Il progetto deliberato da Iacocca è impegnativo: il nome in codice è Bobcat, e prevede, per la produzione del nuovo modello, anche la costruzione di stabilimenti dedicati sia alla progettazione di nuove tecnologie che ad ospitare le nuove linee di montaggio, tra cui un nuovo impianto ad Almussafes, nei pressi di Valencia, con l’intercessione diretta del neoeletto Re di Spagna Juan Carlos.
Mentre gli ingegneri lavorarono telaio e meccanica della vettura, i centri stile americani ed europei si “sfidano” sullo stile: in lizza ci sono quello britannico di Dunton, quello tedesco di Colonia e quello torinese della Ghia, tutti contemporaneamente al lavoro sui parametri forniti dagli ingegneri.
Le maquette di stile vengono presentate nel 1970, in anteprima, durante un evento a porte chiuse a Losanna, in Svizzera, al quale sono invitati clienti di vari mercati europei, in veste di giudici per anticipare le reazioni del pubblico. Il prototipo selezionato è quello di Ghia, denominato Wolf, al quale hanno lavorato due maestri quali Tom Tjaarda e Paolo Martin.
Da quel modello deriverà, con gli opportuni aggiustamenti, l’aspetto esteriore della prima generazione di quella che ancora non si chiama Fiesta. Decide Henry Il nome della nuova macchina non viene infatti scelto prima del 1974, anno dell’approvazione definitiva del progetto Bobcat e dell’avvio della costruzione della nuova unità produttiva di Valencia.
Sarà proprio quest’ultima a influenzare la scelta del nome, su una rosa che da 50 proposte iniziali si era ridotta a cinque: Bravo, Fiesta, Amigo, Strada e Pony. Sebbene Bravo fosse la proposta appoggiata dalla dirigenza, è Henry Ford II in persona a scegliere Fiesta: parola dinamica, allegra e le cui origini iberiche celebrano la nuova avventura produttiva in terra di Spagna.
Curioso, oggi, il fatto che tutti e cinque quei nomi siano poi stati utilizzati per dei modelli di auto, pur se con marchi diversi: Fiat Bravo e Strada, Hyundai Pony e Isuzu Amigo (da noi venduta come Opel Frontera). La prima serie della Ford Fiesta viene anticipata, in forma di prototipo, dal concept Ghia Blue car del 1971, ancora opera di Paolo Martin, mentre la versione definitiva arriva sul mercato solo a maggio del 1976.
La vettura va a posizionarsi in concorrenza con Opel Kadett City, Volkswagen Polo e Fiat 127, rispetto alle quali si propone con uno stile gradevole e moderno e, soprattutto, con programmi ambiziosi: a partire già dall’anno seguente, adeguatamente allestita con un nuovo motore 1.6 Kent e una scocca rinforzata, entra a listino anche sul mercato nordamericano, dove in quattro anni totalizza circa 300.000 esemplari venuti.
Il consueto restyling “di metà carriera” arriva nell’agosto del 1981 ed è veramente leggero, a ulteriore riprova della bontà del progetto iniziale e del buon lavoro fatto dai designer torinesi. Con il lifting la Fiesta tiene botta egregiamente per altri due anni: ci vorrà il Salone di Francoforte del 1983 per vedere pubblicamente la seconda generazione.
Più morbida
La Fiesta model year 1983, prodotta nelle medesime fabbriche della prima generazione (Dagenham in Regno Unito, Saarlouis e Colonia in Germania e Valencia in Spagna), è in realtà un sapiente restyling della serie precedente.
Una serie di ritocchi ben calibrati la fa però sembrare un modello tutto nuovo, pur mantenendo i punti forti dell’originale. Completamente inedito è il frontale coi nuovi fari a sviluppo orizzontale con indicatori di direzione posizionati lateralmente (prima erano disposti gli uni sugli altri) e una griglia di ventilazione sottilissima, quasi invisibile.
