Mercedes-Benz SL: dalla Pagoda ad oggi

Oltre mezzo secolo è passato da quando apparve questa sportiva che ha segnato un’epoca e creato un marchio: Pagoda. Un’intuizione di design su una meccanica bella da guidare ancora oggi...

L’innovazione fu la forza motrice che portò alla nascita della seconda generazione di SL. Le forme enfaticamente tonde della precedente 300 SL roadster (derivate dalla mitica Gullwing), che illuminarono l’epoca dello “stile anni ‘50”, furono drasticamente smentite quando, al Salone di Ginevra del 1963, la Mercedes presentò la sua nuova scoperta. La W113 (questa la sigla di progetto della vettura), che aveva cofani e porte in alluminio per onorare il suo glorioso acronimo (Sport Leggera), destò scalpore fra gli appassionati della Stella a tre punte, proprio per le sue linee tese, eleganti ma innovative e non soltanto per la clientela un po’ conservatrice della Casa tedesca. Sicurezza Il pubblico dapprima fu sconcertato; ma proprio questa reazione fu interpretata dalla Mercedes come la dimostrazione di aver centrato l’obiettivo. Il “Pagodino”, come sarebbe stata poi chiamata da tutti la splendida 230 SL (per il particolare hard-top concavo che ricordava, per l’appunto, il tetto dei templi orientali), divenne ben presto un oggetto di culto per gli appassionati di belle automobili. Grande fu, quindi, il merito del progettista francese Paul Bracq (approdato a Stoccarda dalla Peugeot), per aver avuto il coraggio di rompere gli schemi precedenti, tirando una linea netta (in tutti i sensi) per definire la fiancata della Pagoda, e separare il presente dal passato. Ma le forme tese e morbide, allo stesso tempo, di questa spettacolare Mercedes, non furono figlie di una sola matita.

A quei tempi, infatti, nello staff di progettazione diretto da Bracq, c’era anche un giovane italiano, un certo… Bruno Sacco, che poi sarebbe diventato l’uomo dello styling a Stoccarda, e che influenzò senz’altro anche il progetto W113. Le innovazioni, però, sulla SL, non si limitavano all’estetica, a quelle sue splendide linee sottolineate dal profilo orizzontale che separava in due la fiancata alleggerendola, ma si estendevano anche agli aspetti tecnici, in particolar modo alla sicurezza. La Pagoda fu la prima auto sportiva di quell’epoca su cui furono prese in grande considerazione la sicurezza attiva e passiva dei passeggeri. Come la berlina a quattro porte che la precedette, la famosa 220 SE detta “codine” (la prima auto al mondo provvista di una carrozzeria con cellula di sicurezza), anche la 230 SL fu dotata di un abitacolo rigido con carrozzeria a zone d’assorbimento d’urto, grazie ad elementi deformabili nella parte frontale e in coda.

Inoltre, gli interni della vettura erano stati allestiti in modo da eliminare qualsiasi sporgenza pericolosa, e il piantone dello sterzo, dotato di un moderno sistema a circolazione di sfere, fu realizzato in due tronconi, per evitare danni al torace in caso d’urto frontale. Le cinture di sicurezza erano disponibili a richiesta. Per quanto riguardava la sicurezza attiva, poi, la Mercedes equipaggiò la sua “Pagoda” di un impianto frenante a doppio circuito, con freni a disco sulle ruote anteriori, e per la prima volta nella sua storia dotò la vettura con i più avanzati pneumatici di tipo cinturato. Un quadro completato da sospensioni anteriori dotate di moderni ammortizzatori a gas e molle elicoidali, mentre al posteriore si mantenne il ponte a bracci oscillanti con un ammortizzatore centrale, che rendeva la guidabilità della SL sul bagnato piuttosto impegnativa.

All’avanguardia, invece, era il motore 6 cilindri in linea, 2308 cc, 150 CV e 20 kgm, con iniezione meccanica evoluta rispetto a quella introdotta sulla “Gullwing” del ’54 (pompa con sei stantuffi anziché i due precedenti e condotto d’aspirazione preriscaldato) per migliorare la risposta al comando del gas. Cinque marce La “Pagoda” è ancor oggi una macchina molto godibile, oltre a essere bellissima. Una vettura piacevole da guidare, con finiture ottime e sedili molto confortevoli, un motore brillante e lo sterzo preciso. Le sue prestazioni, nella prima versione, erano “al top”, con una velocità di punta di 200 km/h e un’accelerazione da 0 a 100 km/h in 9,7 secondi. L’unico neo veniva dall’erogazione del motore: il suo sei cilindri richiedeva un abbondante largo uso del cambio che mal si sposava con le attese di souplesse naturali di fronte a una vettura del genere.

