11 August 2022

Jaguar XJ 220, orgoglio e pregiudizio

L’orgoglio è quello “ferito” della Jaguar più performante e ambiziosa di sempre, arrivata in produzione privata del suo nobile propulsore V12 in favore di un V6. Il pregiudizio, quello dei tanti che, soprattutto per questa ragione, scelgono all’epoca di non perfezionarne l’acquisto. Rendendo oggi la XJ 220 una classica ancor più rara ...

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Non parliamo del celebre romanzo di Jane Austen, ma restiamo in terra d’Albione: la Jaguar XJ 220 è senza dubbio una delle sportive più affascinanti e controverse degli ultimi decenni. Presentata nel 1988 ma prodotta solo a partire dal 1992, da quest’anno diventa ufficialmente un’auto storica, ed è un ottimo motivo per raccontarla sulle nostre pagine.

Il progetto nasce, come nella migliore tradizione dei modelli più iconici, dal lavoro “informale” di un gruppo di dipendenti Jaguar, che decide di dedicare un po’ del proprio tempo libero allo sviluppo di una supercar da progettare senza particolari condizionamenti, ispirandosi alle mitiche Jaguar da corsa che negli anni 50 e 60 correvano alla 24 Ore di Le Mans e attingendo alle tecnologie delle vetture da corsa della Casa britannica di metà anni 80.

Da questa idea si passa allo sviluppo concreto di una concept car a 4 ruote motrici spinta da un motore V12, realizzata in collaborazione tra Jaguar Sport e la TWR di Tom Walkinshaw, nome ben noto agli appassionati nel campo dell’ingegneria automobilistica e da corsa. La guida del team viene affidata a Mike Moreton, ex responsabile della Ford Motorsport, per la quale aveva sviluppato la Sierra RS500 Cosworth e la RS200 Gruppo B.

La mano di Tom Tom Walkinshaw avvia la sua collaborazione con la Casa inglese all’inizio degli anni Ottanta, quando propone alla dirigenza di partecipare al Campionato Europeo Touring Car del 1981 con la coupé XJS. La partnership funziona, e nel giro di due anni la vettura porta a casa risultati di tutto rispetto.

A partire dal 1983 la Jaguar fornisce assistenza per i suoi V12 alla scuderia Group 44 Racing, che corre nel Campionato GT IMSA con la XJR-5, in previsione della partecipazione alla 24 Ore di Le Mans del 1984. Un’esperienza propedeutica allo sviluppo della nuova XJR-6, realizzata dalla Jaguar a quattro mani con Tom Walkinshaw per competere nel Gruppo C del FIA World Sportscar Championship nella stagione 1985.

Nel 1988 la TWR prepara la nuova XJR-9 V12, mossa da un 7 litri a carter secco, che nello stesso anno si aggiudica sia la 24 Ore di Le Mans che il Campionato. Un’esperienza di successo che rappresenta però il canto del cigno del prestigioso motore: il suo consumo esagerato infatti mal si concilia con le nuove regole imposte dalla Federazione che limitano i rifornimenti durante le gare.

Le evoluzioni XJR-10 e XJR-11 vedono quindi il grosso plurifrazionato sostituito dal 6 cilindri Austin Rover progettato per la MG Metro 6R4 da Rally, rimasto di fatto inutilizzato dopo l’abolizione del Gruppo B nel 1987. L’unità 6 cilindri ha dalla sua delle ottime doti: è compatta, leggera ed efficiente in termini di consumo, e la TWR ci vede un’ottima base per mettere a punto il nuovo propulsore per la XJR-10, e ne acquista così i diritti di progettazione.

Questa scelta contribuisce a far sì che, nelle competizioni, la TWR e la Jaguar proseguano su strade separate. Il management di quest’ultima ritiene infatti che la via imboccata dalla TWR porti a realizzare vetture troppo diverse dalla produzione Jaguar, soprattutto a causa della scelta di un propulsore di altra provenienza.

A Coventry si decide quindi di avviare un proprio progetto per realizzare un’auto stradale che sia in grado di vincere a Le Mans, e già a Natale del 1987 sono pronte le prime due proposte in scala 1:4. Della prima si racconta che ricordasse la Porsche 956, mentre la seconda, dall’aspetto “più Jaguar”, rimanda ad alcune caratteristiche del concept coevo XJ 41 e della defunta XJ 13. Un family feeling che le vale la scelta definitiva.

Essendo il progetto ancora privo di supporto ufficiale, l’ingegnere responsabile Jim Randle non ha altra scelta che mettere insieme un team di volontari per lavorare alla sera e nei fine settimana. La squadra, composta da una dozzina di persone, diventa nota come “The Saturday Club”.

