25 April 2014

Epoca, la Lancia Appia berlina

Una piccola grande auto in pieno stile della Casa torinese: elegante, di tecnica raffinata, ben costruita e con la linea di una piccola Aurelia. Al debutto costava parecchio e aveva finiture non eccelse, ma con la seconda e la terza serie....

Epoca, la lancia appia berlina

Ogni tanto i tempi costringono le industrie ad adeguarsi e quindi anche per la Lancia arriva il giorno in cui diventa necessario pensionare la graziosa e perfezionatissima Ardea (dotata addirittura di cambio a cinque marce a partire dal 1948) per fare posto a qualcosa di più moderno; è così che al Salone di Torino dell’Aprile 1953 avviene il passaggio delle consegne con la presentazione dell’Appia. Come per lo stile dell’Ardea ci si era ispirati all’Aprilia facendone praticamente una miniatura, la stessa procedura viene seguita per la Lancia Appia partendo dall’Aurelia; stessa linea sinuosa con il secondo e il terzo volume che si amalgamano tra loro senza traumi e con le nuove proporzioni ridotte che non cambiano la piacevolezza di questa linea inusitata (ricordiamoci che la concorrente d’elezione nel 1953 è la Fiat 1100/103, dall’impostazione a tre volumi).

Un’altra prerogativa è conservata per la gioia dei “Lancisti”: le porte con apertura ad armadio che in un colpo solo non fanno rinunciare alla comodità di accesso consentita da questa soluzione e li rassicurano sulla robustezza della nuova scocca che può continuare a fare a meno del montante centrale come sull’Ardea; d’altronde la Lancia ha cominciato a costruire monoscocche dal 1922 e quindi l’esperienza non le manca. Nel definire il nuovo motore dell’Appia non tradisce l’impostazione a V stretta dell’Ardea ma i lavori di aggiornamento sono tali da farne un’unità totalmente a se stante: gli alberi a camme diventano due, posizionati nel basamento ai lati dei cilindri e che comandano le valvole mediante aste e bilancieri mentre le candele sono al centro della V e sfalsate tra di loro per essere comunque sempre al centro della camera di scoppio, ora di forma emisferica; la cubatura è portata alla soglia dei 1100 cc, cilindrata che sta diventando ogni giorno più popolare, per una potenza di 38 CV sufficiente a muovere la leggera Appia (le parti apribili della sua carrozzeria sono in alluminio) con buona disinvoltura. Il telaio è molto più tradizionale del motore: ponte rigido posteriore sospeso da balestre semiellittiche e i consueti foderi “by Lancia” che all’avantreno contengono, riparandoli dalla polvere, ammortizzatori e molle elicoidali concentriche.

Cambio di passo
I risultati commerciali inizialmente non sono incoraggianti; la vettura costa molto di più della Fiat 1100 (circa 1.300.000 Lire contro poco più di 900.000) e le finiture, nel primo periodo, lasciano perplessa la clientela: i paraurti, per esempio, costituiti da una leggera lastra di alluminio appaiono inadeguati al loro ruolo istituzionale; l’abitacolo è ben rifinito con rivestimenti di qualità ma la guida a destra offerta di serie sconcerta però i tanti non avvezzi a questa soluzione tipicamente Lancia, situazione aggravata dal comando del cambio al volante (da azionarsi in questo caso con la mano sinistra) con lo schema delle marce invertito rispetto al solito: prima e seconda verso la plancia, terza e quarta verso il guidatore.

Anche il complesso sistema di distribuzione inquieta molti possibili acquirenti con l’annessa difficoltà di messa a punto riservata a mano d’opera specializzata. Nel 1955 ci si mette anche l’Alfa Romeo Giulietta a complicare la vita dell’Appia: più o meno allo stesso prezzo essa offre prestazioni inimmaginabili per la paciosa Lancia che, nel frattempo aveva tentato di correggere il tiro, migliorando le finiture ed offrendo la guida sinistra a richiesta, ma con scarsi risultati. Il cambio di passo avviene nel 1956 quando nel progetto C10 (l’Appia) entrano due nuovi personaggi: Antonio Fessia per la parte tecnica e Piero Castagnero (l’autore della Fulvia Coupé: non ci stancheremo mai di celebrarlo per questo) per lo stile. I miglioramenti sono evidenti sia dal lato meccanico, con la potenza che sale a 43,5 CV e la frenata che migliora molto, sia dal lato estetico con una nuova coda più tradizionale che forma un insieme molto elegante con il muso della serie precedente appena modificato nelle luci.

Internamente la rivoluzione è totale con la plancia ora parzialmente rivestita in finta pelle, guida a sinistra di serie (per gli irriducibili quella a destra rimane disponibile a richiesta), strumentazione a due elementi rotondi; volante e pomelleria neri prendono il posto, infine, di quelli avorio della prima serie: bellissimi e romantici fin che si vuole ma forieri di fastidiosi riflessi sul parabrezza. Questa è la seconda serie, quella che riesce a fare ottenere all’Appia il posto che le spetta nel panorama automobilistico italiano: l’auto del medico, del farmacista e del direttore di banca che l’hanno acquistata rendendo la precedente Fiat 1100/103 per un salto d’immagine straordinario; il tenore di vita degli italiani sta infatti velocemente aumentando e la media Fiat ora è alla portata degli impiegati e dei piccoli commercianti.

Ruote da 14”
L’Appia, dal canto suo, è diventata un prodotto perfetto: per darne dimostrazione è sottoposta ad una prova di durata pari a cento volte la Mille Miglia (160.000 km) che essa supera con indifferenza; nel 1959, tuttavia, l’aria dell’imminente nuovo decennio, impone un ulteriore aggiornamento. Come la prima serie assomiglia all’Aurelia la terza si ispira alla Flaminia, che nel 1957 ha preso il posto dell’Aurelia nel ruolo di ammiraglia in casa Lancia, ed è questo il motivo che porta alla tanto deprecata calandra rettangolare allargata che invece, a nostro avviso, la rende più moderna senza farle perdere un filo di classe; un’ulteriore raffinatezza adorna il frontale: sul cofano (abbassato) compare una modanatura cromata a sezione triangolare che sulla punta porta la “a” di Appia stilizzata in ottone.

Al posteriore si notano le luci ingrandite, le codine leggermente più pronunciate e la luce della targa spostata sul paraurti; nella meccanica, alcune modifiche alla distribuzione e l’aumento del rapporto di compressione portano la potenza a 48 CV mentre le ruote si piegano alla nuova tendenza al rimpicciolimento passando da 15” a 14”, contenendo però nuovi freni anteriori a doppia ganascia. All’interno, il salottino della II serie è quasi invariato con l’unica modifica subito percepibile degli inserti in finta pelle dei sedili. A richiesta sono disponibili l’interno in pelle e vari tipi di autoradio, tra cui la Voxson Vanguard incorporata nello specchio retrovisore. All’inizio del 1960 si aggiungono i ripetitori laterali, in omaggio al nuovo Codice della Strada appena entrato in vigore, oltre al doppio circuito frenante denominato “Duplex”; sono gli ultimi aggiornamenti fino all’Aprile 1963, quando l’Appia si ritira lasciando il posto alla Fulvia, sua degna erede.

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