25 November 2022

De Tomaso Pantera GTS, ruggito argentino

La bellissima sagoma della Pantera GTS lungo la tangenziale nei dintorni di Modena, dove il grosso V8 Ford ha potuto “sgranchirsi” in tutta serenità! Due parole, otto sole lettere capaci di racchiudere in una breve emissione di fiato il peso di un marchio unico nel panorama italiano: De Tomaso. Il brand italo-argentino è stato autore di vetture teatrali...

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La bellissima sagoma della Pantera GTS lungo la tangenziale nei dintorni di Modena, dove il grosso V8 Ford ha potuto “sgranchirsi” in tutta serenità!

Due parole, otto sole lettere capaci di racchiudere in una breve emissione di fiato il peso di un marchio unico nel panorama italiano: De Tomaso. Il brand italo-argentino è stato autore di vetture teatrali, inconfondibili allo sguardo e viscerali alla guida, riuscendo persino a far concorrenza ai grandi nomi nostrani, peccato che ben pochi ne conservino memoria.

Oggi vogliamo rimediare. La scia lasciata dalla De Tomaso è stata come un evidenziatore che va esaurendosi: inizialmente vivida, vivace, brillante, poi, mano a mano che il tempo passa la traccia comincia a sbiadire e ahimè non potete far nulla per ravvivarla.

Le vicende del marchio hanno subito un tramonto sfortunato e malinconico, ma dal 1959 – anno della sua fondazione – fino agli anni Novanta quell’esuberante Casa non è rimasta agli angoli del ring.

Le basi per un racconto da sogno ci sono tutte: Alejandro de Tomaso è nipote di un ricchissimo imprenditore (immigrato italiano) e figlio di un influente politico, mentre la madre possiede una delle più grandi tenute dell’Argentina, la Estancia de Tomaso. Quando il padre muore prematuramente, il giovane de Tomaso si trova a dover coniugare il lavoro nell’attività di famiglia con la sua passione da pilota, inoltre anche Alejandro è attivo politicamente.

Forse troppo, dato che nel dopoguerra delle posizioni “problematiche” lo costringono a fuggire e trovare rifugio in Italia. Nel 1955 viene ingaggiato dalla Maserati come collaudatore e poi dalla OSCA, e in seguito fonda una piccola officina per elaborare propulsori.

Nel contesto delle corse conosce Elizabeth Haskell, pilota nonché sorella di un magnate dell’industria e comproprietaria della ricchissima Rowan Controller Industries, fornitrice tra l’altro della Ford; la fanciulla amante della velocità diventa la seconda moglie di Alejandro che, manco a dirlo, si trova spalancato un portone di possibilità, tra cui appunto quelle della Ford.

Grazie al denaro di Elizabeth nel 1959 nasce la Automobili De Tomaso, il cui logo riprende i colori argentini e la “T” con la quale veniva marchiato il bestiame della tenuta materna. Alejandro è un fuoco d’artificio di idee, produce subito la Vallelunga, un elegante scricciolo a motore centrale capace di toccare i 215 km/h e in contemporanea – assieme a Carroll Shelby – sviluppa la P70 per le competizioni.

Ma due personalità così ingombranti rischiano di generare troppa frizione, ed è ciò che accade: Shelby lascia il progetto per dedicarsi a quella che diventerà la leggendaria Ford GT40, mentre De Tomaso termina la P70 che avrà un esito molto più sfortunato. Nel 1966 un indispettito Alejandro presenta una sportiva con telaio a trave centrale mossa da un grosso V8 americano Ford, con una bellissima carrozzeria by Giugiaro e realizzata dalla Ghia, all’epoca controllata della De Tomaso.

Il nome scelto è Mangusta, un animale noto per la sua ferocia verso i Cobra… una frecciatina sottile come un treno verso Shelby e le sue auto sportive. Nei decenni successivi nascono berline e sportive intrise di carattere (la Longchamp, la Deauville, la Guarà…), ma quella che rimarrà a fuoco nella memoria di tutti è la Pantera, progettata a cavallo tra il 1969 e il 1970, in produzione dalla primavera del 1971: linea mozzafiato disegnata da Tom Tjaarda, telaio monoscocca sviluppato in collaborazione con Gianpaolo Dallara e un grosso V8 da 5,8 litri sempre Ford da 330 CV (in seguito 350). Insomma, jackpot, jackpot, jackpot. Finalmente la De Tomaso può cercare di competere con il pantheon italiano di Lamborghini Miura e Countach, Ferrari 365 GT4 BB e Maserati Bora, un privilegio per pochi.

