Introduzione
Fu nel freddissimo inverno newyorkese del
1903 che Mary Anderson si ritrovò a bordo di quell’autobus a motore. Solo
negli Stati Uniti il clima di relativa parità – oltre che di prosperità
– che si respirava già allora avrebbe potuto operare il miracolo di spostare
un’agiata ragazza borghese dal tranquillo Alabama per un viaggio fino
a New York, all’epoca non ancora il faro culturale del pianeta che sarebbe
divenuta nel dopoguerra ma indubbiamente la città più culturalmente avanzata
e dinamica del continente. Mary Anderson era esattamente il tipo di giovane
americana entusiasta che non metteva limiti alla fantasia: il che la conduceva
a volte in situazioni sgradevoli,come quella tormenta. La pioggia sembrava
solo indecisa se trasformarsi in nevischio o in neve. E anche se per fortuna
a New York già esisteva il servizio pubblico, la velocità di spostamento
in quelle condizioni era di poco superiore al classico passo d’uomo. L’
autista
era in seria difficoltà, dovendo fermarsi spesso per pulire almeno il
parabrezza;
e per non perdere troppo tempo, di tanto in tanto semplicemente apriva
il finestrino e guidava sporgendosi fuori. Questo significava anche che
l’inclemenza dell’inverno aveva accesso all’abitacolo e raggiungeva
anche Mary, che si chiedeva come fosse possibile che un veicolo così avanzato
da poter fare a meno dei cavalli dovesse arrancare, letteralmente accecato
da nulla più che un po’ di pioggia. In realtà – anche se Mary non lo
sapeva – qualcuno aveva già sperimentato marchingegni di vario tipo destinati
ad asportare il velo d’acqua dai vetri delle automobili: alcuni anche
oscillanti, ma sempre con scarso successo.
Fu nel freddissimo inverno newyorkese del
1903 che Mary Anderson si ritrovò a bordo di quell’autobus a motore. Solo
negli Stati Uniti il clima di relativa parità – oltre che di prosperità
– che si respirava già allora avrebbe potuto operare il miracolo di
spostare
un’agiata ragazza borghese dal tranquillo Alabama per un viaggio fino
a New York, all’epoca non ancora il faro culturale del pianeta che sarebbe
divenuta nel dopoguerra ma indubbiamente la città più culturalmente avanzata
e dinamica del continente. Mary Anderson era esattamente il tipo di giovane
americana entusiasta che non metteva limiti alla fantasia: il che la conduceva
a volte in situazioni sgradevoli,come quella tormenta. La pioggia sembrava
solo indecisa se trasformarsi in nevischio o in neve. E anche se per fortuna
a New York già esisteva il servizio pubblico, la velocità di spostamento
in quelle condizioni era di poco superiore al classico passo d’uomo.
L’autista
era in seria difficoltà, dovendo fermarsi spesso per pulire almeno il
parabrezza;
e per non perdere troppo tempo, di tanto in tanto semplicemente apriva
il finestrino e guidava sporgendosi fuori. Questo significava anche che
l’inclemenza dell’inverno aveva accesso all’abitacolo e
raggiungeva
anche Mary, che si chiedeva come fosse possibile che un veicolo così avanzato
da poter fare a meno dei cavalli dovesse arrancare, letteralmente accecato
da nulla più che un po’ di pioggia. In realtà – anche se Mary non lo
sapeva – qualcuno aveva già sperimentato marchingegni di vario tipo
destinati
ad asportare il velo d’acqua dai vetri delle automobili: alcuni anche
oscillanti, ma sempre con scarso successo.
Un’idea semplice…
La maggioranza degli esperti riteneva infatti che il movimento delle spazzole
avrebbe finito per distrarre il guidatore, già alle prese con una miriade
di comandi e con le insidie
della strada e del suo crescente traffico. Così, quei pochi che montavano
dispositivi contro la pioggia, li smontavano all’arrivare della primavera.
Mary pensò che sarebbe stato semplice trovare una soluzione a quel problema.
