15 August 2022

EPOCA: Alfa Romeo 75 V6 3.0, piacere ALFISTA

La 75 V6 3.0 è stata l’ultima Alfa Romeo con quelle caratteristiche di brillantezza e guidabilità associate ai motori del Biscione, di cui il “Busso” è probabilmente la massima espressione...

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La 75 V6 3.0 è stata l’ultima Alfa Romeo con quelle caratteristiche di brillantezza e guidabilità associate ai motori del Biscione, di cui il “Busso” è probabilmente la massima espressione. Da tutti considerata l’ultima vera berlina Alfa Romeo, la 75 V6 America è anche una brillante Gran Turismo. Merito del suo schema tecnico molto sofisticato e soprattutto delle grandi virtù del suo motore, il V6 interamente in alluminio di 3.000 cc, derivato dal progetto-capolavoro di Giuseppe Busso.

Il 31 dicembre 2005 nelle catene di montaggio dell’Alfa Romeo ad Arese si assembla l’ultimo esemplare del motore V6 “Busso”, come tutti gli appassionati ancora oggi lo chiamano. Il più bel 6 cilindri “a V” dell’epoca moderna, super premiato e ammirato in tutto il mondo, esce di scena per sempre. Insieme al suo geniale creatore: tre giorni dopo, il 3 gennaio 2006, si tengono le esequie dell’ingegnere Giuseppe Busso; quando il feretro è portato fuori dalla chiesa, come diretti da un invisibile direttore d’orchestra, i sei cilindri schierati di fronte al sagrato si accendono all’unisono e intonano il loro canto migliore: è l’ultimo omaggio e l’ultimo saluto a uno dei più grandi progettisti dell’Alfa Romeo, quella “vera”.

Introdotto per la prima volta nel listino Alfa Romeo nel 1979 con la poco fortunata Alfa 6 con cilindrata 2.492 cc, il 6 cilindri progettato da Giuseppe Busso è un bell’esempio di longevità, con i suoi ventisette anni di carriera sulle spalle.

Il che la dice lunga sulle qualità meccaniche di un propulsore che entusiasma fin dall’inizio tutti quanti, ammiratori e no della Casa milanese. Le qualità migliori che gli sono sempre state riconosciute sono l’erogazione morbida e progressiva unita alla brillantezza, un’eccellente equilibratura dovuta alla “V” a 60°, una gran coppia e un sound piacevolissimo, personale e rotondo.

Sull’Alfa 75 questo motore è montato per la prima volta nel 1985, sulla Quadrifoglio Verde, nella stessa versione già usata sull’Alfa 6, da 156 Cv a 5.600 giri, che assicura prestazioni brillanti e guida molto piacevole; qualità esaltate dalle dimensioni e dal peso inferiori della 75 e portate al massimo sviluppo sulla successiva 75 3.0 V6 America, con la cilindrata incrementata a tre litri.

Prima della Fiat A poco meno di due anni dal lancio della capostipite e dopo circa 100mila unità vendute, nel Febbraio 1987 sono presentate due nuove versioni della 75, la Twin Spark e la 3.0 V6 America: è questa la versione top della berlina Alfa Romeo che raggiunge così lo status di vera e propria Gran Turismo.

È il tempo in cui l’acquisto dell’Alfa Romeo da parte di Fiat si è appena compiuto e già in azienda si respira un’aria diversa: le tanto temute “economie di scala” sono lì pronte a prendere il sopravvento, e del resto è in arrivo la 164 a trazione anteriore, frutto di un accordo per una piattaforma in comune con Lancia, Fiat e Saab.

In verità la 164 nasce come progetto autonomo, anteriore all’ingresso nell’orbita Fiat, ma è comunque un inequivocabile segnale dei tempi. La classica e costosa impostazione delle berline Alfa, motore anteriore, trazione posteriore, cambio in blocco col differenziale, ponte De Dion, è un lusso ormai insostenibile per la grande produzione di serie.

È chiaro che di lì a poco le logiche industriali prevarranno e che anche nello staff dei progettisti il vento della passione da impetuoso che è stato fino a quel momento diventerà soltanto una leggera brezza, giusto quella che basta per mantenere viva una personalità di marca che sul mercato ha sempre una grande presa. Ecco che allora ad Arese decidono di cogliere l’attimo fuggente e dare un’ultima dimostrazione di dinamismo creativo. In casa gli ingredienti per un nuovo cocktail vincente ce li hanno già tutti.

