10 January 2023

Lancia Fulvia HF 1600, Renault Alpine A110 1600S, Fiat Abarth 124 Rally

Erano le protagoniste dei Rally all’inizio degli anni Settanta, ma anche la testimonianza di tre filosofie tecniche differenti, ciascuna con un carattere molto ben definito. Per capirle meglio le abbiamo provate nella loro forma più genuina, quella con cui uscivano dalla fabbrica....

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Eccole le nostre tre protagoniste in fila indiana su un tracciato in collina, come dire il loro ideale terreno di confronto. Si guidavano e si guidano tuttora con tre tecniche differenti, rispettose della spiccata personalità di ciascuna. Ognuna di esse però restituisce con grande generosità il piacere di una guida molto fisica, in contatto ravvicinato con la loro meccanica calda e fremente.

All’inizio della stagione 1972 il mondo dei Rally attraversava un momento di grande trasformazione. Alcune delle auto protagoniste più affermate degli anni precedenti stavano per uscire di scena, altre già baciate dal successo cercavano la loro affermazione definitiva, altre ancora erano in procinto di uscire da una adolescenza entusiasmante ma protratta fin troppo a lungo per consolidare il successo nella vita adulta. Dal punto di vista squisitamente tecnico il panorama si presentava quanto mai interessante.

La trazione anteriore, portata all’attenzione del grande pubblico dalle incredibili prestazioni delle Mini Cooper S nei Rally invernali, soprattutto il Montecarlo, e in quelli misti terra asfalto, come il Sanremo, era considerata ormai superata, messa in crisi anche dal progressivo aumento delle potenze.

La configurazione tutto-dietro aveva dato ampia dimostrazione della sua capacità di adattamento alle diverse caratteristiche di fondo stradale, ulteriormente avvantaggiata da una grande facilità di guida.

Ma l’impostazione tradizionale, motore anteriore e trazione posteriore, era ben lungi dall’aver esaurito le proprie chances, anzi, veniva facile presagire che grandi risultati potevano essere ottenuti con un adeguato sviluppo di progetto. Insomma, tutto poteva accadere. La fantasia dei tecnici era in pieno fermento, le Case automobilistiche stavano al gioco e l’interesse del pubblico cresceva in modo esponenziale.

Una partita apertissima, tutta da giocare come ben sapevano i 300 iscritti al Rally di Montecarlo che il 21 gennaio 1972 partirono dalle 9 città europee per il percorso di avvicinamento al Principato. Sorpresa al Montecarlo Quel che accadde nell’ultima settimana di gennaio ’72, alla 41° edizione del Rally di Montecarlo, fu un evento del tutto inaspettato ma anche rivelatore.

L’anno prima le Alpine A110 l’avevano fatta da padrone piazzando tre vetture ai primi tre posti, grande anteprima di una stagione magnifica che le vide alla fine vincere il Campionato Internazionale Costruttori, tanto che dopo i successi a ripetizione delle Porsche sembrava proprio che fosse ormai il tempo dei motori posteriori. Ma la realtà delle competizioni riserva sempre molte sorprese.

Fu la neve in particolare, ospite privilegiato sulle strade del Rally più famoso del mondo, a rimescolare inaspettatamente le carte. Non che le squadre fossero impreparate, tutt’altro. Però in quegli anni per fare stare in strada le macchine su neve e ghiaccio si poteva, anzi si doveva, ricorrere a chiodature dei pneumatici sempre più azzardate. Le potenze elevate e i pesi contenuti rendevano infatti problematico scaricare a terra i tanti CV a disposizione: le soluzioni sembravano a portata di mano eppure non erano sempre prive di controindicazioni.

La Porsche di Waldegaard, dopo aver dominato sull’asciutto, si auto-eliminò molto rapidamente sul terreno nevoso sparando via a raffica e in poco tempo gli oltre 600 chiodi per pneumatico in dotazione. Le Fulvia HF 1600 e le Alpine A110 invece, meno potenti e con minor coppia motrice, ebbero vita più facile, soprattutto la Fulvia grazie ai fantastici CN 36 e MS forniti dalla Pirelli. L’Alpine di Darniche avrebbe vinto se non fosse stata messa sotto pressione dalla Fulvia di Munari, tanto da dover abbandonare nel finale col cambio rotto.