Le bastava inventare una qualche specie di leva che dall’interno dell’abitacolo
azionava le spazzole. Tornata a casa, schizzò su un foglio di carta alcune
forme che le vennero in mente. E così, lavorando tra lo scetticismo e l’ilarità
degli esperti, un anno e mezzo più tardi l’intraprendente Mary ottenne
il brevetto per la sua invenzione: una spazzola azionata manualmente che
descriveva un arco di circonferenza. Era il 1905. Dieci anni più tardi
i tergicristalli avrebbero equipaggiato di serie tutte le automobili costruite
negli Stati Uniti. Sulle vetture più sofisticate, quelli manuali venivano
già sostituiti dalle prime versioni dotate di motore elettrico. La storia
del tergicristalli, una delle poche invenzioni di mano femminile nel settore,
è insomma vecchia quasi come quella dell’automobile, e non si è mai veramente
conclusa nonostante il principio di funzionamento sia sostanzialmente rimasto
lo stesso da allora: una spazzola montata su un perno che oscilla sul parabrezza
rimovendo il velo d’acqua accumulata sullo stesso. Certo all’epoca di
Mary era tutto più facile: i parabrezza erano piani (gli ultimi visti nell’era
moderna sono quelli della Panda di Giugiaro) e le prestazioni dei veicoli
modeste.
La maggioranza degli esperti riteneva infatti
che il movimento delle spazzole avrebbe finito per distrarre il guidatore,
già alle prese con una miriade di comandi e con le insidie
della strada e del suo crescente traffico.
Così, quei pochi che montavano dispositivi contro la pioggia, li smontavano
all’arrivare della primavera. Mary pensò che sarebbe stato semplice
trovare
una soluzione a quel problema. Le bastava inventare una qualche specie
di leva che dall’interno dell’abitacolo azionava le spazzole.
Tornata
a casa, schizzò su un foglio di carta alcune forme che le vennero in mente.
E così, lavorando tra lo scetticismo e l’ilarità degli esperti, un anno
e mezzo più tardi l’intraprendente Mary ottenne il brevetto per la sua
invenzione: una spazzola azionata manualmente che descriveva un arco di
circonferenza. Era il 1905. Dieci anni più tardi i tergicristalli
avrebbero
equipaggiato di serie tutte le automobili costruite negli Stati Uniti.
Sulle vetture più sofisticate, quelli manuali venivano già sostituiti dalle
prime versioni dotate di motore elettrico. La storia del tergicristalli,
una delle poche invenzioni di mano femminile nel settore, è insomma vecchia
quasi come quella dell’automobile, e non si è mai veramente conclusa
nonostante
il principio di funzionamento sia sostanzialmente rimasto lo stesso da
allora: una spazzola montata su un perno che oscilla sul parabrezza rimovendo
il velo d’acqua accumulata sullo stesso. Certo all’epoca di Mary era
tutto più facile: i parabrezza erano piani (gli ultimi visti nell’era
moderna sono quelli della Panda di Giugiaro) e le prestazioni dei veicoli
modeste.
Le cose si complicano..
Oggi le richieste cui un tergicristallo deve soddisfare sono molte di più.
Oltre all’affidabilità e alla durata da garantire, a questo strumento
si richiede di funzionare in un numero enorme di condizioni di servizio:
oltre alla pioggia, deve poter rimuovere la sporcizia depositata sul vetro,
la neve, le foglie, resistere al ghiaccio, al sole rovente e alla polvere
(senza contare che tergicristalli si trovano anche sugli aerei e persino
sullo Space Shuttle!). La forma e il cinematismo che ne assicura il
movimento devono garantirne il funzionamento fino alla massima velocità
raggiunta dal veicolo senza comprometterne l’aerodinamica, soprattutto
nella posizione di riposo. E tutto questo conservando un’accessibilità
meccanica totale e un costo particolarmente basso. Fondamentalmente
un tergicristallo deve garantire la detersione della più ampia porzione
di parabrezza possibile, accordandosi con la effettiva intensità della
pioggia perché le spazzole non dovrebbero mai scorrere sul parabrezza asciutto,
causa il loro deterioramento precoce. Il tutto è complicato dalla curvatura
e dalla forma del parabrezza, più o meno rettangolare o trapezoidale,
che mal si accorda con la traiettoria fondamentalmente circolare della
spazzola, legata all’esigenza di movimentarla in modo ripetitivo tramite
un motore elettrico. Intere scuole di tecnici si sono così sbizzarrite
per trovare la soluzione migliore, proponendone di tutti i tipi: da quella
delle due spazzole in tandem (semplice ed efficace, adottata sulla maggioranza
delle automobili) fino alla spazzola singola con braccio a lunghezza variabile
(molto efficace ma anche più complessa) tipica delle Mercedes C ed E fino
a poco tempo fa. La soluzione mono-spazzola che combina moto rotatorio
e traslatorio permette di raggiungere efficacemente anche gli angoli superiori
del parabrezza; tuttavia ultimamente chi aveva adottato il monospazzola
sta tornando al classico sistema bi-spazzola a seguito di alcuni studi
che hanno mostrato che i sistemi mono-spazzola possono avere effetti ipnotici
e distrarre il guidatore (proprio quello che temevano i primi detrattori
del sistema cento anni addietro!).
