarità addirittura superiori, grazie anche alle innumerevoli vittorie conquistate dalla sua versione da corsa, la GTA. Le esigenze degli automobilisti però stanno progressivamente cambiando, soprattutto in termini di comfort. I due posti posteriori di fortuna ormai stanno diventando un po’ stretti, i tedeschi con le loro berline-coupé a due porte fanno scuola.

Ben vengano le prestazioni brillanti e la personalità sportiva, ma la famiglia è la famiglia e proprio per questo occorre poterla trasportare senza troppi problemi. Un nuovo progetto I primi studi di Giugiaro sulla nuova coupé iniziano prima della definizione del lay-out tecnico dell’Alfetta, caratterizzato dal ponte posteriore tipo De Dion e dal gruppo frizione-cambio in blocco col differenziale, con freni a disco entrobordo. Quelli restano tuttavia progetti teorici, impostati ancora sulla meccanica della 1750, che prendono una consistenza più concreta una volta applicati al pianale definitivo della nuova berlina con passo accorciato di 11 cm, passato da 2.510 mm a 2.400 mm.

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Le nuove indicazioni passate a Giugiaro sono precise e molto semplici: vanno rispettate le misure di abitabilità definite in Alfa Romeo, che prevedono quattro posti comodi con bagagliaio sufficientemente capiente e un’altezza massima ridotta di 10 cm rispetto alla berlina. Per il resto libertà assoluta, salvo il logico family feeling.

I vincoli posti non creano effettive difficoltà al designer, anche perché le tendenze stilistiche che si vanno affermando agli inizi degli anni 70 sono del tutto coerenti con i parametri progettuali ricevuti. Le linee piuttosto spigolose con profilo a cuneo permettono un ottimo sfruttamento dei volumi, mentre la coda alta e tronca consente un andamento lineare del padiglione a tutto vantaggio dei posti posteriori, non più sacrificati in altezza, e della capacità del bagagliaio.

L’esperienza fatta dallo stesso Giugiaro con la Iguana del 1969, anche se sviluppata sulla base di una sportiva estrema come la 33, si rivela preziosa nel definire le scelte stilistiche di base, pur applicate a tutt’altre dimensioni e con finalità completamente differenti.

L’impegno del designer torinese si concentra sulla volontà di trasformare scelte stilistiche già sperimentate in soluzioni compatibili con la produzione industriale su larga scala, che nobilitino la raffinatezza meccanica di base con una linea tanto personale e seducente quanto rispettosa dello spirito Alfa Romeo. Vince Giugiaro In contemporanea con Giugiaro e a fronte delle stesse indicazioni di abitabilità, anche l’Ufficio Stile dell’Alfa Romeo studia un proprio progetto.

Il risultato però, forse troppo condizionato dalle mille timidezze e imposizioni interne, non è particolarmente appagante: i bozzetti mostrano un coupé dotato di un padiglione di ampie dimensioni, piuttosto anonimo e privo di una vera e propria caratterizzazione. Insomma, niente a che fare con l’irrinunciabile grinta del Biscione.

Ben diverso invece il frutto della creatività del grande Giorgetto. Il tocco vincente della sua matita è il disegno della fiancata, il cui spiccato dinamismo è originato dalla forte inclinazione del parabrezza e dei montanti che lo sorreggono. Fin dai primi figurini presentati questo è l’elemento significativo del suo progetto, che difatti, nonostante i tanti interventi e le varie correzioni apportate per arrivare alla versione definitiva, arriverà sostanzialmente invariato alla produzione in serie. L’andamento continuo della linea che parte dal frontale molto basso per salire col parabrezza a fortissima inclinazione e concludersi poi col taglio alto e netto della coda, offre subito la sensazione di velocità e penetrazione aerodinamica e nello stesso tempo dà un’impronta inconfondibile alla vettura.

Il disegno della finestratura laterale, molto ampia come i tempi richiedono, accentua questo carattere: il profilo ascendente del finestrino anteriore verso l’attacco del parabrezza e l’analogo invito, ma più accentuato, di quello posteriore verso il lunotto conferiscono ulteriore sveltezza ad una fiancata riuscitissima.

Anche il frontale è oggetto di diverse proposte, tra le quali anche una con i fari retrattili, bocciata per gli eccessivi costi. Sono ritocchi di particolari su un disegno comunque già definito, con lo scudo Alfa Romeo che domina al centro della calandra e i doppi fari che la completano, sormontati da una rientranza del profilo superiore che dona un caratteristico movimento al tutto. Il cofano anteriore perde in fase di approvazione quel labbro a protezione dei tergicristallo presente nei figurini di Giugiaro, molto particolare e anche molto funzionale, che la dirigenza Alfa boccia perché ritenuto controproducente in caso di neve.