La base di partenza come detto è già di gran valore: la 75 è di per sé un’ottima vettura, ultima evoluzione di un concetto nato già benissimo nel lontano 1972 con l’Alfetta ed evolutosi poi con la nuova Giulietta e tutte le sue derivate. La 75 ne eredita i contenuti con sapienti modifiche estetiche apparentemente importanti ma in realtà limitate all’aspetto esteriore, perché i tempi in Alfa non sono rosei e gli investimenti devono essere oculati.

Le qualità di base sono dunque mantenute e restano di prim’ordine: perfetta distribuzione dei pesi, ottime maneggevolezza e tenuta di strada, cambio manuale molto migliorato, prestazioni elevate garantite dai classici 4 cilindri in lega leggera ancora sulla cresta dell’onda e ai vertici di categoria, sviluppati ancora con la doppia accensione. C’è anche un 6 cilindri, il 2.492 cc da 156 Cv anch’esso in lega leggera progettato da Giuseppe Busso, già montato sulle GTV6, Alfa 6 e Alfa 90.

È un motore splendido, morbido e perfettamente equilibrato, con una grande souplesse ai bassi regimi ma capace di una grintosa brillantezza ai regimi più elevati. E caratterizzato da un rumore estremamente appagante. Così equipaggiata la 75 2.5 Quadrifoglio Verde recita bene il suo ruolo di top di gamma.

Ma si può fare di più. E difatti così accade. Tre litri La cilindrata del V6 originale in lega leggera viene portata a 3.000 cc con l’aumento di corsa ed alesaggio, rifacendosi di fatto ad una versione dello stesso motore già utilizzata per il mercato sudafricano. Resta inalterato lo schema di distribuzione, con un albero a camme in testa per ogni bancata, comandato da una cinghia dentata: le valvole di aspirazione sono azionate direttamente, mentre quelle di scarico sono comandate da un sistema ad aste e bilancieri.

La potenza raggiunge i 185 Cv a 5.800 giri, con una coppia di ben 25 kgm e con una curva di erogazione eccezionale, già a partire da 1.000 giri al minuto. I rapporti al cambio non sono modificati rispetto alla Quadrifoglio Verde, ma la consistente iniezione di potenza consiglia un deciso allungamento del rapporto al ponte, che consente così di raggiungere la punta massima di 220 km/h.

Immutato come detto lo schema delle sospensioni: avantreno a ruote indipendenti con doppio quadrilatero e barra di torsione; retrotreno con ponte De Dion con puntoni convergenti e parallelogramma di Watt; molloni elicoidali a flessibilità variabile. È un complesso piuttosto sofisticato e costoso, ma che assicura una tenuta di strada e una maneggevolezza di primissimo ordine, probabilmente la migliore tra le coetanee berline a trazione posteriore. Il differenziale autobloccante al 25% completa il tutto. Le premesse per una guida brillante, da vera GT, ci sono tutte: solo la taratura un po’ morbida delle sospensioni, per quanto lievemente irrigidite rispetto alla Quadrifoglio Verde, e la frenata non proprio al top anche a causa della strana mancanza dell’ABS, sono lì a ricordare che in fondo sempre di una quattro porte da famiglia si tratta, cui devono corrispondere irrinunciabili doti di comfort e di piena usabilità.

Ma la grinta Alfa Romeo c’è tutta e il tocco esperto e smaliziato di progettisti che sanno il fatto loro appare subito evidente. Personalità L’estetica della 3.0 V6 America è strettamente imparentata con quella della 75 Milano e della successiva Milano Verde, e cioè le versioni preparate per l’esportazione negli USA. Di qui il nome America, che contraddistingue un allestimento specifico facilmente riconoscibile dai paraurti ad assorbimento d’energia, obbligatori negli Stati Uniti. Normalmente questo particolare, grosso e fastidiosamente ingombrante, appesantisce la linea nata snella delle vetture europee.

Nel caso della 75 invece dona una piacevole sensazione di maggiore completezza e il design complessivo se ne avvantaggia. La caratterizzazione estetica è completata dai codolini e dalle minigonne, perfettamente integrati e nello stesso colore della carrozzeria, e dagli spoiler anteriore e posteriore. Quest’ultimo è in materiale morbido e fa corpo unico con la modanatura nera che circonda tutta la macchina. Da notare che nei primissimi esemplari di pre-produzione è anch’essa in tinta. I cerchi in lega da 14” completano il tutto.

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Nessuna modifica sostanziale dunque, ma solo sapienti tocchi per conferire una più spiccata personalità sportiva, che si traducono alla fine anche in un vantaggio aerodinamico, confermato dal miglioramento del 4,5% del coefficiente di penetrazione. Gli interni non si discostano da quelli delle altre versioni della 75, tranne nelle diverse possibilità di scelta per i tessuti di rivestimento.