Oggi le richieste cui un tergicristallo
deve soddisfare sono molte di più. Oltre all’affidabilità e alla durata
da garantire, a questo strumento si richiede di funzionare in un numero
enorme di condizioni di servizio: oltre alla pioggia, deve poter rimuovere
la sporcizia depositata sul vetro, la neve, le foglie, resistere al ghiaccio,
al sole rovente e alla polvere (senza contare che tergicristalli si trovano
anche sugli aerei e persino sullo Space Shuttle!). La forma e il
cinematismo
che ne assicura il movimento devono garantirne il funzionamento fino alla
massima velocità raggiunta dal veicolo senza comprometterne
l’aerodinamica,
soprattutto nella posizione di riposo. E tutto questo conservando
un’accessibilità
meccanica totale e un costo particolarmente basso. Fondamentalmente
un tergicristallo deve garantire la detersione della più ampia porzione
di parabrezza possibile, accordandosi con la effettiva intensità della
pioggia perché le spazzole non dovrebbero mai scorrere sul parabrezza asciutto,
causa il loro deterioramento precoce. Il tutto è complicato dalla curvatura
e dalla forma del parabrezza, più o meno rettangolare o trapezoidale,
che mal si accorda con la traiettoria fondamentalmente circolare della
spazzola, legata all’esigenza di movimentarla in modo ripetitivo tramite
un motore elettrico. Intere scuole di tecnici si sono così sbizzarrite
per trovare la soluzione migliore, proponendone di tutti i tipi: da quella
delle due spazzole in tandem (semplice ed efficace, adottata sulla maggioranza
delle automobili) fino alla spazzola singola con braccio a lunghezza variabile
(molto efficace ma anche più complessa) tipica delle Mercedes C ed E fino
a poco tempo fa. La soluzione mono-spazzola che combina moto rotatorio
e traslatorio permette di raggiungere efficacemente anche gli angoli superiori
del parabrezza; tuttavia ultimamente chi aveva adottato il monospazzola
sta tornando al classico sistema bi-spazzola a seguito di alcuni studi
che hanno mostrato che i sistemi mono-spazzola possono avere effetti ipnotici
e distrarre il guidatore (proprio quello che temevano i primi detrattori
del sistema cento anni addietro!).
Tre aspetti importanti
Dal punto di vista ingegneristico, di un tergicristallo sono importanti
tre aspetti: la traiettoria, la distribuzione della pressione sulla spazzola
e la coppia richiesta al motore per funzionare nella condizione peggiore.
Sono da prendere in considerazione anche l’aspetto aerodinamico (ad alta
velocità il tergicristallo risulta premuto conto il parabrezza, aumentando
gli attriti responsabili della resistenza alla rotazione) e la disponibilità
di una regolazione di velocità per evitare di asciugare troppo il parabrezza
con le conseguenze che si sono dette. Tanto per dare un’idea, un tergicristalli
moderno è collaudato per eseguire almeno 1 milione di spazzate. L’azionamento
dev’essere compatto, affidabile e assorbire la minor potenza possibile.
