23 November 2007

Tecnica: tergicristalli

Tecnica: tergicristalli

Introduzione


Fu nel freddissimo inverno newyorkese del 1903 che Mary Anderson si ritrovò a bordo di quell’autobus a motore. Solo negli Stati Uniti il clima di relativa parità – oltre che di prosperità – che si respirava già allora avrebbe potuto operare il miracolo di spostare un’agiata ragazza borghese dal tranquillo Alabama per un viaggio fino a New York, all’epoca non ancora il faro culturale del pianeta che sarebbe divenuta nel dopoguerra ma indubbiamente la città più culturalmente avanzata e dinamica del continente. Mary Anderson era esattamente il tipo di giovane americana entusiasta che non metteva limiti alla fantasia: il che la conduceva a volte in situazioni sgradevoli,come quella tormenta. La pioggia sembrava solo indecisa se trasformarsi in nevischio o in neve. E anche se per fortuna a New York già esisteva il servizio pubblico, la velocità di spostamento in quelle condizioni era di poco superiore al classico passo d’uomo. L’ autista era in seria difficoltà, dovendo fermarsi spesso per pulire almeno il parabrezza; e per non perdere troppo tempo, di tanto in tanto semplicemente apriva il finestrino e guidava sporgendosi fuori. Questo significava anche che l’inclemenza dell’inverno aveva accesso all’abitacolo e raggiungeva anche Mary, che si chiedeva come fosse possibile che un veicolo così avanzato da poter fare a meno dei cavalli dovesse arrancare, letteralmente accecato da nulla più che un po’ di pioggia. In realtà – anche se Mary non lo sapeva – qualcuno aveva già sperimentato marchingegni di vario tipo destinati ad asportare il velo d’acqua dai vetri delle automobili: alcuni anche oscillanti, ma sempre con scarso successo.
Fu nel freddissimo inverno newyorkese del 1903 che Mary Anderson si ritrovò a bordo di quell’autobus a motore. Solo negli Stati Uniti il clima di relativa parità – oltre che di prosperità – che si respirava già allora avrebbe potuto operare il miracolo di spostare un’agiata ragazza borghese dal tranquillo Alabama per un viaggio fino a New York, all’epoca non ancora il faro culturale del pianeta che sarebbe divenuta nel dopoguerra ma indubbiamente la città più culturalmente avanzata e dinamica del continente. Mary Anderson era esattamente il tipo di giovane americana entusiasta che non metteva limiti alla fantasia: il che la conduceva a volte in situazioni sgradevoli,come quella tormenta. La pioggia sembrava solo indecisa se trasformarsi in nevischio o in neve. E anche se per fortuna a New York già esisteva il servizio pubblico, la velocità di spostamento in quelle condizioni era di poco superiore al classico passo d’uomo. L’autista era in seria difficoltà, dovendo fermarsi spesso per pulire almeno il parabrezza; e per non perdere troppo tempo, di tanto in tanto semplicemente apriva il finestrino e guidava sporgendosi fuori. Questo significava anche che l’inclemenza dell’inverno aveva accesso all’abitacolo e raggiungeva anche Mary, che si chiedeva come fosse possibile che un veicolo così avanzato da poter fare a meno dei cavalli dovesse arrancare, letteralmente accecato da nulla più che un po’ di pioggia. In realtà – anche se Mary non lo sapeva – qualcuno aveva già sperimentato marchingegni di vario tipo destinati ad asportare il velo d’acqua dai vetri delle automobili: alcuni anche oscillanti, ma sempre con scarso successo.

