Già nel 1976, infatti, il Congresso varò la legge 94-413, “Ricerca e sviluppo
su veicoli elettrici e ibridi”, che mirava a sviluppare le batterie, i
motori elettrici e i sistemi di controllo. Le
difficoltà nella
logica
di controllo si rivelano quasi insormontabili per i sistemi dell’epoca;
anche lo shock della prima crisi petrolifera viene superato e così devono
passare quasi venti anni perché l’amministrazione USA vari un progetto
concreto.
Nel 1993, Bill Clinton promuove la “Partnership per una Nuova
Generazione di Veicoli” (PNGV) che pone l’obiettivo di un’auto pulita
capace di percorrere 80 miglia con un gallone di benzina (34 km/l). La
strada tecnologica è lasciata libera, ma i 3 prototipi che emergono dopo
diversi anni di lavoro (e un miliardo di dollari di fondi) sono tutti ibridi.
Il programma PGNV è riservato all’industria americana: Toyota, pur possedendo
fabbriche sul territorio USA, viene esclusa. Il presidente Eiji Toyoda,
per tutta risposta, lancia un progetto segreto chiamato G21 per creare
“l’auto globale per il 21° secolo”, con consumi ridotti del 50%. Il
progetto che darà vita alla Prius. Se la Prius I del 1997 è un buon
prodotto, la
Prius II del 2003 è addirittura rivoluzionaria. E
arriva
al momento giusto: con la sua immagine tecnologica e il prezzo del greggio
in costante ascesa, fa impazzire gli Stati Uniti. Sfoggiata dai divi del
cinema, venduta in centinaia di migliaia di pezzi, viene eletta Auto dell’Anno
2004 e sancisce l’inarrestabile ascesa degli ibridi: tutti i costruttori
corrono ai ripari, perlomeno nelle dichiarazioni, in cui i programmi di
trazione ibrida si sprecano. Ma le onde, si sa, salgono e scendono: a inizio
luglio, Ford ha ritrattato la sua precedente previsione di allestire
250.000
ibridi entro il 2010. Bill Ford ha detto chiaro e tondo che non ha
senso investire così tanto denaro in una sola direzione, e per di più senza
ben conoscere le attitudini del mercato.
Ciò non significa certo che
Ford, né nessun altro Costruttore, smetterà di lavorare in questa direzione;
solo che per ridurre i consumi darà precedenza a tecnologie meglio conosciute
e più sicure: dal Diesel pulito ai nuovi motori a benzina turbo-iniezione
diretta. Del resto a Ford mancano due tasselli fondamentali: un fornitore
non giapponese di batterie ad alta capacità e soprattutto una
piattaforma
ibrida a trazione posteriore con cui equipaggiare i suoi vendutissimi trucks
(oltre il 60% delle vendite di Ford in patria). La tecnologia ibrida
si compone infatti di diversi tasselli: nessuno dei quali è tecnologicamente
proibitivo, ma che diventa un bel rompicapo assemblare nel modo migliore.
Toyota ci è riuscita in modo esemplare con il suo HSD, forte di una solidità
finanziaria senza eguali e della mancanza di fretta.
Ora ha omologato
tutti i suoi ibridi secondo la rigidissima normativa californiana SULEV,
e i costruttori americani, che negli scorsi anni hanno puntato tutto sullo
sviluppo delle fuel cell, non possono rischiare di essere messi fuori gioco.
Purtroppo per loro, gli investimenti richiesti per lo sviluppo di una
piattaforma
ibrida restano però colossali. Per recuperare il ritardo accumulato sui
giapponesi, sono sorte cordate di una trasversalità senza precedenti, come
quella GM-DaimlerChrysler-Bmw (ma GM si aspetta di raccogliere altre adesioni!).
Altri, come Renault e Nissan, hanno acquistato direttamente tecnologia
Toyota; Ford, dopo aver portato avanti autonomamente lo sviluppo
di un sistema ibrido, ha scoperto che le somiglianze con quello Toyota
la avrebbero messa a rischio di causa giudiziaria; decidendo a quel punto
di acquistare la licenza d’uso e integrarla con i brevetti nel frattempo
depositati
.Insomma: l’ibrido costa e la prudenza è d’obbligo: gli
analisti hanno già rivisto al ribasso le loro previsioni di penetrazione
sul mercato USA, dopo averle riviste al rialzo a seguito dell’imprevisto
successo della Prius. Il fatto è che gli americani, per quanto emotivi,
sono molto attaccati alle tradizioni: e le auto grandi e grosse
sono un punto cardinale della loro idea di progresso e di libertà. Il fronte
pro-ibrido trova perciò una accanita resistenza da parte di chi si è messo
a fare attentamente i calcoli, accorgendosi che i vantaggi dell’ibrido
non sono poi così decisivi nelle grandi aree extraurbane dominate dai trucks.
Molti acquirenti sono rimasti delusi nel trovare consumi lontanissimi da
quelli dichiarati,
e ormai su tutte le brochure e i siti web compaiono
raccomandazioni che spiegano quale stile di guida adottare per ottenere
i consumi previsti, e perché questi possono variare.
