Gli allestimenti interni, dotati di componenti elettronici all’avanguardia, nascono dalla partnership con la Veglia-Borletti. L’impostazione generale della strumentazione è dettata dall’idea di sistemare solo gli strumenti essenziali per la marcia davanti al guidatore e di sistemare tutti gli altri nella consolle. Il tachimetro, il contagiri, le spie e la grande luce rosse di allarme -attivata in caso di anomalia di un qualsiasi organo di servizio- sono raccolti in uno schermo scuro di fronte al guidatore. L’intero pannello si illumina azionando la chiave di avviamento. Essendo rimasta pressoché allo stadio di prototipo o “show car”, molti accessori non sono stati realizzati, ma il progetto originario prevedeva una ricca dote di altre sofisticherie tecnologiche. Oggi rientrate quasi nello standard, ma alla fine degli anni Settanta rappresentavano qualcosa di straordinario.
E allora ecco un fiorire di display digitali a led sui quali leggere le informazioni sul percorso effettuato dalla vettura e quelle provenienti dal calcolatore di bordo, o ancora gli avvisi per la manutenzione da effettuare e quelli per le anomalie. Tramite una apposita tastiera si potrebbe interrogare il computer di bordo per conoscere la velocità media, i consumi, i chilometri percorsi, eccetera. Una seconda tastiera è poi sistemata sulla console tra i sedili posteriori ed è a disposizione dei passeggeri per il loro coinvolgimento nel viaggio. Per i sedili anteriori è prevista la regolazione elettrica, comandata tramite pulsanti posizionati sul padiglione. Anche la climatizzazione è automatica: peccato che tutti questi accessori siano rimasti sulla carta.
Altri elementi unici sono i cerchi ruota in lega leggera che utilizzano il disegno classico della stella Ferrari, ma quelli della Pinin hanno i bracci della stella svergolati verso l’interno come pale di un’elica in modo da ottenere un effetto autoventilante sui freni. I tergicristalli, infine, sono completamente nascosti alla vista quando sono in posizione di riposo. Si trovano in un apposito alloggiamento dotato di sportello che, quando si trova in posizione sollevata, alimenta la presa d’aria per l’abitacolo.
È sempre difficile realizzare la cosa giusta al momento giusto. Lo è sempre stato. Forse non fa eccezione nemmeno la Ferrari Pinin. All’epoca non esisteva una vettura a quattro porte sportiva e di lusso costruita in Italia. E alla Ferrari la proposta della Pinin non sembrava neanche troppo fuori dagli schemi. Allo stesso Commendatore aveva suscitato impressioni positive, ma la sua eventuale approvazione non sarebbe stata sufficiente per avviarne la produzione. C’era già la Fiat di mezzo, che aveva appena chiamato Vittorio Ghidella a capo della divisione auto.
La missione del manager era quella di rilanciare l’azienda per arrivare alla stabilità economica, e in occasione dell’annuale consiglio di amministrazione Ferrari tenuto nel 1980, Ghidella non aveva esternato parere favorevole nei confronti della Pinin. A quel punto, per evitare incidenti diplomatici e per mantenere saldi i rapporti “politici” con Torino, anche Enzo Ferrari si vedeva costretto a mettere la Pinin nel cassetto. Con il senno di poi e considerando quel che ha fatto la Porsche con la Panamera (ma anche BMW e Mercedes con le berline ad altissime prestazioni) viene da pensare che una Ferrari Pinin “vera” oggi avrebbe il suo perché.