La potenza richiesta dalla spazzola può però essere anche significativa:
il motore deve accelerare la spazzola da ferma, vincendo forze anche consistenti
(per esempio quando deve spostare uno strato di neve, o quando il veicolo
procede a velocità elevata in autostrada) e per di più moltiplicate dalla
leva costituita dal braccio mobile che supporta l’archetto su cui è montata
la spazzola. La miglior combinazione per ottenere queste prestazioni è
data da un motore elettrico abbinato ad una coppia ruota elicoidale-vite
senza fine. Questo accoppiamento consente di ottenere in pochissimo spazio
riduzioni del regime di rotazione di 50 e più volte, mentre parallelamente
la coppia trasmessa viene incrementata dello stesso fattore. Un circuito
elettronico valuta la posizione delle spazzole e garantisce che ritornino
nella posizione di riposo, alimentando il motore fin quando questa non
viene raggiunta, in qualunque momento venga disattivato il meccanismo.
Lo stesso circuito controlla la posizione durante il funzionamento
intermittente.
Molta della tecnologia del tergicristallo è racchiusa nel cinematismo che
trasforma il moto da circolare ad alternato. Solitamente si sfrutta un
quadrilatero articolato, formato da due bielle di lunghezza diversa e un’asta
intermedia (la quarta asta del quadrilatero è costituita dalla struttura
di fissaggio, ovvero un tratto di scocca del veicolo stesso). Questo cinematismo
realizza una sorta di manovella che riesce a imprimere alla spazzola la
legge di moto richiesta e può incrementare la coppia disponibile alla
spazzola.
Dal punto di vista ingegneristico, di un
tergicristallo sono importanti tre aspetti: la traiettoria, la distribuzione
della pressione sulla spazzola e la coppia richiesta al motore per funzionare
nella condizione peggiore. Sono da prendere in considerazione anche
l’aspetto
aerodinamico (ad alta velocità il tergicristallo risulta premuto conto
il parabrezza, aumentando gli attriti responsabili della resistenza alla
rotazione) e la disponibilità di una regolazione di velocità per evitare
di asciugare troppo il parabrezza con le conseguenze che si sono dette.
Tanto per dare un’idea, un tergicristalli moderno è collaudato per
eseguire
almeno 1 milione di spazzate. L’azionamento dev’essere compatto,
affidabile
e assorbire la minor potenza possibile. La potenza richiesta dalla spazzola
può però essere anche significativa: il motore deve accelerare la spazzola
da ferma, vincendo forze anche consistenti (per esempio quando deve spostare
uno strato di neve, o quando il veicolo procede a velocità elevata in
autostrada)
e per di più moltiplicate dalla leva costituita dal braccio mobile che
supporta l’archetto su cui è montata la spazzola. La miglior combinazione
per ottenere queste prestazioni è data da un motore elettrico abbinato
ad una coppia ruota elicoidale-vite senza fine. Questo accoppiamento consente
di ottenere in pochissimo spazio riduzioni del regime di rotazione di 50
e più volte, mentre parallelamente la coppia trasmessa viene incrementata
dello stesso fattore. Un circuito elettronico valuta la posizione delle
spazzole e garantisce che ritornino nella posizione di riposo, alimentando
il motore fin quando questa non viene raggiunta, in qualunque momento venga
disattivato il meccanismo. Lo stesso circuito controlla la posizione durante
il funzionamento intermittente. Molta della tecnologia del tergicristallo
è racchiusa nel cinematismo che trasforma il moto da circolare ad alternato.
Solitamente si sfrutta un quadrilatero articolato, formato da due bielle
di lunghezza diversa e un’asta intermedia (la quarta asta del quadrilatero
è costituita dalla struttura di fissaggio, ovvero un tratto di scocca del
veicolo stesso). Questo cinematismo realizza una sorta di manovella che
riesce a imprimere alla spazzola la legge di moto richiesta e può incrementare
la coppia disponibile alla spazzola.
E in USA….