Della Pantera non viene tralasciato nessun aspetto, il cambio è uno ZF a cinque marce con schema ad H rovesciata, il differenziale è autobloccante, i freni a disco sono autoventilanti e il possente V8 aspirato è montato il più vicino possibile all’abitacolo. La Pantera risulta esotica come una Lamborghini e veloce come una Ferrari. Specialmente nelle versioni GTS e GT5 era impossibile non voltarsi a guardarla e negli anni Settanta uno 0-100 in 5,5 secondi e una velocità massima di 280 km/h erano roba seria. Anche se la supercar di Alejandro non raggiungerà mai il successo della concorrenza, è stata capace di giocare al tavolo dei grandi, senza complessi di inferiorità.

Una storia che si concluderà nel 1993 totalizzando 7.258 esemplari. Lo capisco subito appena percorro la scala che conduce al “sottosalone” di Autoluce, dove sono nascoste decine di meraviglie. Lì, nella penombra, riposa la Pantera GTS, una creatura che mi strega all’istante. A differenza della versione standard la GTS (nata per competere nel Gruppo 3 e 4) si distingue per minacciosi passaruota rivettati, cofano anteriore e posteriore nero, verniciatura bicolore e cerchi più grandi, oltre a 350 CV estrapolati dal V8 Cleveland. E sì, anche le gomme posteriori larghe quanto il… Belgio aiutano nell’intimidire.

Se pensate che un rude V8 d’oltreoceano non possa competere con un V12 italiano avete ragione solo a metà: non riesco ad immaginare un propulsore più azzeccato per linee così arroganti e decise, e aggiungeteci pure un sound rabbioso e prestazioni ragguardevoli. È un dispiacere pensare che anche la Pantera – tra scarsità di fornitura dei V8 e restyling poco azzeccati – abbia avuto un declino repentino.

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Quasi il 90% degli esemplari venne venduto nei primi quattro anni (negli USA fino al 1975 ben 5.500 esemplari) e il restante 11% in quasi due decadi, e mentre mi accomodo al suo interno continuo a chiedermi come mai tante cose siano andate storte. Gli interni sono meno estrosi dell’esterno e ben rifiniti: pelle nera per i sedili, una simil Alcantara per il cruscotto e un bellissimo Momo Prototipo dalle dimensioni inaspettatamente ridotte.

Fortuna che le gomme anteriori non sono larghe quanto quelle posteriori. L’abitacolo è curato e razionale, persino lussuoso, dopotutto doveva incontrare sia i gusti degli europei che degli americani (negli USA era commercializzata dalla Ford), e ovunque campeggia il logo De Tomaso per non scordare le origini argentine.

Destiamo il V8 da 5.8 litri e ci spostiamo di pochi chilometri alla ricerca di qualche sfondo “industriale” che faccia risaltare l’aggressività della Pantera finendo – toh guarda – proprio di fronte ad uno stabilimento della Maserati, l’ex datrice di lavoro di Alejandro e che poi farà sua.

Sarà l’emozione dei ricordi, sarà la timidezza per lo shooting, fatto sta che la GTS comincia a comportarsi come ogni supercar italiana degli anni Settanta che si rispetti: non parte più. Questa Pantera è stata restaurata dal primo all’ultimo bullone – come si può notare dalla sua bellezza – ma scopriamo a nostre spese che nonostante il V8 sia una favola rimangono da sbrogliare un paio di problemini di accensione. Riusciamo a ripartire a spinta (e lì sì che ci siamo sentiti catapultati negli anni Settanta) e tornare fino al salone dove ci armiamo di un booster e di refrigerante per ogni evenienza.

Ci rimettiamo in strada con le dita incrociate, e la Pantera ci premia senza più problemi e con un pomeriggio epico. Quelle curve aggressive attirano ovunque l’attenzione, inizialmente la De Tomaso è fissata con un misto di perplessità e ammirazione, che si trasforma rapidamente in meraviglia appena le persone riconoscono la GTS. Tra uno spostamento e l’altro mi sono già messo al volante per brevi tratti, ora però gli scatti sono terminati e posso godermi a pieno questa supercar dal passato burrascoso. La posizione di guida è piuttosto rilassata e distesa, non siete intrappolati in un cestello della lavatrice come in altre sportive dell’epoca e l’ergonomia generale mette subito a proprio agio. Avevo qualche pregiudizio sulla Pantera, è pur sempre una vettura di cinquant’anni con una fama poco misericordiosa e mascolina, così mi aspettavo un macigno poco fluido. Invece no. Ha le sue imperfezioni, ma molti suoi lati sono sorprendenti, il cambio ZF in primis.

