È mercoledi 14 maggio 1986, sul circuito francese Paul Ricard, a Le Castellet, si tiene una sessione di prove private a cui partecipano alcune delle migliori scuderie di Formula 1. Sono presenti la McLaren con il campione del mondo Alain Prost e il compagno Keke Rosberg, la Lotus con Ayrton Senna, la Tyrrell e la Lola-Haas.
C’è anche la Brabham, nel tentativo di capire come sviluppare e migliorare la BT 55, la monoposto rivoluzionaria progettata da Gordon Murray, che ha richiesto ingenti investimenti alla BMW ma non ha dato finora i risultati sperati.
Le squadre sono reduci dal GP di Monaco disputato tre giorni prima, dove la Brabham ha dato un segnale di speranza con Riccardo Patrese, anche se in gara entrambe le monoposto del team di Bernie Ecclestone si sono dovute ritirare con i soliti problemi meccanici. Il circuito provenzale di Le Castellet è usato molto spesso dai team sia per il clima mite della Provenza, sia per le caratteristiche del tracciato, velocissimo ma anche dotato di una parte mista stretta e un’altra misto-veloce; c’è tutto quello che serve per sviluppare una Formula Uno.
Alla Brabham BT 55 invece manca tutto: velocità, affidabilità, maneggevolezza; inoltre consuma molto gli pneumatici. A De Angelis montano un nuovo alettone posteriore che dovrebbe aiutare a migliorare la trazione. Dopo il rettilineo dei box c’è una “S” velocissima, chiamata “La vetreria”, che le F1 affrontano in quarta, quinta per le Brabham che hanno il cambio a sette marce. A metà mattino De Angelis transita davanti ai box; dopo pochi secondi l’urlo del suo quattro cilindri BMW s’ interrompe improvvisamente, poi dai box vedono salire un filo di fumo in lontananza.
La gente ai box capisce subito, qualcuno sale in macchina e si dirige verso il luogo di quello che appare senza dubbio come un incidente. Gli altri piloti in pista sono già sul luogo. La Brabham di De Angelis ha perso l’ala posteriore appena prima del punto di staccata, a circa 250 km/h; incontrollabile, si è girata e poi capovolta cinque o sei volte, fino a fermarsi centinaia di metri più in là, capovolta incendiata.
Il pilota romano ha perso conoscenza. Sul circuito i soccorsi sono pochissimi e male organizzati, a quel tempo i test privati si svolgono praticamente sotto la responsabilità dei team. Passa molto tempo prima che si riesca ad estinguere le fiamme e ribaltare l’auto per estrarre dall’auto il povero De Angelis, che morirà il giorno dopo in ospedale a Marsiglia.
È il punto più basso della scuderia in quel momento di proprietà di Bernie Ecclestone, un team glorioso che ha vinto sei titoli mondiali, di cui quattro Conduttori. Il progetto della BT 55 si rivela fallimentare nonostante le premesse fossero tutt’altre. L’intento del progettista, il geniale sudafricano Gordon Murray, era quello di creare una vettura che tornasse all’essenza di una monoposto, cioè avere il baricentro più basso possibile per avere il massimo della tenuta di strada, la miglior frenata e in generale una maneggevolezza superiore grazie alla minor sensibilità ai trasferimenti di carico.
E, soprattutto, liberare l’ala posteriore per sfruttare la potenza senza dover spostare il peso indietro. Per fare questo, Murray mette il pilota in posizione quasi sdraiata ed elimina quasi del tutto la carrozzeria ad eccezione della copertura dei condotti di aspirazione del motore. Questo grazie al fatto che BMW realizza un quattro cilindri, il suo che spinge le Brabham da fine 1982, inclinato verso sinistra rispetto al senso di marcia.
La Casa bavarese tra progetto e realizzazione di una trentina di motori per la stagione, spende 17 miliardi di lire, una cifra mostruosa per l’epoca: le due squadre di ingegneri, quella inglese e quella tedesca, realizzano 732 disegni tecnici in 117.000 ore di lavoro.