La coda è tronca e piuttosto alta, sormontata da un piccolo spoiler che a conti fatti svolge più una funzione estetica che pratica. Il confronto tra le proposte di Giugiaro e quelle dell’Ufficio Stile interno è impietoso e dopo le dovute messe a punto e i vari prototipi realizzati, nel luglio del 1971 la soluzione definitiva è approvata.

Le prove aerodinamiche confermano la bontà dell’impianto di base, ma i diversi particolari esterni, come i braccetti dei tergicristallo, i profili cromati, i paraurti, le cornici dei vetri e i gocciolatoi influiscono sul risultato finale, che si ferma ad un Cx, buono ma non particolarmente esaltante, pari a 0,39. Sportiva ma comoda Per gli interni la storia è un’altra. Il lavoro è tutto dell’Ufficio Stile, che si inventa quella che sarà la nota distintiva della prima serie dell’Alfetta GT: la disposizione della strumentazione, col contagiri direttamente sotto gli occhi del guidatore e il resto disposto al centro della plancia lineare.

E’ la massima sottolineatura dell’imprinting sportivo: quello che va tenuto d’occhio è il contagiri, mentre il tachimetro è secondario vista la mancanza di limiti di velocità, soprattutto in autostrada. Un vero pilota la velocità è in grado di valutarla da sé…

Per colmo d’azzardo nelle intenzioni il contagiri è solidale col volante regolabile in altezza, una soluzione molto intrigante poi abbandonata per i soliti motivi di costi. I sedili anteriori sono studiati con cura e raccoglieranno molti consensi alla presentazione. Sono regolabili anche in altezza al lato guida e scorrono in avanti una volta ribaltati, per facilitare l’accesso ai sedili posteriori.

Questi sono fissi, non ribaltabili per aumentare il piano di carico e sfruttare così la presenza del portellone posteriore, che comprende anche il lunotto. E’ una scelta obbligata, data la presenza nella scocca di una parete divisoria tra abitacolo e bagagliaio, indispensabile per garantire il necessario livello di rigidità. Anche gli interni vengono approvati in via definitiva nella primavera del 1971. Entusiasmo fuori tempo La presentazione ufficiale dell’Alfetta GT avviene a Fonteblanda, una frazione di Orbetello in provincia di Grosseto, nel giugno del 1974.

Le reazioni generali sono molto positive, anche perché ad una nuova Gran Turismo Alfa Romeo l’apertura di credito è immediata. Piace la linea a cuneo in cui spicca quel parabrezza così inclinato, il muso semplice ma aggressivo con quello spoiler diviso in due metà parla subito di alte prestazioni, la coda tronca evoca una ricerca aerodinamica in accordo con le tendenze più attuali.

L’abitacolo non delude, anzi, l’originale strumentazione col contagiri sopra il volante e il resto spostato al centro colpisce l’immaginazione, i quattro posti sembrano proprio veri, anche se un po’ sacrificati nell’accesso dalla pur ampia portiera, ma rispetto al passato è un enorme passo in avanti. Alla guida motore, sterzo e tenuta di strada entusiasmano, la raffinatezza meccanica d’origine viene esaltata dal passo accorciato, dal baricentro abbassato e dall’irrobustimento delle barre di torsione anteriori. Solo il cambio, per quanto migliorato grazie anche ai rinvii più corti, continua a suscitare le critiche della stampa e degli appassionati. L’Alfetta GT è promossa a pieni voti, come del resto lo è stata la berlina fin dal suo esordio.

Un solo nemico è in agguato e si rivelerà subito problematico: l’eccessivo tempo trascorso prima del lancio ufficiale. Se nel 1972 le Alfetta berlina e coupé fossero state presentate in contemporanea, l’effetto sarebbe stato senz’altro deflagrante e il successo immediato. A metà ’74 invece il mercato dell’automobile è in pieno shock petrolifero e gli automobilisti sono titubanti di fronte ai limiti di velocità, ai prezzi in ascesa, ai consumi elevati pur a fronte di prestazioni entusiasmanti. Insomma, l’Alfetta GT è una gran bella macchina, ma purtroppo sconta il fatto di essere nata in un periodo decisamente sfortunato.

Nuove motorizzazioni
Per cercare di reagire alle difficoltà di mercato, in Alfa si decide di replicare con la GT quanto già fatto con l’Alfetta berlina: il rilancio delle vendite è affidato ad una versione più economica, dotata del 4 cilindri di 1.570 cc, rivisto per l’occasione come riduzione dell’originale 1.779 cc e capace di 109 CV DIN (125 SAE). Presentata nel maggio del 1976 insieme alla sorella maggiore GTV di 1.962 cc (122 CV DIN / 140 CV SAE), entrambe inaugurano di fatto una nuova stagione del modello. La 1600 resta molto simile alla precedente 1800, che esce di produzione.