Morale della favola: il trionfo indimenticabile della “Fanalone” n.14 di Munari dimostrava che le “vecchie” trazione anteriore potevano ancora dire la loro, soprattutto se dotate di una affidabilità totale, perché su terreni a bassa aderenza riuscivano a dare il massimo senza sprecare un solo CV.

Le tutto-dietro erano avvantaggiate più dalla leggerezza che dalla potenza ed erano fortissime sull’asciutto. Le tradizionali scontavano uno sviluppo ancora limitato, in particolar modo le Fiat 124 Spider, troppo vicine alla versione di serie pur se già arrivate a quasi 170 CV. Alla fine della stagione ’72 il risultato premiò la Lancia, che grazie alle vittorie a Montecarlo, in Marocco e a Sanremo vinse il Campionato Internazionale Rally per Marche.

L’Alpine pur collezionando numerosi risultati notevoli non riuscì a ben figurare nella classifica finale del Campionato. Fiat invece si piazzò al secondo posto forte delle vittorie in Grecia al Rally Acropoli e all’Alpenfahrt in Austria.

La svolta del 1972 Le nostre tre protagoniste si trovano dunque a questo punto cruciale della loro carriera, a fine 1972: la Fulvia ha dato tutto quello che poteva dare e si prepara ad andare in pensione, godendosi il meritato alloro di Campione Internazionale. Lascia il suo posto alla nuova creatura Lancia fortemente voluta da Cesare Fiorio, la Stratos.

Sarà questa una vettura fantastica, frutto di una nuova concezione tecnica che privilegia le “tutto al centro”, cioè motore e trasmissione centrali per una perfetta distribuzione dei pesi.

Diventerà la cosiddetta “ammazzarally” perché dominerà incontrastata la specialità per quasi dieci anni. L’Alpine A110, entrata nel novero delle grandi protagoniste dei rally nel 1969 grazie all’adozione del motore 1600, sviluppata col motore 1800 conquisterà nel ’73 il titolo di Campione del Mondo Rally. La Fiat invece presenta a fine ’72 la sua arma vincente, la 124 Abarth Rally: è l’evoluzione corsaiola della 124 Sport Spider, che ha appena concluso una stagione entusiasmante.

Sarà una grande vettura, in perenne lotta con Stratos e Alpine, ma anche eterna seconda nel neonato Campionato del Mondo Rally. Oggi abbiamo di fronte ai nostri occhi queste tre magnifiche automobili nella loro versione di serie, cioè nelle stesse identiche condizioni in cui uscivano dalla fabbrica prima di passare per le mani dei reparti corsa ufficiali oppure dei vari preparatori. Sono dunque esattamente gli esemplari che chiunque (si fa per dire…) poteva acquistare direttamente al concessionario, andarci tranquillamente a spasso la domenica e nelle feste comandate oppure dilettarsi in qualche sporadica divagazione agonistica, magari optando per una più semplice preparazione Gruppo 3, cioè Gran Turismo di serie.

Le nostre tre amiche però sono proprio intonse, belle e immacolate come al momento della loro nascita. Ed è da questo punto di vista che vogliamo guardarle, ammirarle e sentirle in azione. Affascinante “Fanalone” La Fulvia HF 1600 ci guarda sorniona, sa benissimo di averci ammaliato fin dall’inizio.

È bellissima, punto. Assolutamente fedele all’originale, come appena ritirata dal concessionario ma con gli inevitabili segni del tempo, nascosti nei vari particolari, che non fanno che esaltare a dismisura tutto il suo fascino. Non c’è traccia di quelle personalizzazioni, sarebbe meglio dire spersonalizzazioni, così frequenti sulla “Fanalone” e colpevoli di toglierle storicità per omologarla al gusto corrente. Lei invece è schietta, pulita e sincera nella sua totale originalità, non ha bisogno di alcun orpello o alcun trucco per apparire più bella o più grintosa.

È lei e basta, il vero e ultimo stadio di evoluzione di un progetto straordinario, che ha consentito alla Lancia di segnare una traccia profonda nel cuore degli appassionati e degli automobilisti in generale e di conquistare, nel suo ultimo anno di vita, il traguardo più ambito nel mondo dei Rally.

Incute affettuoso rispetto, a vederla scaricare dal carrello per partecipare alla nostra sessione fotografica vien quasi da dire “State attenti, mi raccomando!” ai volonterosi che invece la stanno proprio trattando con i guanti. Adagiata finalmente sull’asfalto appare compatta, proporzionata, quasi piccola.