Sopra, due bozzetti di studio per la linea della W 113 (in alto) e della successiva R 107. Relativamente a quest’ultima, gli sforzi dei designer si concentrarono molto sullo stile da dare alla calandra. Nelle immagini in bianco/nero, sopra un prototipo quasi definitivo della W 113, che qui si chiamava ancora SL 220; più in basso, uno studio del 1974 che prefigurava già la futura R 129, qui con hard-top. A ciò si pose parziale rimedio nel 1966, con la versione a cinque marce, a cui nel 1967 fece seguito il motore di 2.496 cc, uguale potenza del 2.3 ma coppia incrementata a 21.8 kgm. Contestualmente al nuovo motore, la SL sarà prodotta, a richiesta, in tre diverse tipologie di modello: cabriolet, con capottina ripiegabile, hard-top, con tetto rigido e capottina in tela, e coupé, con il solo hard-top e più spazio nella zona posteriore, per sistemare altro bagaglio. Dopo la produzione di soli 5.196 esemplari della 250 (la versione più rara), nel 1968 arriva anche la 280, che chiude il ciclo della prima serie arrivando a piena maturazione grazie al propulsore di 2778 cc con 170 Cv e una robusta coppia di 24,5 kgm a 4500 giri; non a caso, con 23.885 esemplari prodotti, la 280 è l’allestimento di maggior successo.

All’inizio del 1971, con l’esemplare numero 48.912, arriva il canto del cigno di questa bella scoperta Mercedes. Dato il suo successo però non si può certo mandarla in pensione, così, nell’aprile del 1971, Stoccarda presenta la sua erede, stilisticamente piuttosto diversa perché priva di quella linea così caratteristica del padiglione. La nuova 350 SL, le cui prime linee sono state tracciate addirittura nel 1967, quando la prima serie è ancora pienamente sulla breccia, ha muso e coda simili alla berlina W116, ma si distingue da questa per le linee slanciate della fiancata e per il frontale con la tipica calandra allungata e la grande stella a tre punte nel mezzo. Il motore che equipaggia la R107 (questa la sigla di progetto) era il primo 8 cilindri a essere montato su una spider Mercedes, ed ha una cilindrata di 3499 cc con 205 CV e una coppia di ben 28,7 kgm. Questi valori, nettamente superiori a quelli della prima serie della Pagoda, sono giustificati dal fatto che la nuova SL ha un peso nettamente superiore alla precedente (1540 kg contro i 1295), tanto da essere soprannominata “panzerwagen” all’interno della stessa Casa tedesca. Un incremento in parte dovuto a un telaio ben irrobustito per soddisfare le più recenti e restrittive norme sulla sicurezza.

Pur non vantando lo stesso “appeal” del precedente modello, la nuova roadster Mercedes riscuote però un vasto consenso fra il pubblico, tanto da diventare la spider di maggior successo della Stella a tre punte rimanendo sul mercato per ben 18 anni, e senza variazioni estetiche di rilievo. Discorso opposto per le motorizzazioni che, con una gamma che parte dalla cilindrata 2.8 per arrivare alla 5.6 attraverso altre cinque varianti diverse a 6 e 8 cilindri. Nessun problema di erogazione, quindi, anzi questa servie della SL è proverbiale proprio per la souplesse di marcia, soprattutto con i V8. Questa seconda serie della Pagoda, poi, beneficia della presenza di freni a disco anche sulle ruote posteriori, con un moderno impianto a 4 dischi autoventilanti. Futuristica Dopo una carriera di grande successo, la seconda serie della Mercedes- Benz SL va in pensione nel 1989, lasciando spazio a una pietra miliare di Bruno Sacco: la serie R129. Il Direttore del design di Stoccarda riesce a conciliare l’eleganza che ci si aspetta dall’erede di cotanta famiglia, con la brillantezza e perfino la grinta di una macchina aperta con cubatura di 5 litri (SL 500). Il tutto in quadro di pulizia esemplare, con un lungo cofano che s’incunea nell’aria e un montante del parabrezza molto inclinato a sottolineare le forme aerodinamiche e sfuggenti.