Un’idea semplice…



La maggioranza degli esperti riteneva infatti che il movimento delle spazzole avrebbe finito per distrarre il guidatore, già alle prese con una miriade di comandi e con le insidie
della strada e del suo crescente traffico. Così, quei pochi che montavano dispositivi contro la pioggia, li smontavano all’arrivare della primavera. Mary pensò che sarebbe stato semplice trovare una soluzione a quel problema. Le bastava inventare una qualche specie di leva che dall’interno dell’abitacolo azionava le spazzole. Tornata a casa, schizzò su un foglio di carta alcune forme che le vennero in mente. E così, lavorando tra lo scetticismo e l’ilarità degli esperti, un anno e mezzo più tardi l’intraprendente Mary ottenne il brevetto per la sua invenzione: una spazzola azionata manualmente che descriveva un arco di circonferenza. Era il 1905. Dieci anni più tardi i tergicristalli avrebbero equipaggiato di serie tutte le automobili costruite negli Stati Uniti. Sulle vetture più sofisticate, quelli manuali venivano già sostituiti dalle prime versioni dotate di motore elettrico. La storia del tergicristalli, una delle poche invenzioni di mano femminile nel settore, è insomma vecchia quasi come quella dell’automobile, e non si è mai veramente conclusa nonostante il principio di funzionamento sia sostanzialmente rimasto lo stesso da allora: una spazzola montata su un perno che oscilla sul parabrezza rimovendo il velo d’acqua accumulata sullo stesso. Certo all’epoca di Mary era tutto più facile: i parabrezza erano piani (gli ultimi visti nell’era moderna sono quelli della Panda di Giugiaro) e le prestazioni dei veicoli modeste.

La maggioranza degli esperti riteneva infatti che il movimento delle spazzole avrebbe finito per distrarre il guidatore, già alle prese con una miriade di comandi e con le insidie
della strada e del suo crescente traffico. Così, quei pochi che montavano dispositivi contro la pioggia, li smontavano all’arrivare della primavera. Mary pensò che sarebbe stato semplice trovare una soluzione a quel problema. Le bastava inventare una qualche specie di leva che dall’interno dell’abitacolo azionava le spazzole. Tornata a casa, schizzò su un foglio di carta alcune forme che le vennero in mente. E così, lavorando tra lo scetticismo e l’ilarità degli esperti, un anno e mezzo più tardi l’intraprendente Mary ottenne il brevetto per la sua invenzione: una spazzola azionata manualmente che descriveva un arco di circonferenza. Era il 1905. Dieci anni più tardi i tergicristalli avrebbero equipaggiato di serie tutte le automobili costruite negli Stati Uniti. Sulle vetture più sofisticate, quelli manuali venivano già sostituiti dalle prime versioni dotate di motore elettrico. La storia del tergicristalli, una delle poche invenzioni di mano femminile nel settore, è insomma vecchia quasi come quella dell’automobile, e non si è mai veramente conclusa nonostante il principio di funzionamento sia sostanzialmente rimasto lo stesso da allora: una spazzola montata su un perno che oscilla sul parabrezza rimovendo il velo d’acqua accumulata sullo stesso. Certo all’epoca di Mary era tutto più facile: i parabrezza erano piani (gli ultimi visti nell’era moderna sono quelli della Panda di Giugiaro) e le prestazioni dei veicoli modeste.

Le cose si complicano..



Oggi le richieste cui un tergicristallo deve soddisfare sono molte di più. Oltre all’affidabilità e alla durata da garantire, a questo strumento si richiede di funzionare in un numero enorme di condizioni di servizio: oltre alla pioggia, deve poter rimuovere la sporcizia depositata sul vetro, la neve, le foglie, resistere al ghiaccio, al sole rovente e alla polvere (senza contare che tergicristalli si trovano anche sugli aerei e persino sullo Space Shuttle!). La forma e il cinematismo che ne assicura il movimento devono garantirne il funzionamento fino alla massima velocità raggiunta dal veicolo senza comprometterne l’aerodinamica, soprattutto nella posizione di riposo. E tutto questo conservando un’accessibilità meccanica totale e un costo particolarmente basso. Fondamentalmente un tergicristallo deve garantire la detersione della più ampia porzione di parabrezza possibile, accordandosi con la effettiva intensità della pioggia perché le spazzole non dovrebbero mai scorrere sul parabrezza asciutto, causa il loro deterioramento precoce. Il tutto è complicato dalla curvatura e dalla forma del parabrezza,  più o meno rettangolare o trapezoidale, che mal si accorda con la traiettoria fondamentalmente circolare della spazzola, legata all’esigenza di movimentarla in modo ripetitivo tramite un motore elettrico. Intere scuole di tecnici si sono così sbizzarrite per trovare la soluzione migliore, proponendone di tutti i tipi: da quella delle due spazzole in tandem (semplice ed efficace, adottata sulla maggioranza delle automobili) fino alla spazzola singola con braccio a lunghezza variabile (molto efficace ma anche più complessa) tipica delle Mercedes C ed E fino a poco tempo fa. La soluzione mono-spazzola che combina moto rotatorio e traslatorio permette di raggiungere efficacemente anche gli angoli superiori del parabrezza; tuttavia ultimamente chi aveva adottato il monospazzola sta tornando al classico sistema bi-spazzola a seguito di alcuni studi che hanno mostrato che i sistemi mono-spazzola possono avere effetti ipnotici e distrarre il guidatore (proprio quello che temevano i primi detrattori del sistema cento anni addietro!).