Le grandi superfici vetrate e l’abitacolo a torretta sono gli stessi della Fulvia Coupé, e rimandano subito ai tempi in cui la piccola Lancia, nel classico blu scuro, era la vettura di moda per le signore-bene ma anche per i giovani di buona famiglia, quelli con i papà generosi che, tolti i paraurti e con i tromboncini ai carburatori, si divertivano a sfidare i loro coetanei altrettanto fortunati con l’Alfa Romeo GT Junior.

La “Fanalone” ha la stessa aristocratica eleganza ma in più la bella essenzialità delle auto da competizione, seppur derivata dalla serie: le cromature sono drasticamente ridotte, i paraurti assenti con i loro alloggiamenti coperti senza problemi con borchie lucidate, finestrini e lunotto in plexiglass acuiscono l’atmosfera, così come i codolini in nero opaco. I bei cerchi in lega da 13” Cromodora sono quelli normali di primo equipaggiamento, non i gettonatissimi Campagnolo da corsa ricercati da quasi tutti.

Una delle poche. È stata prodotta nel 1969 ed è uno dei 276 esemplari, tra i 1.278 prodotti in totale, ad avere il cambio a 5 marce di specifica progettazione, e cioè con una scatola cambio completa di nuova concezione, anziché la vecchia del 4 marce adattata con un diverso coperchio posteriore per creare lo spazio necessario al 5° rapporto. Una soluzione questa piuttosto artigianale, dettata da motivi puramente economici in attesa di un diverso sviluppo della produzione di grande serie.

Lo scotto pagato naturalmente era una maggiore fragilità di tutto il complesso, risolto con la nuova fusione, ripresa poi in quella che sarebbe stata la 2a serie. Ritrovata nell’inverno del 1989 in un salone d’auto di Spoleto, dove era rimasta invenduta come auto usata per ben 12 anni, è stata acquistata dall’attuale proprietario Giuseppe Vitali, già possessore di altre due Fulvia HF (una HFR e un prototipo assai interessante…) e grande appassionato del modello. Essendo egli anche un profondo conoscitore, gli è bastato poco per capire che si trattava di un’auto perfetta, sfruttata poco, mai impiegata in corsa e assolutamente originale, con le giuste corrispondenze dei numeri di telaio e motore.

C’era però un rumorino al cambio che, nell’assenza di altri problemi, dava un certo fastidio. “Nell’officina di Enrico Perozzi, già autore del restauro della mia HF 1.3 – racconta Vitali – smontammo tutto l’avantreno con motore e cambio, visto che c’eravamo abbiamo cambiato tutte le parti in gomma, smontammo il motore cambiando bronzine e fasce elastiche e sostituimmo l’ingranaggio della terza marcia.

A distanza di trent’anni abbiamo poi rimediato a qualche imperfezione di carrozzeria con l’aiuto prezioso del mio carrozziere Roberto Pagliari, un vero artista.” Il risultato è eccellente, e non poteva essere altro che così vista la competenza di Vitali. Anche gli interni sono perfetti nella loro originalità. Colpiscono subito due aspetti: la proverbiale cura Lancia nell’assemblaggio, pur trattandosi di un’auto a vocazione corsaiola semplificata e alleggerita per quanto possibile, e il singolare contrasto tra questo spirito sportivo e le finiture in legno della plancia e del volante, identico a quello delle versioni normali. Come dire, se si corre d’accordo, ma se si fa del turismo veloce siamo pur sempre dei raffinati lancisti…

Aperto il cofano, spicca la compattezza del 4V e la pulizia complessiva del vano, risultato di un lavoro di ripristino molto accurato. Berlinetta da corsa Di tutt’altro aspetto la Renault Alpine A110. Molto piccola e bassa, profilatissima, costruita per così dire intorno alla corporatura di pilota e passeggero senza sprecare altro spazio se non quello strettamente necessario, tradisce immediatamente la sua indole di pura macchina da corsa.

E’ l’erede delle gloriose A110 di 1.000, 1.100 e 1.300 cc, con motori sempre di provenienza Renault, che specie nei primi anni hanno consentito a numerosissimi piloti di muovere i primi passi in gara. Ma è col 1969, quando viene montato il motore 1.565 cc della berlina Renault 16, che la Alpine 1600 raggiunge il livello necessario per aspirare al podio più alto.

