Contribuirono all’ottimizzazione del comportamento anche la saldatura del supporto tra la traversa tubolare della sospensione posteriore e il tunnel centrale, che rese più rigido l’insieme, le barre di torsione con diametro di 18 mm anziché 15 mm, gli ammortizzatori a gas Bilstein e i cerchi posteriori con canale di 7” invece di 6. Non è infine da trascurare il ruolo degli pneumatici a profilo ribassato. L’insieme permise di curvare con un’accelerazione laterale di 0,912 g, il valore più alto raggiunto fino ad allora da un’automobile di serie.
MOTORE
Sul motore di 2,7 litri (tipo 911/83) non ci sono leggende, ma pura tecnologia. Nella configurazione originale era difficile aumentare la cilindrata oltre i 2,5 litri senza cambiare i carter perché i cilindri, realizzati con il sistema Biral, avevano spesse canne di ghisa attorno alle quali erano fuse le alette di raffreddamento in alluminio. Perciò, se si lasciava invariato l’interasse fra i perni di manovella e si allargava il diametro interno dei cilindri, le canne diventavano troppo sottili. Però per la 917 da corsa la Porsche aveva sviluppato la tecnologia Nikasil, cioè cilindri interamente in alluminio con sottili riporti elettrolitici di nichel-carburo di silicio nelle zone d’attrito.
Bastò applicare al motore 911 questa tecnologia, che rendeva superflue le canne di ghisa, e di colpo divenne possibile allargare il diametro interno fino ad aumentare la cilindrata circa a 3,7 litri, cosa che in seguito effettivamente avvenne. Per il momento la Casa si limitò a maggiorare l’alesaggio a 90 mm per ottenere la cilindrata di 2687 cc. A parte questo, il motore di 2,7 litri tipo 911/83 non differiva dal 2,4 tipo 911/53 della contemporanea Porsche 911 S: stessa corsa, stesso diagramma della distribuzione, stesso diametro dei condotti e delle valvole, stesso rapporto di compressione: un bel risparmio dal punto di vista costruttivo!
Solo la marmitta era diversa, realizzata per la prima volta in acciaio inossidabile per ragioni di peso e dotata anche di una sonorità inconfondibile come corollario. Musica pura, insomma. Marketing La cilindrata di 2,7 litri e il minor attrito dei cilindri al Nikasil, permisero di salire con la potenza a 210 CV, contro i 190 CV del 2,4 S, pari a un aumento del 10 %. Contemporaneamente la coppia massima salì da 22 kgm a 5200 giri a 26 kgm a 5100 giri con un incremento del 18 %, che rese necessaria una molla della frizione più dura.
CAMBIO
Il cambio a 5 marce rimase invariato, tranne i rapporti della quarta e della quinta leggermente più “lunghi” a vantaggio della velocità massima (250 km/h). Dal canto loro i primi tre rapporti, divenuti “corti”, permisero uno scatto bruciante: 5,5 secondi per passare da 0 a 100 km/h, come la Lamborghini P 400 Miura! Si decise che una 911 con queste prestazioni doveva evocare immediatamente le corse e distinguersi dalle altre a prima vista. I tecnici e gli uomini del marketing concordarono nel recuperare il nome Carrera, che in passato aveva distinto i modelli più veloci, preferirono infine la sigla RS all’iniziale SC.
Gli uomini del marketing sollecitarono il colore bianco, che era il colore da corsa nazionale delle auto tedesche, e stabilirono che le sigle Carrera e RS dovevano comparire un po’ dappertutto. Il già citato Tony Lapine ricevette l’incarico di mettere in pratica queste indicazioni. E qui torna un po’ di leggenda. Ecnalubma Lapine partì dalla scritta Carrera dell’omonima 356 del 1963. Cambiò un po’ la lettera C, compattò le altre lettere e poi passò la palla a Eric Strenger, fine grafico e illustratore dei poster della Casa. Strenger prese a cuore il compito: disegnò altre scritte aggiornate e di volta in volta appese i fogli con le sue elaborazioni fuori dalla porta del proprio studio in modo che chi passava potesse giudicare. Alla fine tutti concordarono su quella che poi divenne la grafica definitiva. Ma non è tutto.
CARRERA
I cataloghi e i depliant delle 911 Carrera 2.7 abbigliate con la scritta prescelta erano ormai stampati quando un giornalista suggerì a Lapine di mettere la parola Carrera alla rovescia sul muso, come ecnalubma (ambulance allo specchio) sul muso di certe ambulanze perché la parola riflessa si leggesse correttamente nei retrovisori delle auto che dovevano darle strada. Lapine non volle giocare sulle cose serie (ma lo fece un anno dopo la BMW con la scritta obruT sulla 2002 Turbo), però iniziò a pensare a qualcosa di altrettanto insolito per colpire l’attenzione. L’idea giusta gli venne vedendo le pellicole negative delle foto della bianca Carrera RS 2.7 prototipo in prova con Edgard Barth. Negativi Osservò che le lettere in negativo avrebbero dato un effetto inedito e spettacolare perché l’occhio, specialmente da vicino, non avrebbe percepito tutti i contorni e l’osservatore, più o meno inconsciamente, avrebbe dovuto azionare il cervello per decifrare la scritta. Si impuntò quindi perché le Carrera RS di serie uscissero con le scritte in negativo, cioè nello stesso colore della carrozzeria, parzialmente delimitate da fasce nel colore dei cerchi. Cosa che effettivamente avvenne.
BIANCO
Per quanto riguarda il colore bianco che doveva distinguere le Carrera RS 2.7, la Casa effettivamente mise a punto la tinta speciale denominata Grandprixweiss (codice Glasurit 908, codice Porsche P5 o R4), che distinse poi molti esemplari, ma alla fine dovette fare i conti con la clientela, che espresse anche altre preferenze. Le scritte rimasero i soli elementi decorativi del modello, che per il resto nulla concedeva all’ornato: nessuna finta presa d’aria, nessuna griglia supplementare, nessun fregio inutile, insomma tutto quello che c’era, c’era perché serviva e basta. Molto professionale. Ancora oggi la Carrera RS 2.7 mostra un’energia intensa, quasi muscolare, in ogni particolare. Rimaneva il problema di vendere le 500 vetture programmate per ottenere l’omoloulgazione FIA nel Gr. 4 (vetture GT preparate). Gli uomini del marketing erano preoccupati, dove trovare 500 piloti da corsa ai quali vendere la vettura?