Oggi le richieste cui un tergicristallo deve soddisfare sono molte di più. Oltre all’affidabilità e alla durata da garantire, a questo strumento si richiede di funzionare in un numero enorme di condizioni di servizio: oltre alla pioggia, deve poter rimuovere la sporcizia depositata sul vetro, la neve, le foglie, resistere al ghiaccio, al sole rovente e alla polvere (senza contare che tergicristalli si trovano anche sugli aerei e persino sullo Space Shuttle!). La forma e il cinematismo che ne assicura il movimento devono garantirne il funzionamento fino alla massima velocità raggiunta dal veicolo senza comprometterne l’aerodinamica, soprattutto nella posizione di riposo. E tutto questo conservando un’accessibilità meccanica totale e un costo particolarmente basso. Fondamentalmente un tergicristallo deve garantire la detersione della più ampia porzione di parabrezza possibile, accordandosi con la effettiva intensità della pioggia perché le spazzole non dovrebbero mai scorrere sul parabrezza asciutto, causa il loro deterioramento precoce. Il tutto è complicato dalla curvatura e dalla forma del parabrezza,  più o meno rettangolare o trapezoidale, che mal si accorda con la traiettoria fondamentalmente circolare della spazzola, legata all’esigenza di movimentarla in modo ripetitivo tramite un motore elettrico. Intere scuole di tecnici si sono così sbizzarrite per trovare la soluzione migliore, proponendone di tutti i tipi: da quella delle due spazzole in tandem (semplice ed efficace, adottata sulla maggioranza delle automobili) fino alla spazzola singola con braccio a lunghezza variabile (molto efficace ma anche più complessa) tipica delle Mercedes C ed E fino a poco tempo fa. La soluzione mono-spazzola che combina moto rotatorio e traslatorio permette di raggiungere efficacemente anche gli angoli superiori del parabrezza; tuttavia ultimamente chi aveva adottato il monospazzola sta tornando al classico sistema bi-spazzola a seguito di alcuni studi che hanno mostrato che i sistemi mono-spazzola possono avere effetti ipnotici e distrarre il guidatore (proprio quello che temevano i primi detrattori del sistema cento anni addietro!).