La forma a lama della leva e il suo particolare punto di fulcro rendono le cambiate meravigliose, nette, incredibilmente precise e morbide, anche scalando senza doppietta i sincronizzatori accolgono gli innesti con un fermo aplomb; e pensare che temevo di trovarmi a muovere una specie di spada nella roccia.

La prima in basso e la gabbia aperta rendono il tutto ancora più coinvolgente, specialmente nel seconda-terza. Il V8 brontola alle mie spalle scuotendo le vallate modenesi, non è un sound pulito e melodioso, è un qualcosa di grezzo, cavernoso e certamente minaccioso che fuoriesce dagli scarichi Ansa (bellissimi i terminali rifiniti in rosso). 350 CV non sono pochi, le curve si susseguono in fretta e il piccolo Momo dà veramente una grossa mano in termini di reattività e inserimento.

Date le dimensioni ridotte dovete usare tutti i muscoli delle braccia una volta arrivati al limite, e poi cercare di sfruttarne la comunicatività per restare in equilibrio tra grip e sotto o sovrasterzo. Per la verità la De Tomaso ricorda poco una supercar a motore centrale: in ingresso curva è piuttosto precisa e rapida e l’anteriore è leggero, ma il retrotreno non è particolarmente nervoso o indisciplinato, anche provocandolo è molto più pacato del previsto. Certamente il propulsore così avanzato e delle gomme da autotreno al posteriore aiutano, per sollievo di qualunque passeggero.

Anzi, il lato buffo è che verso il limite dovete basarvi più sulla comica flessibilità della spalla delle gomme che sulle sensazioni del telaio vero e proprio, di suo molto bilanciato. Percepite chiaramente quanto quei gommoni si stiano piegando alle leggi della fisica mentre il corpo vettura oscilla, una lotta impari che dovete gestire dosando bene la potenza del V8 e disegnando traiettorie fluide che non stressino inutilmente la De Tomaso.

Le sospensioni sono rigide ma non tremende, i freni invece per quanto discreti restano sottodimensionati per i numeri che la Pantera può far leggere sul tachimetro. Inoltre il pedale centrale è assurdamente alto rispetto all’acceleratore, come se avessero litigato e non volessero più stare vicini. In staccata dovete alzare il polpaccio quasi steste scavalcando del filo spinato, poi tutta la pedaliera si riallinea e scoprite che è anche comoda per il punta-tacco… dopotutto quel “temporale” a otto cilindri merita di essere ascoltato anche in decelerazione.

Nonostante la De Tomaso sia un’auto imponente, non leggera – circa 14 quintali – e certamente fisica da guidare, si rivela agile, specialmente per essere una supercar di cinquant’anni fa. Nei dintorni di Modena ci sono svariati tratti sinuosi ed è un peccato non avere tempo per portarla ancor più a sud, dove le strade secondarie sono tortuose, poco battute e vicine agli Appennini. Guidare la De Tomaso è impegnativo e appagante al tempo stesso: vero, ha dei difetti ma telaio, gomme, sterzo, meccanica… ogni componente cerca di trasmettervi informazioni, anche se starà a voi interpretarle per domare la GTS. Il tutto sfruttando quel meraviglioso cambio e il rabbioso motore Ford.

Sarà anche rimasta nell’ombra della sua complicata e altalenante storia, ma la Pantera è un diamante tutt’altro che grezzo, una supercar emozionante, coinvolgente, fisica e con un look davvero speciale. Vistosa senza essere chiassosa, minacciosa pur conservando una certa eleganza, e con lati di una raffinatezza inattesa. La Pantera ha guadagnato l’ennesimo ammiratore: non le stacchereste gli occhi di dosso per quelle linee fantastiche, ha un V8 che contiene a fatica il suo carattere e persino a livello dinamico sorprende.

La De Tomaso è un bicchiere di vino pregiato con un retrogusto amaro, una fiaba che purtroppo non ha un lieto fine… o qualche riga può essere ancora scritta? Dopo diversi tentativi di acquisizione più o meno falliti nel 2015 il marchio De Tomaso è stato rilevato dalla Ideal Team Ventures Limited, brand che tre anni fa presentò al Festival Of Speed di Goodwood la seducente P72.

Il nome rimanda chiaramente alla P70, il design è ispirato alle auto da corsa italiane degli anni Settanta e il motore è nuovamente un V8 Ford, persino sovralimentato e con 700 CV. Ne verranno prodotte solo 72, e dato lo stupore generato alla presentazione non dubitiamo del successo di questa supercar, un bellissimo omaggio ad una Casa che avrebbe certamente meritato di più. Questa supersportiva del costruttore di origini sudamericane combina il meglio di due mondi per un cocktail esplosivo. In versione GTS debutta 50 anni fa con un poderoso V8 di 5.800 cc da 350 CV.

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