La 1600S del ’70 è un’auto matura, molto prestazionale e adattissima soprattutto per le competizioni stradali e i Rally, specialità in cui riesce a sfruttare a fondo le sue grandi doti di agilità e maneggevolezza, favorite da un peso complessivo estremamente ridotto. Squadra ufficiale, scuderie e semplici piloti privati ne fanno soprattutto in Francia, Italia e Spagna (prodotta in loco dalla Fasa) un’arma da primo assoluto. Vincitrice alla grande del Rally di Montecarlo del 1971, rimedierà alla bruciante sconfitta subita nello stesso Rally ad opera della Fulvia HF 1600 di Munari nel 1972 con la conquista l’anno successivo della prima edizione del Campionato del Mondo Rally.

Col motore portato a 1.800 cc e una potenza di oltre 170 CV avrà lunga e gloriosa vita agonistica. Tra tutte le serie ne sono state costruite circa 8.000. Stradale è meglio La A110 1600S di Renato Ambrosi ha un bel passato corsaiolo, tra cui merita di essere ricordato il 5° Rally Due Valli disputatosi nell’ottobre del 1976 nel veronese, proprio quello che causò in lui il proverbiale colpo di fulmine per la sportiva francese. Un innamoramento talmente forte che pur dopo la bellezza di più di quarant’anni di paziente attesa è arrivato alla celebrazione del giusto rito: l’acquisto nel 2009 dell’azzurra Alpine A110 oggetto del desiderio.

Prodotta il 28 febbraio 1972, la macchina riporta la sigla T 1324 sul telaio e le punzonature 1324 sui particolari della carrozzeria e grazie alla giusta corrispondenza del numero di motore risulta originale e soprattutto priva di alterazioni tali da compromettere l’autenticità delle sue componenti fondamentali. Si presenta subito in buone condizioni, ma necessita all’evidenza di un profondo restauro. I suoi trascorsi rallistici infatti hanno lasciato delle tracce rimarcate, che il tempo trascorso ha inevitabilmente accentuato.

Di fronte al classico dilemma se restaurarla recuperandone la preparazione sportiva oppure ripristinando la totale originalità, saggiamente Ambrosi propende per la seconda soluzione. Come già è stato detto per la Fulvia infatti, visto il proliferare di Alpine con più o meno fantasiose elaborazioni in chiave agonistica o quasi, ben venga il lavoro attento e paziente di restituzione di una testimonianza storica che altrimenti andrebbe perduta. Del resto anche l’Alpine era apprezzatissima ai suoi tempi come vettura sportiva tout-court, usata magari da piloti gentleman con una preparazione Gruppo 3 che si limitava davvero al minimo indispensabile.

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L’impresa non è stata facile, come sempre accade in un restauro approfondito, ma l’esperienza e l’abilità meccanica di Luigi Rocchi, già collaboratore di Carlo Facetti alla CARMA, hanno fatto il miracolo. Lo smontaggio completo della vettura rileva infatti la necessità di provvedere alla sostituzione di numerosi particolari usurati o non recuperabili. Fortunatamente però i ricambi dell’A110 si trovano ancora, così come gli specialisti da cui trarre materiali e informazioni utili per un lavoro corretto.

L’unico problema è che il terreno di caccia ideale è naturalmente la terra d’origine. Il pellegrinaggio in Francia, ripetuto più e più volte, è stato dunque uno scotto inevitabile da pagare, anche se a posteriori Ambrosi può ben sostenere che grazie a quei ripetuti viaggi ha potuto mettere insieme un’Alpine esemplare e raccogliere una bella messe di contatti utili e anche molto gratificanti.

Oggi la sua Alpine A110 è semplicemente perfetta, stradale come quando è stata acquistata da nuova, ma con quello spirito corsaiolo che colpisce subito al primo sguardo. La sua profilatissima e leggera carrozzeria in vetroresina è montata su un telaio a trave centrale al quale sono fissati una paratia anteriore e un telaietto posteriore che supporta il complesso motore-cambio-sospensioni.

L’altezza da terra limitata a soli 1.130 mm, il peso contenuto in 680 kg, la disposizione della meccanica, i 125 CV a 6.000 giri e i 210 km/h di velocità massima ne fanno già così, strettamente di serie, una sportiva di valore assoluto. Le numerose prese d’aria sono dettate dalla pura funzionalità, anche se la ricerca di un design accattivante ha centrato in pieno il suo obiettivo.

