Quasi il 90% degli esemplari venne venduto nei primi quattro anni (negli USA fino al 1975 ben 5.500 esemplari) e il restante 11% in quasi due decadi, e mentre mi accomodo al suo interno continuo a chiedermi come mai tante cose siano andate storte. Gli interni sono meno estrosi dell’esterno e ben rifiniti: pelle nera per i sedili, una simil Alcantara per il cruscotto e un bellissimo Momo Prototipo dalle dimensioni inaspettatamente ridotte.
Fortuna che le gomme anteriori non sono larghe quanto quelle posteriori. L’abitacolo è curato e razionale, persino lussuoso, dopotutto doveva incontrare sia i gusti degli europei che degli americani (negli USA era commercializzata dalla Ford), e ovunque campeggia il logo De Tomaso per non scordare le origini argentine.
Destiamo il V8 da 5.8 litri e ci spostiamo di pochi chilometri alla ricerca di qualche sfondo “industriale” che faccia risaltare l’aggressività della Pantera finendo – toh guarda – proprio di fronte ad uno stabilimento della Maserati, l’ex datrice di lavoro di Alejandro e che poi farà sua.
Sarà l’emozione dei ricordi, sarà la timidezza per lo shooting, fatto sta che la GTS comincia a comportarsi come ogni supercar italiana degli anni Settanta che si rispetti: non parte più. Questa Pantera è stata restaurata dal primo all’ultimo bullone – come si può notare dalla sua bellezza – ma scopriamo a nostre spese che nonostante il V8 sia una favola rimangono da sbrogliare un paio di problemini di accensione. Riusciamo a ripartire a spinta (e lì sì che ci siamo sentiti catapultati negli anni Settanta) e tornare fino al salone dove ci armiamo di un booster e di refrigerante per ogni evenienza.
Ci rimettiamo in strada con le dita incrociate, e la Pantera ci premia senza più problemi e con un pomeriggio epico. Quelle curve aggressive attirano ovunque l’attenzione, inizialmente la De Tomaso è fissata con un misto di perplessità e ammirazione, che si trasforma rapidamente in meraviglia appena le persone riconoscono la GTS. Tra uno spostamento e l’altro mi sono già messo al volante per brevi tratti, ora però gli scatti sono terminati e posso godermi a pieno questa supercar dal passato burrascoso. La posizione di guida è piuttosto rilassata e distesa, non siete intrappolati in un cestello della lavatrice come in altre sportive dell’epoca e l’ergonomia generale mette subito a proprio agio. Avevo qualche pregiudizio sulla Pantera, è pur sempre una vettura di cinquant’anni con una fama poco misericordiosa e mascolina, così mi aspettavo un macigno poco fluido. Invece no. Ha le sue imperfezioni, ma molti suoi lati sono sorprendenti, il cambio ZF in primis.
La forma a lama della leva e il suo particolare punto di fulcro rendono le cambiate meravigliose, nette, incredibilmente precise e morbide, anche scalando senza doppietta i sincronizzatori accolgono gli innesti con un fermo aplomb; e pensare che temevo di trovarmi a muovere una specie di spada nella roccia.
La prima in basso e la gabbia aperta rendono il tutto ancora più coinvolgente, specialmente nel seconda-terza. Il V8 brontola alle mie spalle scuotendo le vallate modenesi, non è un sound pulito e melodioso, è un qualcosa di grezzo, cavernoso e certamente minaccioso che fuoriesce dagli scarichi Ansa (bellissimi i terminali rifiniti in rosso). 350 CV non sono pochi, le curve si susseguono in fretta e il piccolo Momo dà veramente una grossa mano in termini di reattività e inserimento.
Date le dimensioni ridotte dovete usare tutti i muscoli delle braccia una volta arrivati al limite, e poi cercare di sfruttarne la comunicatività per restare in equilibrio tra grip e sotto o sovrasterzo. Per la verità la De Tomaso ricorda poco una supercar a motore centrale: in ingresso curva è piuttosto precisa e rapida e l’anteriore è leggero, ma il retrotreno non è particolarmente nervoso o indisciplinato, anche provocandolo è molto più pacato del previsto. Certamente il propulsore così avanzato e delle gomme da autotreno al posteriore aiutano, per sollievo di qualunque passeggero.
Anzi, il lato buffo è che verso il limite dovete basarvi più sulla comica flessibilità della spalla delle gomme che sulle sensazioni del telaio vero e proprio, di suo molto bilanciato. Percepite chiaramente quanto quei gommoni si stiano piegando alle leggi della fisica mentre il corpo vettura oscilla, una lotta impari che dovete gestire dosando bene la potenza del V8 e disegnando traiettorie fluide che non stressino inutilmente la De Tomaso.
Le sospensioni sono rigide ma non tremende, i freni invece per quanto discreti restano sottodimensionati per i numeri che la Pantera può far leggere sul tachimetro. Inoltre il pedale centrale è assurdamente alto rispetto all’acceleratore, come se avessero litigato e non volessero più stare vicini. In staccata dovete alzare il polpaccio quasi steste scavalcando del filo spinato, poi tutta la pedaliera si riallinea e scoprite che è anche comoda per il punta-tacco… dopotutto quel “temporale” a otto cilindri merita di essere ascoltato anche in decelerazione.
Nonostante la De Tomaso sia un’auto imponente, non leggera – circa 14 quintali – e certamente fisica da guidare, si rivela agile, specialmente per essere una supercar di cinquant’anni fa. Nei dintorni di Modena ci sono svariati tratti sinuosi ed è un peccato non avere tempo per portarla ancor più a sud, dove le strade secondarie sono tortuose, poco battute e vicine agli Appennini. Guidare la De Tomaso è impegnativo e appagante al tempo stesso: vero, ha dei difetti ma telaio, gomme, sterzo, meccanica… ogni componente cerca di trasmettervi informazioni, anche se starà a voi interpretarle per domare la GTS. Il tutto sfruttando quel meraviglioso cambio e il rabbioso motore Ford.
Sarà anche rimasta nell’ombra della sua complicata e altalenante storia, ma la Pantera è un diamante tutt’altro che grezzo, una supercar emozionante, coinvolgente, fisica e con un look davvero speciale. Vistosa senza essere chiassosa, minacciosa pur conservando una certa eleganza, e con lati di una raffinatezza inattesa. La Pantera ha guadagnato l’ennesimo ammiratore: non le stacchereste gli occhi di dosso per quelle linee fantastiche, ha un V8 che contiene a fatica il suo carattere e persino a livello dinamico sorprende.
La De Tomaso è un bicchiere di vino pregiato con un retrogusto amaro, una fiaba che purtroppo non ha un lieto fine… o qualche riga può essere ancora scritta? Dopo diversi tentativi di acquisizione più o meno falliti nel 2015 il marchio De Tomaso è stato rilevato dalla Ideal Team Ventures Limited, brand che tre anni fa presentò al Festival Of Speed di Goodwood la seducente P72.
Il nome rimanda chiaramente alla P70, il design è ispirato alle auto da corsa italiane degli anni Settanta e il motore è nuovamente un V8 Ford, persino sovralimentato e con 700 CV. Ne verranno prodotte solo 72, e dato lo stupore generato alla presentazione non dubitiamo del successo di questa supercar, un bellissimo omaggio ad una Casa che avrebbe certamente meritato di più. Questa supersportiva del costruttore di origini sudamericane combina il meglio di due mondi per un cocktail esplosivo. In versione GTS debutta 50 anni fa con un poderoso V8 di 5.800 cc da 350 CV.