Gli studi più avanzati sono ovviamente stati fatti in campo aeronautico.
Da lì vengono molte soluzioni già consolidate nel settore
automobilistico
(come appunto gli alettoni), e lì i progettisti guardano costantemente
in cerca di ispirazione. Recentemente, Mitsubishi ha introdotto per la
prima volta su un’auto – seppur particolare come la Lancer Evo IX –
dei generatori di vortice, dispositivi impiegati sugli aerei per migliorarne
il sostentamento in posizione di stallo, durante il decollo e l’atterraggio.
Come si è visto, la viscosità dell’aria la porta a cercare di aderire
alle superfici su cui scorre: nella zona del lunotto la vena si muove verso
il basso, rallenta, e aumenta la sua pressione. Si ha allora un’inversione
del moto: l’aria tende a tornare indietro (risucchio). Le “alette” della
Evo IX non fanno che generare vortici in senso opposto a quelli di risucchio,
che tendono quindi a ridurli. In pratica, prelevano energia dalle
regioni
superiori e la convogliano dove il flusso ha perso energia, riaccelerando
la vena: ciò ritarda la separazione, spostando il punto corrispondente
verso la parte posteriore del veicolo.
Nel complesso la depressione che si forma oltre la coda si riduce, e con
essa le forze di attrito aerodinamico che “frenano” la vettura. La pressione
al punto di separazione governa infatti il regime di pressioni di tutta
la parte turbolenta: un beneficio in questo punto si ripercuote quindi
sull’intero flusso turbolento. La sintesi numerica di questi fenomeni
è una riduzione del valore di Cx, che risulta benefica finché (e se) rimane
maggiore del peggioramento del Cx dovuto all’aumento di turbolenza indotto
proprio dai generatori. Le cose non sono insomma così semplici e
occorre
fare bene i conti per trovare la forma, posizione e dimensione ottimale.
Anche nel caso ottimale, l’effetto è comunque piuttosto modesto. I ricercatori
Mitsubishi hanno ottenuto una riduzione del Cx di 0,006 (circa il 2%).
Pare però che questa idea stia ottenendo un certo successo sui camion americani,
dove viene utilizzata per creare un “ponte” aerodinamico nella zona tra
motrice e rimorchio e per limitare la turbolenza posteriore. In questo
caso il beneficio potrebbe essere un po’ più marcato, anche perché questi
veicoli tendono a mantenere la stessa velocità di crociera per lunghi tratti.
Ma bisogna tenere presente che ogni appendice aerodinamica, al di là
delle considerazioni di opportunità estetica, ha un impatto sulla sicurezza
e sulla praticità d’uso (visibilità, requisiti legali, eccetera): per
cui se il vantaggio che conferisce non è determinante, difficilmente viene
adottata nella produzione di serie.
Ma ci sono soluzioni ancora più sorprendenti dei generatori di vortice.
La più bizzarra è probabilmente la superficie
“ammaccata” tipo palla
da golf. Una superficie di questo tipo è apparsa sulla parte esterna
degli specchietti di alcune Bmw; certe Case americane la impiegano nella
zona di raccordo tra specchietti e montante del parabrezza, mentre Toyota
(sulla Prius) e Lexus (sull’ultima serie LS) prevedono pannelli corrugati
nel sottoscocca. A cosa servono queste superfici irregolari, contrarie
all’idea intuitiva di superfici favorevoli? Beh, l’aerodinamica è una
scienza ricca di sorprese. Come quella che William Taylor, un inventore
americano datosi al golf su consiglio del proprio medico, ebbe quando scoprì
che alcuni golfisti preferivano utilizzare palle ammaccate per i loro tiri.
Dopo una serie di prove sperimentali, Taylor concluse che la forma ammaccata
consentiva di controllare la palla assai meglio e di spingerla a distanze
molto maggiori. La spiegazione di questo strano fenomeno è di nuovo
legata alla scia. Come per l’auto - anzi peggio - l’aria, dopo aver percorso
parte della superficie della palla da golf, se ne distacca nella regione
posteriore. Qui si forma la scia, regione turbolenta di bassa pressione
dove avviene la maggior parte della dissipazione di energia, e dalla cui
grandezza dipende il coefficiente di resistenza della palla.