Tre aspetti importanti



Dal punto di vista ingegneristico, di un tergicristallo sono importanti tre aspetti: la traiettoria, la distribuzione della pressione sulla spazzola e la coppia richiesta al motore per funzionare nella condizione peggiore. Sono da prendere in considerazione anche l’aspetto aerodinamico (ad alta velocità il tergicristallo risulta premuto conto il parabrezza, aumentando gli attriti responsabili della resistenza alla rotazione) e la disponibilità di una regolazione di velocità per evitare di asciugare troppo il parabrezza con le conseguenze che si sono dette. Tanto per dare un’idea, un tergicristalli moderno è collaudato per eseguire almeno 1 milione di spazzate. L’azionamento dev’essere compatto, affidabile e assorbire la minor potenza possibile. La potenza richiesta dalla spazzola può però essere anche significativa: il motore deve accelerare la spazzola da ferma, vincendo forze anche consistenti (per esempio quando deve spostare uno strato di neve, o quando il veicolo procede a velocità elevata in autostrada) e per di più moltiplicate dalla leva costituita dal braccio mobile che supporta l’archetto su cui è montata la spazzola. La miglior combinazione per ottenere queste prestazioni è data da un motore elettrico abbinato ad una coppia ruota elicoidale-vite senza fine. Questo accoppiamento consente di ottenere in pochissimo spazio riduzioni del regime di rotazione di 50 e più volte, mentre parallelamente la coppia trasmessa viene incrementata dello stesso fattore. Un circuito elettronico valuta la posizione delle spazzole e garantisce che ritornino nella posizione di riposo, alimentando il motore fin quando questa non viene raggiunta, in qualunque momento venga disattivato il meccanismo. Lo stesso circuito controlla la posizione durante il funzionamento intermittente. Molta della tecnologia del tergicristallo è racchiusa nel cinematismo che trasforma il moto da circolare ad alternato. Solitamente si sfrutta un quadrilatero articolato, formato da due bielle di lunghezza diversa e un’asta intermedia (la quarta asta del quadrilatero è costituita dalla struttura di fissaggio, ovvero un tratto di scocca del veicolo stesso). Questo cinematismo realizza una sorta di manovella che riesce a imprimere alla spazzola la legge di moto richiesta e può incrementare la coppia disponibile alla spazzola.

Dal punto di vista ingegneristico, di un tergicristallo sono importanti tre aspetti: la traiettoria, la distribuzione della pressione sulla spazzola e la coppia richiesta al motore per funzionare nella condizione peggiore. Sono da prendere in considerazione anche l’aspetto aerodinamico (ad alta velocità il tergicristallo risulta premuto conto il parabrezza, aumentando gli attriti responsabili della resistenza alla rotazione) e la disponibilità di una regolazione di velocità per evitare di asciugare troppo il parabrezza con le conseguenze che si sono dette. Tanto per dare un’idea, un tergicristalli moderno è collaudato per eseguire almeno 1 milione di spazzate. L’azionamento dev’essere compatto, affidabile e assorbire la minor potenza possibile. La potenza richiesta dalla spazzola può però essere anche significativa: il motore deve accelerare la spazzola da ferma, vincendo forze anche consistenti (per esempio quando deve spostare uno strato di neve, o quando il veicolo procede a velocità elevata in autostrada) e per di più moltiplicate dalla leva costituita dal braccio mobile che supporta l’archetto su cui è montata la spazzola. La miglior combinazione per ottenere queste prestazioni è data da un motore elettrico abbinato ad una coppia ruota elicoidale-vite senza fine. Questo accoppiamento consente di ottenere in pochissimo spazio riduzioni del regime di rotazione di 50 e più volte, mentre parallelamente la coppia trasmessa viene incrementata dello stesso fattore. Un circuito elettronico valuta la posizione delle spazzole e garantisce che ritornino nella posizione di riposo, alimentando il motore fin quando questa non viene raggiunta, in qualunque momento venga disattivato il meccanismo. Lo stesso circuito controlla la posizione durante il funzionamento intermittente. Molta della tecnologia del tergicristallo è racchiusa nel cinematismo che trasforma il moto da circolare ad alternato. Solitamente si sfrutta un quadrilatero articolato, formato da due bielle di lunghezza diversa e un’asta intermedia (la quarta asta del quadrilatero è costituita dalla struttura di fissaggio, ovvero un tratto di scocca del veicolo stesso). Questo cinematismo realizza una sorta di manovella che riesce a imprimere alla spazzola la legge di moto richiesta e può incrementare la coppia disponibile alla spazzola.

E in USA….