Quando compare al Salone di Ginevra del 1989, la R129 suscita un enorme interesse fra il pubblico, sia per le sue stupende forme tese, sia per gli innovativi contenuti tecnologici di cui è portatrice. La nuova roadster è infatti depositaria di numerosi brevetti relativi a molteplici innovazioni nel campo della sicurezza e della dinamica, come il roll-bar nascosto che si estende in 3 decimi di secondo, il sistema per il controllo della trazione ASR che funziona in sinergia con l’ABS, il rivoluzionario sedile (coperto da ben venti brevetti) concepito per assorbire l’energia cinetica di un impatto laterale e con una struttura integrale che include le cinture di sicurezza. C’è poi il sistema di regolazione di schienale, seduta e distanza dal volante tramite le celebri icone tridimensionali (altro brevetto Mercedes) riprodotte sulle porte. Infine, lo splendido e slanciato tetto in tela a più strati, progettato con un sistema di motori elettrici che ne garantivano apertura e chiusura in meno di 20 secondi, in un vano nascosto da una paratia metallica.

La R129, insomma, è un’auto imbottita di tecnologia, per rendere la vita a bordo più confortevole e sicura, anche se, forse, un po’ meno emozionante a causa del “filtro” di tanta tecnologia ed elettronica. Tuttavia le prestazioni di questa splendida roadster sono grande rilievo (la versione 500 SL è accreditata di una velocità massima autolimitata a 250 km/h e di un’accelerazione 0-100 in 6,7 secondi), da vera sportiva. E come se non bastassero questi numeri, sulla R129 si decide di montare, per la prima volta su una “scoperta” della Casa, anche un V12, che equipaggia la SL 600 a partire dal 1992. Un motore da 389 CV a 5200 giri, che permette alla SL di raggiungere i 253 km/h (autolimitati) con uno 0-100 cm/h di soli 6,1 secondi. La produzione della terza generazione di quella che per tutti è comunque e sempre la “Pagoda”, si conclude nel 2001, con l’avvento della SL R230. A questo punto le SL non sono più auto d’epoca e nemmeno storiche, ma la Pagoda è entrate nella storia, e con essa l’intera stirpe a cui diede la stura 50 anni fa.

LA “SUPER” PAGODA A metà anni ’60 nella gamma Mercedes-Benz c’era penuria di motori di grosse prestazioni: i più potenti erano i sei cilindri di 2.5 e 3.0 con 150 e 170 CV rispettivamente. C’era un solo V8, il 6,3 litri da 250 CV montato sulla berlina W 100. La situazione non era degna di una Casa come quella di Stoccarda: la stampa specializzata tedesca sottolineava il fatto che la concorrente Opel, grazie alla “grande sorella” General Motors, poteva contare su grossi V8 di origine americana, mentre Mercedes non aveva mai pensato a una versione ridotta del 6.3 per equipaggiare le berline di gamma medio-alta. Era una cosa incomprensibile per il primo costruttore germanico, tanto più che la Ford aveva appena vinto la 24 Ore di Le Mans con un prototipo spinto da un V8 derivato dalla serie.

Di fronte a questa situazione, i tecnici di Stoccarda guidati da Rudolf Uhlenhaut reagirono montando il loro V8 serie M 100 sulla berlina W 109, creando così la leggendaria berlina 300 SEL 6.3; l’idea fu di Erich Waxenberger, del reparto ricerca e sviluppo. Non contenti, provarono a installare quel motore anche sulla SL W 113, ma l’operazione fu tutt’altro che semplice, a causa delle dimensioni del V8. Quella “Pagoda” sperimentale si riconosceva per la bombatura estesa del cofano motore. Nel luglio 1967, comunque, la “pagodona” e due berline della serie W 108/109 si recarono al Nürburgring per una serie di collaudi, dai quali emerse che, a parte le congenite carenze di assetto al retrotreno aggravate dall’incremento di coppia e il severo consumo delle gomme Dunlop Racing, la “super” SL aveva ottime potenzialità, superiori a quelle delle berline. A Stoccarda però ritennero di non dover anticipare i tempi per una Pagoda di elevate prestazioni, e il prototipo fu demolito in fabbrica.

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