Richiami classici
Condizionato dai regolamenti FIA Gruppo B, il layout del progetto prevede motore centrale, trazione integrale e... un motore Jaguar V12. Mancando i finanziamenti ufficiali, la progettazione avviene in economia, e lo stesso Randle si espone personalmente chiedendo aiuto a collaboratori e fornitori in cambio di un futuro “riconoscimento pubblico” e dell’opportunità di nuovi contratti di fornitura.

Il nome XJ 220 viene scelto come richiamo alla classica XK 120, dove il 120 si riferiva alla velocità massima (in miglia orarie) raggiungibile dal modello: l’ambizioso risultato promesso dalla nuova vettura è infatti di 220 mph (oltre 350 km/h); come la XK 120, anche la XJ 220 è un’auto sportiva con carrozzeria in alluminio tecnologicamente avanzata che, al lancio, si presenta come l’auto di serie più veloce al mondo grazie alla trazione integrale e al nuovo V12 progettato da Walter Hassan, un 6,2 litri a carter secco con bielle in titanio, doppio albero a camme in testa e 4 valvole per cilindro, ben più performante rispetto ai V12 all’epoca in produzione per le XJ e XJS, con albero a camme singolo e 24 valvole.

Parte del merito va anche all’aerodinamica ardita, studiata per limitare l’uso di appendici aerodinamiche a favore di una linea semplice, pulita e funzionale, anche questo un omaggio alle bellissime Jaguar come la D-Type e la E-Type.

Unico “vezzo” l’ala posteriore ripiegabile. Completano il quadro del concept le quattro ruote sterzanti, le sospensioni regolabili, le porte apribili “a forbice” azionate elettricamente, il coperchio del vano motore trasparente per mettere in mostra il V12 e il raffinato interno in pelle Connolly.

Il prototipo viene completato poche ore prima della presentazione e svelato per la prima volta il 18 ottobre 1988 al British International Motor Show di Birmingham, dove viene toccato con mano per la prima volta anche dallo stesso dipartimento marketing della Jaguar.

La vettura è un successo clamoroso e mette addirittura in ombra la Ferrari F40, esposta al pubblico nello stesso salone. Bellissima e aristocratica, degna erede di una tradizione sportiva troppo a lungo trascurata, la nuova nata crea uno scompiglio tale da convincere i vertici della Casa inglese a darle un seguito produttivo, e nel giro di pochissimo sono raccolte ben 1.500 caparre da 50.000 sterline ciascuna per un’auto che, stando a quanto viene allora pianificato, non sarebbe stata consegnata prima di quattro anni!

A questo punto le cose si complicano. L’ingegnerizzazione della vettura per la produzione e norme sulle emissioni sempre più stringenti comportano modifiche via via più significative alle specifiche della XJ 220, su tutte la sostituzione del motore V12 con una versione turbocompressa del V6 di origine Austin, seguendo anche la strada delle concorrenti designate, Ferrari F40 e Porsche 959, mosse rispettivamente da un V8 e da un 6 cilindri boxer, entrambi biturbo.

La scelta suona però come un pesante taglio alla “nobiltà” della meccanica, e questo, sommato alla recessione dei primi anni Novanta e al conseguente calo di interesse nei confronti delle supercar ad alte prestazioni, convince molti degli acquirenti a rinunciare alla propria opzione di acquisto, il tutto spesso condito da risvolti legali. A fine 1989 la produzione pianificata scende a 350 auto, il prezzo sale a 290.000 sterline più tasse.

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Valori che nel 1992, al momento del lancio ufficiale sul mercato, sono peggiorati ancora: il prezzo di acquisto è schizzato a 470.000 sterline e il totale delle vetture si attesterà a sole 281, con gli ultimi esemplari praticamente svenduti a produzione ormai abbondantemente finita. In realtà la storia suona peggio di quanto sia effettivamente.

Il nuovo motore porta indubbi vantaggi in termini di peso e compattezza (la XJ 220 di serie è infatti più corta e leggera del prototipo) oltre che di emissioni, e nella nuova versione, denominata TWR JV6, deriva sì dall’ Austin Rover V64V V6, ma rispetto alla configurazione originale è pesantemente rivisto dal reparto sportivo Jaguar e, prima ancora, dalla TWR.

Intanto viene completamente riprogettato per accogliere la doppia sovralimentazione ad opera di due turbocompressori Garrett TO3, dato che di partenza è un aspirato; la cilindrata è poi innalzata a 3,5 litri ed è applicata un’iniezione con doppi iniettori e gestione elettronica.

Nella versione di serie è accreditato di 550 CV a 7.200 giri, con una coppia di 644 Nm a 4.500 giri; le prestazioni dichiarate promettono uno 0-100 in 3,8 secondi e una velocità di oltre 340 km/h, che possono diventare teoricamente 360 rimuovendo lo scarico catalizzato e che rendono la XJ 220, al momento del lancio, l’auto di serie più veloce del mondo.