Praticamente intatta la fiancata, anche se le linee più morbide e bombate dei coperchi motore e baule le donano un aspetto complessivamente più amichevole e moderno; smussate anche le linee della fanaleria posteriore, che ricalca ingombri e disposizione di quella precedente.
Un lavoro di ammodernamento generale che porta come risultato anche una riduzione del coefficiente di penetrazione aerodinamica, che scende da 0,42 a 0,40. Quello che invece è totalmente rinnovato è l’abitacolo, nel quale viene ridisegnato praticamente tutto, dalla plancia al cruscotto, al volante, ai sedili, ai pannelli. Tanto “ben di dio” costa, sulla bilancia, mediamente 50 kg in più rispetto alle versioni analoghe della prima serie.
È anche per questo che sulla seconda serie di Fiesta viene aumentata la carreggiata anteriore di circa 33 mm: una modifica necessaria per ampliare il vano motore, ora pronto ad ospitare il cambio a cinque marce, offerto di serie a partire dal 1984 su tutte le versioni ad eccezione della motorizzazione base da 957 cc, e a contenere il nuovo propulsore da 1.296 cc, che va ad aggiungersi al 1.117 cc pure ereditato dalla prima serie, e a un inedito 1,6 a gasolio.
Un upgrade di cilindrate e potenze che giustifica anche l’aggiornamento dell’impianto frenante, ora equipaggiato coi dischi della sorella maggiore Escort. Filo rosso Sempre nel 1984 la gamma si arricchisce con la versione sportiva top di gamma XR2, già presente pure sulla prima generazione a partire dal 1981. Il nuovo modello è spinto da un 1.597 cc CVH da 94 CV, che le consente di raggiungere i 163 km/h con uno scatto da 0-100 in soli 9,9 secondi.
La vettura si distingue dalle versioni più tranquille per un body kit esterno che è un giusto compromesso tra sobrietà e sportività: un sottile filetto rosso che guarnisce fiancate e paraurti, codolini laterali e spoiler anteriore color antracite, paraurti anteriori con rostri incorporati e fendinebbia, profili della finestratura neri, spoiler posteriore che incornicia tre lati del portellone, doppio retronebbia posteriore, grafiche specifiche, assetto sportivo ribassato e cerchi in lega “pepperpot” ereditati dalla versione precedente.
All’interno troviamo invece sedili anteriori sportivi, divano posteriore sdoppiato asimmetrico, strumentazione specifica con fondoscala a 220 km/h e zona rossa del contagiri a 6.000 giri e, per chiudere in bellezza, un volante sportivo.
Per quanto 94 CV siano una bella potenza rispetto ai soli 84 della prima serie, la XR2 è una vetturetta brillante ma non certo fulminea. Adatta più ai giovanissimi che non ad una vera clientela sportiva, la XR2 viene scelta in prevalenza dai ragazzi che non vogliono dare l’impressione di aver preso in prestito l’utilitaria della mamma: mascolina il giusto, la piccola Ford si fa apprezzare per alcune ricercatezze come il tetto apribile a scomparsa, il volante “cicciotto” da stringere nella guida impegnata, l’orologio digitale a soffitto.
Siamo lontani dalle prestazioni di una VW Golf GTI, sportiva compatta di riferimento dei primi anni Ottanta, ma c’è da dire che alla voce prezzo la differenza è altrettanto tangibile: la Fiesta top di gamma viene via a poco più di 13 milioni e ottocentomila lire. Agile e con un motore “pieno” Alla prova su strada, la XR2 è piacevole, ma fa tenerezza pensare che le sue prestazioni quasi quarant’anni fa fossero considerate sportive: in un’ipotetica prova semaforo oggi una Smart vincerebbe a mani basse.
I parametri con cui vanno guidate e giudicate vetture come queste oggi sono infatti altri: prima tra tutti l’erogazione piacevole e briosa, con un bell’allungo in alto e una prontezza in basso che è sconosciuta alle piccole moderne: turbine e distribuzioni multivalvole tanto diffuse ai giorni nostri sono infatti accomunate dai classici vuoti ai bassi regimi, quasi assenti sui vecchi motori a benzina aspirati.