Alla presentazione a gennaio 1986 la nuova monoposto della scuderia di Ecclestone stupisce il mondo delle corse: è bassissima e affusolata, sembra una macchina tagliata a metà e senza la parte superiore della carrozzeria tanto che, nella vista frontale, l’ala posteriore è completamente visibile. È uno dei pregi della macchina, che lascia completamente libero il flusso d’aria che la investe.
Per ottenere questo risultato, il motore è inclinato di ben 72°, tanto che il cassoncino di aspirazione è quasi verticale (ed è l’elemento più sporgente dell’intera monoposto). Un’altra novità assoluta, nascosta, è il cambio: Weissman a 7 rapporti, quando le altre hanno 5 marce e qualcuno inizia soltanto a ipotizzare di montarne 6. Il volante è inclinato quasi come su un kart (dopo i primi collaudi sarà spostato quasi in verticale), per consentire la posizione sdraiata del pilota, le cui spalle restano comunque quasi del tutto esposte. Per la sua snellezza la BT 55 è subito ribattezzata da pubblico e addetti ai lavori “sogliola”.
“Con le regole attuali del fondo piatto - dice Gordon Murray nelle interviste dell’epoca - era molto difficile per noi ottenere dei miglioramenti nello sfruttamento dell’effetto suolo, perché il nostro motore ha un solo turbo e un solo scarico da far soffiare nell’estrattore posteriore. Inoltre il motore BMW è molto alto rispetto ai 6 cilindri e questo penalizza l’efficienza dell’ala posteriore. Così sono tornato al concetto base di una macchina da corsa, che sia più bassa possibile”.
Gli faceva eco John Barnard: “La BT 55 ha solo vantaggi - diceva il neo direttore tecnico Ferrari -. È indubbiamente una strada molto difficile, ma ingloba in sé delle soluzioni estremamente geniali. Potrebbero esserci dei problemi per la disposizione degli accessori, per l’adattamento del motore, ma può essere una carta vincente”. Barnard era il tecnico più in voga in quel momento, autore dei primi telai in carbonio per la McLaren e del disegno rastremato al posteriore delle F1, imitato da tutti; nel 1989 la sua Ferrari farà scuola. Il motore BMW è molto potente, ma in generale il quattro cilindri nell’era del turbo è un motore non competitivo in confronto ai sei cilindri, a meno di trovare soluzioni particolari.
Nel 1983 Ecclestone si inventa i rifornimenti in gara e il motore bavarese rimarrà l’unico a fregiarsi di un titolo (ma grazie a benzine speciali, fuori dal regolamento). Quando nel 1984 i rifornimenti sono vietati e le regole impongono i 220 litri massimo per un GP le cose cambiano. Negli stessi anni 1985/86 anche Brian Hart, valentissimo motorista britannico ma non supportato da una casa ufficiale, fornisce i suoi potentissimi 4 cilindri alla Benetton, che coglie delle pole position viaggiando a 5 bar di pressione e oltre, ma in gara spesso i suoi motori esplodono anche con la pressione del turbo ridotta a 2/2,5 bar. Insomma, con i regolamenti restrittivi in termini di consumo (nel 1986 il limite scende ancora a 195 litri), i turbo a 4 cilindri sono alle corde (a quell’epoca tanta benzina serve anche per gestire il raffreddamento dei pistoni), perciò chi li monta deve cercare di trovare competitività inventandosi soluzioni progettuali originali.
E uno di progettisti più originali è senza dubbio Gordon Murray della Brabham, che tenta di controbattere l’affidabilità dei motori Honda e Porsche con le soluzioni progettuali. Sulla BT 54 del 1985 aveva tentato la carta di spostare il peso il più possibile indietro per avere il massimo della trazione, ma arriverà la sola vittoria al GP di Francia, peraltro con grande merito delle gomme Pirelli.
C’è grande attesa per l’avvio del Campionato del mondo di F1 del 1986, dopo che nell’85 si è assistito all’improvviso declino, da metà stagione in poi, della Ferrari che sembrava in grado di vincere il titolo con Alboreto e invece ha dovuto cedere, come i suoi motori, al ritorno della McLaren di Prost. La grande favorita è la Williams, forte dei motori Honda e di una coppia di piloti, Nigel Mansell e Nelson Piquet, che mescola esperienza, grinta e velocità.