All’esterno si differenzia da quest’ultima unicamente per le piccole prese d’aria sotto la calandra frontale, per una vistosa scritta Alfa Romeo sulla coda e per il diverso alloggiamento dello sportello del serbatoio carburante. All’interno compaiono nuove fasce centrali scozzesi ai sedili e il rivestimento in finta pelle nera al volante al posto del legno. Più ricca la dotazione della 2000, riconoscibile all’esterno per i listelli cromati sulla calandra, i rostri di gomma ai paracolpi e una placca triangolare con la scritta GTV sul montante posteriore al posto della precedente griglia di sfogo.

Un poco più curato l’interno, arricchito da una fascia in legno sul cruscotto e a richiesta dai sedili rivestiti in velluto. Le maggiori soddisfazioni di guida naturalmente vanno alla 2000 GTV, che grazie alla generosità del propulsore assicurava grandi prestazioni e una notevole souplesse, senza penalizzare i consumi. Forse troppa souplesse, tanto che nel ’79 subentra la 2000 L che adotta lo stesso motore della corrispondente berlina, leggermente più potente e brillante. Migliorano ancora le doti di tenuta di strada, grazie ad un ulteriore irrigidimento delle barre di torsione e ad una nuova taratura degli ammortizzatori.

La versione più spinta dell’Alfetta GT prima serie, ed oggi anche la più ricercata in forza delle sue prestazioni oltre che della sua storia e dei circa 400 esemplari prodotti (ma il numero esatto non lo si conosce), è senz’altro la Turbodelta. Assemblata dalla primavera del 1979, viene pensata da Carlo Chiti per essere omologata in Gr. 4 e sostituire così nei rally l’Alfetta 2000 GTV, portata in gara con onore nel 1978 da Mauro Pregliasco ma ormai spremuta al limite. Ne parliamo diffusamente nelle prossime pagine. Ultima evoluzione Con la seconda serie l’Alfetta GT cambia vistosamente faccia.

Nel novembre del 1980 viene presentata a Roma in duplice versione: 2.000 cc col tradizionale bialbero 4 cilindri e 2.500 cc come top di gamma, dotata del nuovo 6 cilindri a V progettato da Giuseppe Busso e già montato sulla Alfa 6 del ‘79. Scompare dunque la versione economica da 1.600 cc.

A livello estetico l’aggiornamento è di notevole portata, anche se i lamierati non subiscono alterazioni di disegno tranne nei passaruota. L’aspetto però nel suo complesso cambia parecchio, nel tentativo di adeguare ai nuovi gusti una linea nata dieci anni prima. I profili cromati lasciano il posto al nero opaco generalizzato, presente sulle cornici di tutta la finestratura, sulle guarnizioni del gocciolatoio, sulle maniglie, sul tappo del serbatoio, sullo specchietto retrovisore esterno.

Il frontale diventa molto più massiccio, con il paraurti rinforzato in plastica nera che incorpora le luci di posizione e con lo spoiler inferiore in cui trovano posto due prese d’aria. Posteriormente spiccano le nuove luci di maggiori dimensioni e racchiuse in un corpo unico, con il nuovo paraurti a chiudere il tutto.

La GTV 6 si differenzia soprattutto per la vistosa gobba sul cofano anteriore, necessaria per dare spazio al voluminoso 6 cilindri, per una doppia fascia paracolpi in plastica a metà fiancata e alla base della portiera e per i nuovi cerchi in lega adatti a pneumatici 195/60 HR 15.

Altrettanto evidenti le modifiche agli interni, che però non alterano le caratteristiche di abitabilità: la strumentazione perde la sua caratteristica originalità e viene accorpata in un unico elemento, il volante a tre razze è di nuovo (e brutto) disegno, in legno sulla 2.0 e successivamente in pelle sulla 2.5 V6, i sedili sono maggiormente imbottiti, i vetri sono a comando elettrico e l’impianto di aerazione è più efficiente.

Meccanicamente la principale novità è naturalmente la motorizzazione a 6 cilindri, che di fatto trasforma l’Alfetta GT in una Gran Turismo molto diversa, di classe superiore.

Avrà un buon successo commerciale, sarà molto apprezzata nei mercati esteri e raccoglierà numerosissimi successi sportivi. Nel 1983 un leggero restyling porta gli ultimi ritocchi all’ultima coupé tradizionale ad alte prestazioni di Arese, che nel 1986 esce definitivamente di produzione.

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