I costruttori americani prediligono una soluzione diversa in cui l’albero di uscita del motore elettrico fa ruotare una camma, che fa muovere avanti e indietro una biella un po’ come le camme della testa fanno con le valvole; a questa biella ne è collegata una seconda, più corta, che mette in movimento l’arco dal lato guida; un’ultima lunga biella porta il moto all’altra spazzola (lato passeggero), anche se nelle soluzioni più recenti si può avere un motore per ciascuna spazzola.
La lunghezza delle bielle e la forma della camma sono il segreto dell’efficienza delle spazzole: dalla loro posizione deriva infatti la loro cinematica, ovvero traiettoria e velocità istante per istante. Mentre infatti il motore elettrico ruota a velocità costante, la velocità delle spazzole va da zero (nei punti in cui il moto si inverte) a un massimo raggiunto più o meno nella posizione verticale. Una buona scelta dei “punti di biella”, ovvero della dimensione delle bielle (una procedura matematica che fa ricorso ai numeri complessi) costituisce il punto di partenza per ottenere un movimento
regolare, con accelerazioni ragionevoli ai punti di inversione del moto e traiettorie in grado di ricoprire un’ampia porzione del parabrezza.

I costruttori americani prediligono una soluzione diversa in cui l’albero di uscita del motore elettrico fa ruotare una camma, che fa muovere avanti e indietro una biella un po’ come le camme della testa fanno con le valvole; a questa biella ne è collegata una seconda, più corta, che mette in movimento l’arco dal lato guida; un’ultima lunga biella porta il moto all’altra spazzola (lato passeggero), anche se nelle soluzioni più recenti si può avere un motore per ciascuna spazzola. La lunghezza delle bielle e la forma della camma sono il segreto dell’efficienza delle spazzole: dalla loro posizione deriva infatti la loro cinematica, ovvero traiettoria e velocità istante per istante. Mentre infatti il motore elettrico ruota a velocità costante, la velocità delle spazzole va da zero (nei punti in cui il moto si inverte) a un massimo raggiunto più o meno nella posizione verticale. Una buona scelta dei “punti di biella”, ovvero della dimensione delle bielle (una procedura matematica che fa ricorso ai numeri complessi) costituisce il punto di partenza per ottenere un movimento
regolare, con accelerazioni ragionevoli ai punti di inversione del moto e traiettorie in grado di ricoprire un’ampia porzione del parabrezza.

Una vita sotto pressione…



Il sistema monospazzola sfrutta lo stesso principio, ma ricorre a un diverso sistema articolato che, anziché prevedere una seconda spazzola, varia la lunghezza e l’inclinazione della spazzola centrale singola in modo da farle spazzare quasi per intero la superficie del parabrezza: è un gioco più complicato, ma dai risultati eccellenti. La lunghezza del braccio non può evidentemente essere fissa perché o lascerebbe scoperte due ampie fasce laterali del parabrezza (come accade con i tergilunotti, che utilizzano spazzole a corsa fissa) oppure uscirebbe dal bordo superiore, cosa inammissibile per motivi sia meccanici che aerodinamici.
La spazzola è basata su una striscia di gomma che aderisce al vetro e sposta lo strato d’acqua depositato. Per aderire al vetro, che non è piano ma bombato e spesso con più di un raggio di curvatura, deve essere flessibile e monta a questo scopo un sottosistema di archetti con generalmente sei o otto punti di attacco. Per evitare strisciamenti o usura precoce della gomma è fondamentale che la pressione sia il più possibile uniforme sulla lunghezza della spazzola, nonostante la curvatura: questo è appunto il compito degli archetti.

Il sistema monospazzola sfrutta lo stesso principio, ma ricorre a un diverso sistema articolato che, anziché prevedere una seconda spazzola, varia la lunghezza e l’inclinazione della spazzola centrale singola in modo da farle spazzare quasi per intero la superficie del parabrezza: è un gioco più complicato, ma dai risultati eccellenti. La lunghezza del braccio non può evidentemente essere fissa perché o lascerebbe scoperte due ampie fasce laterali del parabrezza (come accade con i tergilunotti, che utilizzano spazzole a corsa fissa) oppure uscirebbe dal bordo superiore, cosa inammissibile per motivi sia meccanici che aerodinamici. La spazzola è basata su una striscia di gomma che aderisce al vetro e sposta lo strato d’acqua depositato. Per aderire al vetro, che non è piano ma bombato e spesso con più di un raggio di curvatura, deve essere flessibile e monta a questo scopo un sottosistema di archetti con generalmente sei o otto punti di attacco. Per evitare strisciamenti o usura precoce della gomma è fondamentale che la pressione sia il più possibile uniforme sulla lunghezza della spazzola, nonostante la curvatura: questo è appunto il compito degli archetti.