I costruttori americani prediligono una soluzione diversa in cui l’albero
di uscita del motore elettrico fa ruotare una camma, che fa muovere avanti
e indietro una biella un po’ come le camme della testa fanno con le valvole;
a questa biella ne è collegata una seconda, più corta, che mette in movimento
l’arco dal lato guida; un’ultima lunga biella porta il moto all’altra
spazzola (lato passeggero), anche se nelle soluzioni più recenti si può
avere un motore per ciascuna spazzola. La lunghezza delle bielle e
la forma della camma sono il segreto dell’efficienza delle spazzole: dalla
loro posizione deriva infatti la loro cinematica, ovvero traiettoria e
velocità istante per istante. Mentre infatti il motore elettrico ruota
a velocità costante, la velocità delle spazzole va da zero (nei punti in
cui il moto si inverte) a un massimo raggiunto più o meno nella posizione
verticale. Una buona scelta dei “punti di biella”, ovvero della dimensione
delle bielle (una procedura matematica che fa ricorso ai numeri complessi)
costituisce il punto di partenza per ottenere un movimento
regolare, con accelerazioni ragionevoli ai punti di inversione del moto
e traiettorie in grado di ricoprire un’ampia porzione del parabrezza.
I costruttori americani prediligono
una soluzione diversa in cui l’albero di uscita del motore elettrico fa
ruotare una camma, che fa muovere avanti e indietro una biella un po’
come le camme della testa fanno con le valvole; a questa biella ne è collegata
una seconda, più corta, che mette in movimento l’arco dal lato guida;
un’ultima lunga biella porta il moto all’altra spazzola (lato
passeggero),
anche se nelle soluzioni più recenti si può avere un motore per ciascuna
spazzola. La lunghezza delle bielle e la forma della camma sono il
segreto dell’efficienza delle spazzole: dalla loro posizione deriva
infatti
la loro cinematica, ovvero traiettoria e velocità istante per istante.
Mentre infatti il motore elettrico ruota a velocità costante, la velocità
delle spazzole va da zero (nei punti in cui il moto si inverte) a un massimo
raggiunto più o meno nella posizione verticale. Una buona scelta dei
“punti
di biella”, ovvero della dimensione delle bielle (una procedura matematica
che fa ricorso ai numeri complessi) costituisce il punto di partenza per
ottenere un movimento
regolare, con accelerazioni ragionevoli
ai punti di inversione del moto e traiettorie in grado di ricoprire
un’ampia
porzione del parabrezza.
Una vita sotto pressione…
Il sistema monospazzola sfrutta lo stesso principio, ma ricorre a un diverso
sistema articolato che, anziché prevedere una seconda spazzola, varia la
lunghezza e l’inclinazione della spazzola centrale singola in modo da
farle spazzare quasi per intero la superficie del parabrezza: è un gioco
più complicato, ma dai risultati eccellenti. La lunghezza del braccio non
può evidentemente essere fissa perché o lascerebbe scoperte due ampie fasce
laterali del parabrezza (come accade con i tergilunotti, che utilizzano
spazzole a corsa fissa) oppure uscirebbe dal bordo superiore, cosa inammissibile
per motivi sia meccanici che aerodinamici. La spazzola è basata su
una striscia di gomma che aderisce al vetro e sposta lo strato d’acqua
depositato. Per aderire al vetro, che non è piano ma bombato e spesso con
più di un raggio di curvatura, deve essere flessibile e monta a questo
scopo un sottosistema di archetti con generalmente sei o otto punti di
attacco. Per evitare strisciamenti o usura precoce della gomma è fondamentale
che la pressione sia il più possibile uniforme sulla lunghezza della spazzola,
nonostante la curvatura: questo è appunto il compito degli archetti.
Il sistema monospazzola sfrutta lo stesso
principio, ma ricorre a un diverso sistema articolato che, anziché prevedere
una seconda spazzola, varia la lunghezza e l’inclinazione della spazzola
centrale singola in modo da farle spazzare quasi per intero la superficie
del parabrezza: è un gioco più complicato, ma dai risultati eccellenti.
La lunghezza del braccio non può evidentemente essere fissa perché o lascerebbe
scoperte due ampie fasce laterali del parabrezza (come accade con i
tergilunotti,
che utilizzano spazzole a corsa fissa) oppure uscirebbe dal bordo superiore,
cosa inammissibile per motivi sia meccanici che aerodinamici. La
spazzola
è basata su una striscia di gomma che aderisce al vetro e sposta lo strato
d’acqua depositato. Per aderire al vetro, che non è piano ma bombato e
spesso con più di un raggio di curvatura, deve essere flessibile e monta
a questo scopo un sottosistema di archetti con generalmente sei o otto
punti di attacco. Per evitare strisciamenti o usura precoce della gomma
è fondamentale che la pressione sia il più possibile uniforme sulla lunghezza
della spazzola, nonostante la curvatura: questo è appunto il compito degli
archetti.