I test per stabilire il record si svolgono in Puglia, sull’anello ad alta velocità di Nardò; a guidare i prototipi c’è il pilota di Formula 1 Martin Brundle, vincitore della 24 Ore di Le Mans del 1990 alla guida della XJR-12. Infine, e forse questo è il dato più incredibile, nonostante la “cavalleria” di molto superiore e la trazione integrale, la XJ 220 V6 teoricamente può percorrere a velocità di crociera oltre 12 km con 1 litro: un valore migliore di circa il 30% rispetto alla XJ6 3.2 allora in produzione.

Che il motore JV6 non sia esattamente una soluzione di ripiego lo dimostra pure il fatto che, per costruirlo, viene realizzata appositamente una struttura di avanguardia a Kidlington, nell’Oxfordshire.

Profondamente diverso dall’unità Metro 6R4, è differente pure da quello della XJR da corsa, essendo stato progettato specificamente per soddisfare i requisiti europei sulle emissioni, che chiaramente i motori da corsa non dovevano rispettare. E infatti la responsabilità del flop commerciale della super Jaguar non è tutta da imputare al downsizing del motore.

Rispetto al prototipo anche le scenografiche portiere “a forbice” vengono abbandonate durante la delicata fase di riprogettazione per adattare telaio e carrozzeria ai nuovi ingombri ridotti e alle prove di crash.

Sono poi abbandonate le ruote sterzanti posteriori, le sospensioni regolabili in altezza e l’aerodinamica attiva, e si decide di tagliare sull’ABS e addirittura pure sul servofreno, richiesto poi da diversi proprietari per le difficoltà nelle frenate a freddo.

Non si lesina invece sui lussuosi interni, rivestiti in pelle (portabagagli compreso) e accessoriati anche col climatizzatore, e sulle ruote, progettate appositamente per la XJ220, con gli inediti pneumatici unidirezionali asimmetrici Bridgestone Expedia S.01 da 255/55 ZR17 all’anteriore e 345/35 ZR18 al posteriore, calzati su esclusivi cerchi Speedline Corse.

10 anni da primatista
Grazie a un delicato lavoro in galleria del vento, la XJ 220 diventa una delle prime auto stradali a utilizzare i flussi d’aria sottoscocca e l’effetto Venturi per generare carico aerodinamico, con un Cx di 0,36, che coinvolge pure le prese d’aria dietro le porte, ingrandite rispetto ai prototipi per alimentare i due nuovi intercooler.

La supercar viene assemblata in una fabbrica appositamente costruita a Wykham Mill, sempre nell’Oxfordshire, e inaugurata nell’ottobre 1991 presentando la prima XJ 220 di serie. Le prove su strada dell’epoca parlano di una vettura incredibilmente comoda e veloce, dall’accelerazione selvaggia ma molto progressiva, e in grado di volare a 250 km/h dando l’impressione di essere fermi o quasi, grazie ad una stabilità sorprendente alle alte velocità, ma anche all’ergonomia e alla visibilità più curate rispetto alle concorrenti dell’epoca, oltre che a un’insospettabile comfort sullo sconnesso.

Tra gli aspetti più criticati, la gestione della frenata senza servocomando e le dimensioni eccessive al limite dell’imbarazzante nell’uso urbano. La XJ 220 conserva il titolo di vettura stradale più veloce del mondo fino al 1999, quando le subentra un’altra britannica col pedigree: la McLaren F1.

Guidata da Andy Wallace nel marzo 1998, la supercar a guida centrale fa registrare i 240,1 mph (386,4 km/h), conquistando così il primato. Ma a quel punto la XJ 220 è solo un ricordo: l’ultimo esemplare lascia infatti la linea di produzione nell’aprile 1994; gli impianti vengono ceduti alla Aston Martin, per la costruzione delle nuove DB7.

L’esemplare presentato in queste pagine, uno degli ultimi di 281 prodotti, è stato costruito nel giugno 1993 e consegnato alla Jaguar Italia il 14 gennaio 1994. Ha percorso appena 6.079 km ed è sempre stato manutenuto da Jaguar Europe e da specialisti Jaguar. Si presenta in condizioni pari al nuovo ed è in cerca di un nuovo proprietario, che può visionarla contattando il dealer belga Gipimotor (gipimotor.com).

Come molte supercar dell’epoca, la XJ 220 monta numerosi componenti prelevati dalla grande serie, principalmente Ford. Fanaleria, serrature, pulsanti, specchi e altri dettagli si riconoscono facilmente, eppure il risultato complessivo resta molto armonico ed elegante, e le finiture non lasciano spazio a critiche.

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