Questo
effetto dipende da una combinazione di caratteristiche quali forma, dimensione
e velocità media di spostamento, espresse sinteticamente da un numero,
il numero di Reynolds Re, che grosso modo “pesa” l’azione delle forze
cinetiche (responsabili del moto turbolento) rispetto a quelle viscose
(responsabili del moto laminare). Alti Re significano un prevalere
delle prime, quindi un forte rimescolamento della vena ad opera di fenomeni
vorticosi. Bassi Re indicano viceversa che le forze responsabili della
coesione del flusso riescono ad avere ragione delle sue esuberanze cinetiche.
Nel caso delle palle da golf, le ammaccature sono sufficienti a far “traboccare
il vaso” portando il modo da laminare a turbolento.
Esse funzionano un po’ come i generatori di vortice: generano attorno
alla palla un sottile strato di turbolenza, che avendo maggiore energia
aderisce con più vigore alla superficie. Il distacco della vena avviene
quindi più tardi, e dà luogo ad una scia più piccola: circa la metà, il
che dimezza anche il coefficiente di resistenza. Ci sono poi anche effetti
positivi sulla portanza, che però interessano più i giocatori di golf che
non gli automobilisti. Gli automobilisti si chiederanno invece come mai
questo effetto non sia mai stato sfruttato. Il motivo è che purtroppo le
ammaccature funzionano meno bene sulle automobili: aiuterebbero forse nel
caso della New Beetle, ma in generale non conviene andare alla ricerca
di una grandinata nella speranza di risparmiare sui successivi rifornimenti.
In qualche caso, però, si verificano localmente condizioni per cui vale
la pena introdurre una superficie corrugata: come nella zona degli specchietti,
dove può ridurre il rumore aerodinamico. Toyota e Lexus, che la hanno nel
sottoscocca, la sfruttano per guidare il flusso al fine di ridurre la resistenza
complessiva. Il contributo è probabilmente ancora marginale; ma all’orizzonte
non mancano sviluppi quasi fantascientifici...
Uno di questi è senz’altro il prototipo
Mercedes Bionic Car presentato
nel 2005. Un progetto che si ispira dichiaratamente al mondo animale
sia nella forma esterna che nello sviluppo del telaio, ottenuto con un
modello che riproduce l’accrescimento delle ossa. I tecnici tedeschi,
frustrati dalla difficoltà di conciliare la richiesta di spazio e la forma
tendenzialmente “a scatola” delle monovolume di successo, hanno
cominciato a studiare il
“pesce scatola” (boxfish), un pesce tropicale
di aspetto praticamente cubico ma dalla insospettabile efficienza idrodinamica.
Con loro grande sorpresa, in galleria del vento, a Stoccarda
un modello
del pesce mostrò un incredibile Cx di 0,06: vicinissimo al record della
goccia d’acqua! La prima maquette della vettura ispirata a quelle forme
raggiunse 0,095, un valore mai ottenuto da nessun’auto nemmeno prototipale
(la Ford Probe V del 1986, praticamente un siluro su ruote, aveva “solo”
0,137).
La versione definitiva del prototipo, con molti peggioramenti dovuti a
questioni di stile e di omologazione, vanta ancora un eccellente 0,19.
Bionic Car ha dimostrato definitivamente che è possibile ottenere miglioramenti
sostanziali del Cx senza ricorrere alla solita forma da Space Shuttle,
a patto di porre una buona penetrazione come caposaldo fin dall’inizio
del progetto. Bionic Car sfrutta peraltro diverse tecnologie già disponibili
sulle vetture odierne, tra cui i deviatori di flusso che allontanano l’aria
dalle zone a maggior turbolenza, come quelle vicino alle ruote.
Il principio,
diverso (e in un certo senso opposto) da quello dei generatori di vortice,
è già sfruttato da molte Case, sulla scia (è il caso di dirlo) di Bmw e
Mercedes.