Sensori di pioggia
Negli ultimi anni si sono viste anche spazzole “carenate” con piccoli
spoiler. La funzione di queste appendici è naturalmente di sfruttare la
pressione dell’aria per migliorare il contatto gomma-vetro e rompere più
efficacemente il velo d’acqua, oltre che di ridurre le turbolenze nella
zona di passaggio dal cofano al parabrezza, che possono costare parecchio
in termini di Cx. I sensori di pioggia ovvero il tergicristallo
intelligente
Come ben sappiamo, l’avvento dei transistor quarant’anni fa ha reso l’
intelligenza
a buon mercato. A questa intelligenza si richiede di sollevarci da compiti
noiosi e stupidi (il che lascia qualche dubbio sul tipo di intelligenza
di cui si tratta) quali accendere le luci o i tergicristalli. La tecnologia
dei sensori di pioggia ha ormai una decina d’anni, avendo debuttato alla
metà degli anni ’90 sia in America che in Europa (sulla Peugeot 406).
Questa tecnologia è ormai prodotta da molti dei grandi fornitori
automotive
(Bosch, Denso, TRW, Valeo) e sta diventando uno standard sulle automobili
di fascia media e alta. Le ultime generazioni hanno tra l’altro un assorbimento
di energia molto basso, quindi – pur richiedendo costantemente energia
come tutti i sistemi attivi di bordo – hanno un impatto trascurabile sia
sui consumi che sulle dimensioni di batteria e alternatore; possono così
essere lasciate in funzione per sfruttarne il tempo di risposta, così ridotto
(circa 10 millisecondi) da renderle determinanti in casi di brusco “oscuramento”
del parabrezza, dovuti ad esempio ad un improvviso spruzzo d’acqua.
Tutti i sistemi di questa categoria sono di tipo ottico e sfruttano la
differenza nelle proprietà riflettenti o rifrangenti del vetro bagnato
rispetto al vetro asciutto quando su di esso viene proiettato un fascio
luminoso. La luce infrarossa, invisibile al conducente, viene emessa e
raccolta da speciali fotodiodi in grado di rilevare cambiamenti sia di
intensità che di frequenza della luce. Questi cambiamenti vengono continuamente
confrontati, in un processore dedicato, con dei valori predeterminati e
la velocità dei tergicristalli regolata di conseguenza. Il sistema è sofisticato
e delicato da mettere a punto, ma la sua sensibilità arriva ora a 0,005
millilitri d’acqua! Molti sforzi sono stati necessari per accordare la
sensibilità dei fotodiodi alla quantità di pioggia e allo stesso tempo
limitare interferenze quali la presenza di vetri fotocromatici, head-up
display, strati di cera o righe sul vetro. Superati questi ostacoli, i
sistemi ottici sono ormai arrivati alla terza generazione, senza essere
impensieriti dalla concorrenza di sistemi alternativi come quelli acustici
o capacitivi.
Negli ultimi anni si sono viste anche
spazzole “carenate” con piccoli spoiler. La funzione di queste
appendici
è naturalmente di sfruttare la pressione dell’aria per migliorare il
contatto
gomma-vetro e rompere più efficacemente il velo d’acqua, oltre che di
ridurre le turbolenze nella zona di passaggio dal cofano al parabrezza,
che possono costare parecchio in termini di Cx. I sensori di pioggia
ovvero il tergicristallo intelligente Come ben sappiamo, l’avvento dei
transistor quarant’anni fa ha reso l’intelligenza a buon mercato. A
questa
intelligenza si richiede di sollevarci da compiti noiosi e stupidi (il
che lascia qualche dubbio sul tipo di intelligenza di cui si tratta) quali
accendere le luci o i tergicristalli. La tecnologia dei sensori di pioggia
ha ormai una decina d’anni, avendo debuttato alla metà degli anni
’90
sia in America che in Europa (sulla Peugeot 406). Questa tecnologia
è ormai prodotta da molti dei grandi fornitori automotive (Bosch, Denso,
TRW, Valeo) e sta diventando uno standard sulle automobili di fascia media
e alta. Le ultime generazioni hanno tra l’altro un assorbimento di energia
molto basso, quindi – pur richiedendo costantemente energia come tutti
i sistemi attivi di bordo – hanno un impatto trascurabile sia sui consumi
che sulle dimensioni di batteria e alternatore; possono così essere lasciate
in funzione per sfruttarne il tempo di risposta, così ridotto (circa 10
millisecondi) da renderle determinanti in casi di brusco
“oscuramento”
del parabrezza, dovuti ad esempio ad un improvviso spruzzo
d’acqua.