Sensori di pioggia



Negli ultimi anni si sono viste anche spazzole “carenate” con piccoli spoiler. La funzione di queste appendici è naturalmente di sfruttare la pressione dell’aria per migliorare il contatto gomma-vetro e rompere più efficacemente il velo d’acqua, oltre che di ridurre le turbolenze nella zona di passaggio dal cofano al parabrezza, che possono costare parecchio in termini di Cx.
I sensori di pioggia ovvero il tergicristallo intelligente Come ben sappiamo, l’avvento dei transistor quarant’anni fa ha reso l’ intelligenza a buon mercato. A questa intelligenza si richiede di sollevarci da compiti noiosi e stupidi (il che lascia qualche dubbio sul tipo di intelligenza di cui si tratta) quali accendere le luci o i tergicristalli. La tecnologia dei sensori di pioggia ha ormai una decina d’anni, avendo debuttato alla metà degli anni ’90 sia in America che in Europa (sulla Peugeot 406). Questa tecnologia è ormai prodotta da molti dei grandi fornitori automotive (Bosch, Denso, TRW, Valeo) e sta diventando uno standard sulle automobili di fascia media e alta. Le ultime generazioni hanno tra l’altro un assorbimento di energia molto basso, quindi – pur richiedendo costantemente energia come tutti i sistemi attivi di bordo – hanno un impatto trascurabile sia sui consumi che sulle dimensioni di batteria e alternatore; possono così essere lasciate in funzione per sfruttarne il tempo di risposta, così ridotto (circa 10 millisecondi) da renderle determinanti in casi di brusco “oscuramento” del parabrezza, dovuti ad esempio ad un improvviso spruzzo d’acqua. Tutti i sistemi di questa categoria sono di tipo ottico e sfruttano la differenza nelle proprietà riflettenti o rifrangenti del vetro bagnato rispetto al vetro asciutto quando su di esso viene proiettato un fascio luminoso. La luce infrarossa, invisibile al conducente, viene emessa e raccolta da speciali fotodiodi in grado di rilevare cambiamenti sia di intensità che di frequenza della luce. Questi cambiamenti vengono continuamente confrontati, in un processore dedicato, con dei valori predeterminati e la velocità dei tergicristalli regolata di conseguenza. Il sistema è sofisticato e delicato da mettere a punto, ma la sua sensibilità arriva ora a 0,005 millilitri d’acqua! Molti sforzi sono stati necessari per accordare la sensibilità dei fotodiodi alla quantità di pioggia e allo stesso tempo limitare interferenze quali la presenza di vetri fotocromatici, head-up display, strati di cera o righe sul vetro. Superati questi ostacoli, i sistemi ottici sono ormai arrivati alla terza generazione, senza essere impensieriti dalla concorrenza di sistemi alternativi come quelli acustici o capacitivi.
Negli ultimi anni si sono viste anche spazzole “carenate” con piccoli spoiler. La funzione di queste appendici è naturalmente di sfruttare la pressione dell’aria per migliorare il contatto gomma-vetro e rompere più efficacemente il velo d’acqua, oltre che di ridurre le turbolenze nella zona di passaggio dal cofano al parabrezza, che possono costare parecchio in termini di Cx. I sensori di pioggia ovvero il tergicristallo intelligente Come ben sappiamo, l’avvento dei transistor quarant’anni fa ha reso l’intelligenza a buon mercato. A questa intelligenza si richiede di sollevarci da compiti noiosi e stupidi (il che lascia qualche dubbio sul tipo di intelligenza di cui si tratta) quali accendere le luci o i tergicristalli. La tecnologia dei sensori di pioggia ha ormai una decina d’anni, avendo debuttato alla metà degli anni ’90 sia in America che in Europa (sulla Peugeot 406). Questa tecnologia è ormai prodotta da molti dei grandi fornitori automotive (Bosch, Denso, TRW, Valeo) e sta diventando uno standard sulle automobili di fascia media e alta. Le ultime generazioni hanno tra l’altro un assorbimento di energia molto basso, quindi – pur richiedendo costantemente energia come tutti i sistemi attivi di bordo – hanno un impatto trascurabile sia sui consumi che sulle dimensioni di batteria e alternatore; possono così essere lasciate in funzione per sfruttarne il tempo di risposta, così ridotto (circa 10 millisecondi) da renderle determinanti in casi di brusco “oscuramento” del parabrezza, dovuti ad esempio ad un improvviso spruzzo d’acqua. Tutti i sistemi di questa categoria sono di tipo ottico e sfruttano la differenza nelle proprietà riflettenti o rifrangenti del vetro bagnato rispetto al vetro asciutto quando su di esso viene proiettato un fascio luminoso. La luce infrarossa, invisibile al conducente, viene emessa e raccolta da speciali fotodiodi in grado di rilevare cambiamenti sia di intensità che di frequenza della luce. Questi cambiamenti vengono continuamente confrontati, in un processore dedicato, con dei valori predeterminati e la velocità dei tergicristalli regolata di conseguenza. Il sistema è sofisticato e delicato da mettere a punto, ma la sua sensibilità arriva ora a 0,005 millilitri d’acqua! Molti sforzi sono stati necessari per accordare la sensibilità dei fotodiodi alla quantità di pioggia e allo stesso tempo limitare interferenze quali la presenza di vetri fotocromatici, head-up display, strati di cera o righe sul vetro. Superati questi ostacoli, i sistemi ottici sono ormai arrivati alla terza generazione, senza essere impensieriti dalla concorrenza di sistemi alternativi come quelli acustici o capacitivi.