Già nel 1976, infatti, il Congresso
varò la legge 94-413, “Ricerca e sviluppo su veicoli elettrici e
ibridi”,
che mirava a sviluppare le batterie, i motori elettrici e i sistemi di
controllo. Le
difficoltà nella logica di controllo si
rivelano quasi
insormontabili per i sistemi dell’epoca; anche lo shock della
prima
crisi petrolifera viene superato e così devono passare quasi venti anni
perché l’amministrazione USA vari un progetto concreto.
Nel 1993, Bill
Clinton promuove la “Partnership per una Nuova Generazione di
Veicoli”
(PNGV) che pone l’obiettivo di un’auto pulita capace di
percorrere
80 miglia con un gallone di benzina (34 km/l). La strada tecnologica è
lasciata libera, ma i 3 prototipi che emergono dopo diversi anni di lavoro
(e un miliardo di dollari di fondi) sono tutti ibridi.
Il
programma PGNV è riservato all’industria americana: Toyota, pur
possedendo
fabbriche sul territorio USA, viene esclusa. Il presidente Eiji Toyoda,
per tutta risposta, lancia un progetto segreto chiamato G21 per creare
“l’auto globale per il 21° secolo”, con consumi ridotti
del 50%. Il
progetto che darà vita alla Prius. Se la Prius I del 1997
è un buon
prodotto, la
Prius II del 2003 è addirittura
rivoluzionaria. E arriva
al momento giusto: con la sua immagine tecnologica e il prezzo del greggio
in costante ascesa, fa impazzire gli Stati Uniti. Sfoggiata dai divi del
cinema, venduta in centinaia di migliaia di pezzi, viene eletta Auto
dell’Anno
2004 e sancisce l’inarrestabile ascesa degli ibridi: tutti i costruttori
corrono ai ripari, perlomeno nelle dichiarazioni, in cui i programmi di
trazione ibrida si sprecano. Ma le onde, si sa, salgono e scendono: a inizio
luglio, Ford ha ritrattato la sua precedente previsione di allestire
250.000
ibridi entro il 2010. Bill Ford ha detto chiaro e tondo che non ha
senso investire così tanto denaro in una sola direzione, e per di
più senza
ben conoscere le attitudini del mercato.
Ciò non significa certo che
Ford, né nessun altro Costruttore, smetterà di lavorare in questa
direzione;
solo che per ridurre i consumi darà precedenza a tecnologie meglio
conosciute
e più sicure: dal Diesel pulito ai nuovi motori a benzina turbo-iniezione
diretta. Del resto a Ford mancano due tasselli fondamentali: un fornitore
non giapponese di batterie ad alta capacità e soprattutto una
piattaforma
ibrida a trazione posteriore con cui equipaggiare i suoi vendutissimi trucks
(oltre il 60% delle vendite di Ford in patria). La tecnologia ibrida
si compone infatti di diversi tasselli: nessuno dei quali è
tecnologicamente
proibitivo, ma che diventa un bel rompicapo assemblare nel modo migliore.
Toyota ci è riuscita in modo esemplare con il suo HSD, forte di una
solidità
finanziaria senza eguali e della mancanza di fretta.
Ora ha omologato
tutti i suoi ibridi secondo la rigidissima normativa californiana SULEV,
e i costruttori americani, che negli scorsi anni hanno puntato tutto sullo
sviluppo delle fuel cell, non possono rischiare di essere messi fuori gioco.
Purtroppo
per loro, gli investimenti richiesti per lo sviluppo di una piattaforma
ibrida restano però colossali. Per recuperare il ritardo accumulato sui
giapponesi, sono sorte cordate di una trasversalità senza precedenti,
come
quella GM-DaimlerChrysler-Bmw (ma GM si aspetta di raccogliere altre adesioni!).
Altri, come Renault e Nissan, hanno acquistato direttamente tecnologia
Toyota; Ford, dopo aver portato avanti autonomamente lo sviluppo
di un sistema ibrido, ha scoperto che le somiglianze con quello Toyota
la avrebbero messa a rischio di causa giudiziaria; decidendo a quel punto
di acquistare la licenza d’uso e integrarla con i brevetti nel frattempo
depositati
.Insomma: l’ibrido costa e la prudenza è
d’obbligo: gli
analisti hanno già rivisto al ribasso le loro previsioni di penetrazione
sul mercato USA, dopo averle riviste al rialzo a seguito dell’imprevisto
successo della Prius. Il fatto è che gli americani, per quanto
emotivi,
sono molto attaccati alle tradizioni: e le auto grandi e grosse
sono un punto cardinale della loro idea di progresso e di libertà. Il
fronte
pro-ibrido trova perciò una accanita resistenza da parte di chi si
è messo
a fare attentamente i calcoli, accorgendosi che i vantaggi dell’ibrido
non sono poi così decisivi nelle grandi aree extraurbane dominate dai
trucks.
Molti acquirenti sono rimasti delusi nel trovare consumi lontanissimi da
quelli dichiarati,
e ormai su tutte le brochure e i siti web compaiono
raccomandazioni che spiegano quale stile di guida adottare per ottenere
i consumi previsti, e perché questi possono variare.