Tutti i sistemi di questa categoria sono di tipo ottico e sfruttano la
differenza nelle proprietà riflettenti o rifrangenti del vetro bagnato
rispetto al vetro asciutto quando su di esso viene proiettato un fascio
luminoso. La luce infrarossa, invisibile al conducente, viene emessa e
raccolta da speciali fotodiodi in grado di rilevare cambiamenti sia di
intensità che di frequenza della luce. Questi cambiamenti vengono continuamente
confrontati, in un processore dedicato, con dei valori predeterminati e
la velocità dei tergicristalli regolata di conseguenza. Il sistema è sofisticato
e delicato da mettere a punto, ma la sua sensibilità arriva ora a 0,005
millilitri d’acqua! Molti sforzi sono stati necessari per accordare la
sensibilità dei fotodiodi alla quantità di pioggia e allo stesso tempo
limitare interferenze quali la presenza di vetri fotocromatici, head-up
display, strati di cera o righe sul vetro. Superati questi ostacoli, i
sistemi ottici sono ormai arrivati alla terza generazione, senza essere
impensieriti dalla concorrenza di sistemi alternativi come quelli acustici
o capacitivi.
Le alterne oscillazioni della…sorte umana
Non si sa quanto Mary Anderson abbia ricavato dal suo brevetto, ma un altro
caso è più famoso del suo nella storia del tergicristalli. Si tratta di
quello di Robert Kearns, anche lui americano, professore alla facoltà di
ingegneria alla Wayne State University di Detroit, che nel 1967 brevettò
il principio dei tergicristalli intermittenti. Ne mostrò un prototipo
funzionante agli ingegneri della Ford, i quali ne brevettarono a loro volta
una versione modificata che iniziarono a installare sulle loro vetture
nel 1969. A partire dal 1978, Kearns ha avviato una lunga serie di cause
milionarie contro praticamente tutti i Costruttori – da Ford a Toyota,
da Peugeot a Ferrari – che avevano a suo dire continuato a installare
tergicristalli intermittenti senza riconoscere la sua paternità intellettuale
(e i relativi diritti). Negli anni ’90 Kearns ha vinto le prime sentenze
definitive (Chrysler) o ha concordato un risarcimento (Ford), portando
a casa parecchi milioni di dollari. Che secondo lui, comunque, bastavano
appena a coprire le gigantesche spese legali di processi durati decenni.
La
fortuna, è il caso di dire, va e viene.
Non si sa quanto Mary Anderson abbia
ricavato dal suo brevetto, ma un altro caso è più famoso del suo nella
storia del tergicristalli. Si tratta di quello di Robert Kearns, anche
lui americano, professore alla facoltà di ingegneria alla Wayne State University
di Detroit, che nel 1967 brevettò il principio dei tergicristalli
intermittenti.
Ne mostrò un prototipo funzionante agli ingegneri della Ford, i quali ne
brevettarono a loro volta una versione modificata che iniziarono a installare
sulle loro vetture nel 1969. A partire dal 1978, Kearns ha avviato una
lunga serie di cause milionarie contro praticamente tutti i Costruttori
– da Ford a Toyota, da Peugeot a Ferrari – che avevano a suo dire
continuato
a installare tergicristalli intermittenti senza riconoscere la sua paternità
intellettuale (e i relativi diritti). Negli anni ’90 Kearns ha
vinto
le prime sentenze definitive (Chrysler) o ha concordato un risarcimento
(Ford), portando a casa parecchi milioni di dollari. Che secondo lui, comunque,
bastavano appena a coprire le gigantesche spese legali di processi durati
decenni. La
fortuna, è il caso di dire, va e viene.
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