Se le quattro porte avevano il pianale allungato, per la nascita della Spyder (con la y), fu scelta una strada opposta. Desiderando conferire maggiore agilità e volendo contenere i pesi già gravati dai rinforzi per la struttura aperta della carrozzeria, fu accorciato il passo della coupé e sviluppata, in collaborazione con Zagato che la assemblava nelle sue officine nell’hinterland Ovest milanese, una carrozzeria aperta semplice ed elegante che ricalcava in tutto e per tutto quella della coupé. Fatto salvo, naturalmente, l’assenza del tetto. Nonostante la riduzione delle dimensioni l’abitacolo era omologato come “2+2”, con due semplici cuscini ai posti posteriori e uno schienale a fascia per tutta la larghezza del volume posteriore, in grado comunque di accogliere, seppure per brevi tragitti, anche due adulti.
Presentata al Salone di Torino del 1984, aveva i cerchi con anello esterno verniciato in colore carrozzeria. La meccanica, invece, restava uguale alla versione chiusa. Nel corso degli anni, seguì anch’essa le evoluzioni della coupé: venne presentata la Spyder i (come quella in queste pagine), e, successivamente, la versione con meccanica 222 che, al pari della coupé, sfoggiava un nuovo frontale, con mascherina arrotondata, e cerchi ruota di nuovo disegno. Solo l’ultima serie venne allestita con le specifiche meccaniche della 2.24v, che con 245 CV fu la più potente e veloce scoperta della serie Biturbo mai prodotta. Da notare che, diversamente dalle coupé e dalle berline, le Spyder vennero vendute anche in Italia con il motore da 2.8 litri di solito riservato alle versioni estere, e che con questo motore, opportunamente dotato di marmitta catalitica, rimasero in listino fino al 1995, ben oltre le altre versioni che, con l’avvento della Ghibli nel 1992, scomparvero dalla scena.