I cerchi in lega di primo equipaggiamento sono molto belli, tanto scampanati da sembrare molto più larghi di quanto non siano in realtà. Anche l’interno è tipico di una vettura in cui tutto è votato alle prestazioni. Lo spazio è risicatissimo, la strumentazione è di notevoli dimensioni e direttamente sotto gli occhi del pilota, calarsi nell’abitacolo è come indossare una tuta aderente.

Quanto di meglio per guidare con la dovuta sensibilità una macchina che chiede soltanto di essere spremuta a dovere con malizia, piede pesante e mano leggera, accompagnati dal sound dei due Weber da 45 che ti accarezza prepotentemente ma amabilmente l’orecchio. Borghese alternativa La 124 Abarth ha una personalità completamente diversa, quasi malandrina.

È come se ti dicesse “Non hai idea di quello che potrei fare, se solo tu volessi…”. In effetti ce la ricordiamo bene nelle mani dei vari Bacchelli, Verini, Pinto, Aaltonen bastonare alla grande avversari agguerritissimi. In versione stradale resta tutto come sottinteso, la stretta parentela con la borghese 124 Spider fa sembrare un’esagerazione quel vistoso abbinamento di rosso corsa-nero opaco che invece è la sua nota caratteristica.

Un contrasto voluto che si riproduce anche nelle altre varianti previste per la produzione di serie (in tutto ne saranno costruite solo 955), bianco-nero e azzurro-nero, ma che tutto sommato si abbina bene con le altre caratteristiche distintive di un’auto predisposta per un uso sportivo, come l’assenza di paraurti, i cofani in vetroresina, le porte in alluminio, un interno molto semplificato, la presenza del roll-bar posteriore (ma in gara dovrà essere sostituito dalla gabbia regolamentare) e l’hard-top in sostituzione della capote.

Quello che però differenzia sostanzialmente la 124 Abarth dalla 124 Sport Spider sono le sospensioni posteriori, mentre le anteriori restano praticamente identiche se non per l’aggiunta di due puntoni di reazione. Al retrotreno l’intervento è stato più radicale, seppure condizionato da una scocca inizialmente progettata per ospitare un classico ponte rigido. Lo schema tipo McPherson è stato adottato con un disegno particolare: bracci triangolari oscillanti, montante telescopico integrato agli ammortizzatori, molloni elicoidali, puntoni di reazione e barra stabilizzatrice.

È la soluzione che ha permesso di rivoluzionare il comportamento in corsa rendendolo estremamente più efficace, grazie ad assetti sempre più evoluti e adattati alle potenze crescenti. Il motore è il 1.800 cc della contemporanea berlina 132, dotato di due carburatori doppio corpo ma predisposto per successive elaborazioni che lo porteranno sulla soglia dei 200 CV. Voglia di Rally L’esemplare che abbiamo in prova è di Alberto Arcangeli, grande appassionato di motori come logica conseguenza della sua professione: restauratore a Salò specializzato in motoscafi Riva, dotati in generale dei grossi 8 cilindri General Motors.

Proprio perché avvezzo ad interventi radicali, si è occupato direttamente del restauro della sua 124 Abarth, una cura di cui l’auto aveva grande bisogno. È stata acquistata poco più di un anno fa grazie all’interessamento di diversi amici che l’hanno convinto ad abbandonare l’iniziale progetto di acquisto di una Porsche 3.0, molto più impegnativa da preparare in vista di un uso rallistico, cui Arcangeli vorrebbe dedicarsi dopo alcune felici esperienze insieme al figlio Luca.

I rally storici sono per lui una scoperta recente, indotta anche in questo caso da un amico già inserito nell’ambiente. È bastato noleggiare un’auto e partecipare ad un paio di gare per far scoccare la scintilla della passione.

La vettura è ora in perfette condizioni, assolutamente di serie e tuttavia già in grado di prendere il via alla prima occasione: sarà solo necessario provvedere ad una bella messa a punto, montare un roll-bar adeguato e dotarsi degli strumenti indispensabili al navigatore.