La Classe E, nei modelli di punta a 6 cilindri, adotta per esempio un sistema
di regolazione della presa d’aria nel paraurti anteriore composto da 16
lamelle in plastica elettroattuate. Il computer di bordo regola l’apertura
di queste lamelle a seconda della temperatura del motore e della velocità
di marcia, e nel caso quel flusso d’aria non sia necessario chiude completamente
l’apertura. In questo modo si ottiene anche una riduzione del Cx pari
a circa il 3%. Analogamente, la Lexus LS presenta mini-spoiler (larghi
20 cm e alti 3) specifici per ciascuna ruota . Da queste brevi note
è già evidente come lo studio dei flussi aerodinamici abbia fatto in poco
tempo passi da gigante, permettendo per esempio alle Bmw dotate di flame
surfaces, come la Z4, di spuntare ottimi valori di resistenza aerodinamica.
Per nostra fortuna, il futuro è insomma meno tondo di quanto si credesse:
possiamo oggi sorridere dello scampato pericolo guardando agli sforzi
pionieristici
di Castagna e dei suoi epigoni.
Certo vi saranno minacce sempre nuove alla bellezza delle auto (le ultime
vengono dai vincoli sulla protezione del pedone): ma possiamo essere fiduciosi
che la tecnologia continuerà a tendere la mano agli stilisti, con gran
soddisfazione degli stessi e, naturalmente, dei nostri occhi.
Gli studi più avanzati sono ovviamente
stati fatti in campo aeronautico.
Da lì vengono molte soluzioni
già
consolidate nel settore automobilistico (come appunto gli alettoni),
e lì i progettisti guardano costantemente in cerca di ispirazione.
Recentemente,
Mitsubishi ha introdotto per la prima volta su un’auto – seppur
particolare
come la Lancer Evo IX – dei generatori di vortice, dispositivi impiegati
sugli aerei per migliorarne il sostentamento in posizione di stallo, durante
il decollo e l’atterraggio.
Come si è visto, la viscosità dell’aria
la porta a cercare di aderire alle superfici su cui scorre: nella zona
del lunotto la vena si muove verso il basso, rallenta, e aumenta la sua
pressione. Si ha allora un’inversione del moto: l’aria tende a
tornare
indietro (risucchio). Le “alette” della Evo IX non fanno che
generare
vortici in senso opposto a quelli di risucchio, che tendono quindi a
ridurli.
In pratica, prelevano energia dalle regioni superiori e la convogliano
dove il flusso ha perso energia, riaccelerando la vena: ciò ritarda la
separazione, spostando il punto corrispondente verso la parte posteriore
del veicolo.
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complesso la depressione che si forma oltre la coda si riduce, e con essa
le forze di attrito aerodinamico che “frenano” la vettura. La
pressione
al punto di separazione governa infatti il regime di pressioni di tutta
la parte turbolenta: un beneficio in questo punto si ripercuote quindi
sull’intero flusso turbolento. La sintesi numerica di questi fenomeni
è una riduzione del valore di Cx, che risulta benefica finché (e
se) rimane
maggiore del peggioramento del Cx dovuto all’aumento di turbolenza indotto
proprio dai generatori. Le cose non sono insomma così semplici
e occorre
fare bene i conti per trovare la forma, posizione e dimensione ottimale.
Anche nel caso ottimale, l’effetto è comunque piuttosto modesto. I
ricercatori
Mitsubishi hanno ottenuto una riduzione del Cx di 0,006 (circa il 2%).
Pare però che questa idea stia ottenendo un certo successo sui camion
americani,
dove viene utilizzata per creare un “ponte” aerodinamico nella zona
tra
motrice e rimorchio e per limitare la turbolenza posteriore. In questo
caso il beneficio potrebbe essere un po’ più marcato, anche
perché questi
veicoli tendono a mantenere la stessa velocità di crociera per lunghi
tratti.
Ma bisogna tenere presente che ogni appendice aerodinamica, al di
là
delle considerazioni di opportunità estetica, ha un impatto sulla
sicurezza
e sulla praticità d’uso (visibilità, requisiti legali,
eccetera): per
cui se il vantaggio che conferisce non è determinante, difficilmente
viene
adottata nella produzione di serie.