Le alterne oscillazioni della…sorte umana



Non si sa quanto Mary Anderson abbia ricavato dal suo brevetto, ma un altro caso è più famoso del suo nella storia del tergicristalli. Si tratta di quello di Robert Kearns, anche lui americano, professore alla facoltà di ingegneria alla Wayne State University di Detroit, che nel 1967 brevettò il principio dei tergicristalli intermittenti.
Ne mostrò un prototipo funzionante agli ingegneri della Ford, i quali ne brevettarono a loro volta una versione modificata che iniziarono a installare sulle loro vetture nel 1969. A partire dal 1978, Kearns ha avviato una lunga serie di cause milionarie contro praticamente tutti i Costruttori – da Ford a Toyota, da Peugeot a Ferrari – che avevano a suo dire continuato a installare tergicristalli intermittenti senza riconoscere la sua paternità intellettuale (e i relativi diritti). Negli anni ’90 Kearns ha vinto le prime sentenze definitive (Chrysler) o ha concordato un risarcimento (Ford), portando a casa parecchi milioni di dollari. Che secondo lui, comunque, bastavano appena a coprire le gigantesche spese legali di processi durati decenni. La
fortuna, è il caso di dire, va e viene.

Non si sa quanto Mary Anderson abbia ricavato dal suo brevetto, ma un altro caso è più famoso del suo nella storia del tergicristalli. Si tratta di quello di Robert Kearns, anche lui americano, professore alla facoltà di ingegneria alla Wayne State University di Detroit, che nel 1967 brevettò il principio dei tergicristalli intermittenti. Ne mostrò un prototipo funzionante agli ingegneri della Ford, i quali ne brevettarono a loro volta una versione modificata che iniziarono a installare sulle loro vetture nel 1969. A partire dal 1978, Kearns ha avviato una lunga serie di cause milionarie contro praticamente tutti i Costruttori – da Ford a Toyota, da Peugeot a Ferrari – che avevano a suo dire continuato a installare tergicristalli intermittenti senza riconoscere la sua paternità intellettuale (e i relativi diritti). Negli anni ’90 Kearns ha vinto le prime sentenze definitive (Chrysler) o ha concordato un risarcimento (Ford), portando a casa parecchi milioni di dollari. Che secondo lui, comunque, bastavano appena a coprire le gigantesche spese legali di processi durati decenni. La
fortuna, è il caso di dire, va e viene.

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