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Filosofie a confronto
Le tre differenti impostazioni tecniche implicano di conseguenza tre diversissimi comportamenti stradali. La Fulvia “Fanalone”, frutto di una evoluzione anche se molto curata di un’auto di serie, evidenzia tutte le caratteristiche tipiche di una trazione anteriore degli anni 60/70. È piacevolmente sottosterzante ad andature turistiche, con uno sterzo certamente pesante se rapportato a quelli ultra-confortevoli delle auto moderne, ma tutto sommato dolce nel funzionamento. Diventa invece impegnativa nella guida veloce, perché il sottosterzo si fa sentire con prepotenza. Bisognerebbe essere Munari per contrastarlo efficacemente, soprattutto su fondi a scarsa aderenza.

Anche lo sterzo allora si appesantisce e diventa stancante, ma niente a che fare con la fatica sovrumana richiesta dalle “Fanalone” Gruppo 4 dotate di autobloccante: chi ne ha fatta esperienza può ben ricordare lo sforzo terribile richiesto per girare il volante diventato granitico, con l’aggravante di avere una vettura che tirava a sinistra in accelerazione e a destra in rilascio. Gli stessi professionisti lo utilizzavano saltuariamente, ma questa è un’altra storia. Tornando alla nostra Fulvia, incanta la fluidità di funzionamento del motore, che esprime tutta la sua generosità con un suono piacevolissimo.

La Renault Alpine A110 la si indossa, come si diceva poc’anzi. Ed è una fortuna, perché così fasciati diventa spontaneo adottare una tecnica di guida di ispirazione sciistica. Il brillante motore posteriore a sbalzo fa doverosamente la sua parte accompagnando la coda verso l’uscita della curva: il rischio è quello di vedersela passare di fianco, ma con controsterzi pronti e smaliziati questo comportamento diventa un gioco molto divertente e anche efficace.

Come dice giustamente Renato Ambrosi: “La vettura è maneggevolissima, e la sua leggerezza consente al motore di esprimersi con esuberanza a qualsiasi regime di rotazione. È una macchina per chi ama andare veloce e il particolare sovrasterzo in curva è piacevolissimo per chi sa guidare di traverso.” L’assetto posteriore con forte camber negativo contrasta questo comportamento, rendendolo progressivo quel tanto che basta per poterlo gestire con relativa facilità una volta capito. Mentre è impegnato in questa continua ginnastica, il pilota è accompagnato dalla voce prepotente del motore, amplificata a dovere dal guscio dell’abitacolo che si trasforma in efficace cassa armonica.

La 124 Abarth è meno sofisticata e in un certo senso somma alcune delle caratteristiche principali delle due antagoniste. È giustamente sottosterzante in ingresso di curva, fenomeno indotto dalla massa del motore che grava sostanzialmente sull’avantreno. Basta però dare acceleratore per innescare il sovrasterzo di potenza che facilita l’uscita di curva. È dunque un comportamento stradale tipico dell’impostazione classica motore anteriore-trazione posteriore, forse il più facile da interpretare, in questo caso reso più gradevole e progressivo dalla nuova sospensione a ruote indipendenti.

È un tipo di assetto che, con le dovute evoluzioni e diverse messe a punto a seconda del tipo di fondo stradale da affrontare, ha anche dato molte soddisfazioni ai piloti ufficiali. Il motore in questa versione è più potente e soprattutto molto più pronto nell’erogazione, merito dei due carburatori doppio corpo. In complesso, per dirla con lo stesso Arcangeli, “Una macchina che piace molto, tanto bella da guidare quanto da guardare”. Risposta pronta A seguirle da dietro guidate dai loro proprietari, le auto svelano immediatamente le tre differenti personalità, evidentemente si trovano a loro agio nelle mani di chi ha donato loro nuova vita. Elegante e ricca di sostanza la Fulvia, con bella grinta fa cantare il 4V affrontando con uno sforzo evidente ma molto dignitoso i tornanti che si susseguono.

Agile e ballerina la Alpine, volteggia leggera disegnando col suo bel posteriore traiettorie rotonde mentre il motore si fa sentire allegramente. Pragmatica ed efficace la 124 Abarth, percorre con precisione le strette stradine su cui ci siamo avventurati facilitando il gioco di acceleratore e sterzo che il pilota sapientemente conduce. Sono affascinanti tutte e tre, tanto che alla classica e scontata domanda “Quale preferiresti avere nel tuo garage?” non si potrebbe che rispondere “Le vorrei tutte, e anche subito.”

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