I sedili sono ben profilati e assicurano una buona tenuta laterale, ma la componentistica resta quella di sempre, di aspetto piuttosto dimesso. Rispetto alle versioni di partenza cambia comunque la grafica della strumentazione, mentre il disegno del volante è ora più elegante e piacevole.

Con il senno del poi, appare evidente che il livello generale di finitura, pur molto migliorato rispetto agli standard tradizionali Alfa Romeo, era in quegli anni ancora piuttosto carente, non in linea con quanto proposto dalla concorrenza soprattutto tedesca. Ma in questo ambito tutti erano disposti a chiudere un occhio: del resto, se per essere felice ti accontentavi di sedili perfettamente cuciti e di moquette applicata dappertutto, allora era inutile comprarti un’Alfa Romeo…

L’esemplare che abbiamo di fronte a noi oggi è una versione restyling 1988, riconoscibile per il nuovo musetto ridisegnato in rigoroso family feeling con gli altri modelli coevi dell’Alfa, per la fascia catarifrangente che unisce i gruppi ottici posteriori, rossa anziché arancione, e per alcuni lievi miglioramenti nella componentistica.

Prodotta nel novembre 1989, è stata venduta in Francia e lì è rimasta fino a quando l’attuale proprietario Augusto Clerici, appassionato alfista e possessore di un’altra storica del Biscione, l’ha trovata presso un commerciante e, data l’offerta allettante, l’ha subito acquistata. Le sue condizioni erano eccellenti, del tutto fedeli all’originale salvo l’assetto sportivo, molto rigido e abbassato. Il ripristino quindi non ha dato particolari problemi, dato che oltre al lavoro su molle e ammortizzatori si è limitato ad una messa a punto generale e ad una bella lucidata alla vernice, originale anch’essa.

L’unica licenza poetica è stato il montaggio di dischi freno Tarox, che da soli hanno brillantemente risolto quel problema di frenata che è sempre stato un punto debole dell’intera stirpe 75, particolarmente avvertibile nelle versioni più brillanti. Ma per il resto tutto è perfetto come quando la 75 è uscita dallo stabilimento di Arese, lindo e pulito con solo pochi e pregevoli segni del tempo.

Vista con l’occhio avvezzo alle linee delle berline ad alte prestazioni di oggi, piuttosto minacciose e poco gentili con le loro fiancate alte e massicce e le dimensioni più che generose, la 75 America fa persino tenerezza, quasi fosse una giovane e ingenua laureanda dei primi anni ’80 nei confronti di una grintosa manager dei giorni nostri.

L’aspetto però è piacevole, quasi moderno con la sua linea a cuneo e i robusti paraurti ben inseriti nel disegno generale. Codolini, minigonne e spoiler sono ben presenti ma anche molto discreti, si vede che sono stati inseriti anche perché necessari e non per mera ostentazione. Le superfici vetrate sono ampie ma non esagerate e danno la giusta luminosità all’insieme. Si apprezza insomma il lavoro svolto in quegli anni difficili dagli stilisti dell’Alfa, chiamati a reinterpretare l’estetica della nuova Giulietta per dare vita ad un’auto più moderna e di posizionamento più elevato, senza però ricorrere a costosi rifacimenti. Le strutture portanti infatti sono rimaste le stesse, nemmeno le portiere sono cambiate. Una linea nel complesso riuscita, che forse trova proprio nella V6 America (e anche nella coeva Twin Spark) la sua forma migliore.

Gli interni come si diceva non godono di un livello di finitura eccezionale, soprattutto le numerose plastiche un po’ affaticate dal trascorrere del tempo denunciano una qualità non eccelsa, anche se tutto sommato sono applicate con una certa cura. I volumi dei singoli elementi sono tipicamente anni ’80, piuttosto grossi e squadrati; il volante invece in questa versione è un po’ ingentilito rispetto a quello delle serie precedenti, molto elaborato e pesante.

I rivestimenti di norma sono in tessuto di buona qualità, ma in questo esemplare sono in pelle grigia ancora in ottima forma, un optional abbastanza caro e raro perché poco richiesto all’epoca. L’abitabilità è perfetta per quattro persone; il posto di guida è facilmente regolabile e il sedile è abbastanza contenitivo: è forse solo un po’ troppo “comodo”, un po’ di sportività in più non avrebbe guastato. Aperto il cofano, il 6 cilindri Busso si mostra senza pudore. Tra le due bancate spicca l’impianto d’alimentazione ad iniezione, con un notevole groviglio di cavi e cavetti che tolgono visibilità ai due coperchi delle teste, di pregevole fattura. Qui la patina del tempo si vede tutta, segno che il motore non è mai stato rimosso o aperto, come in effetti è.

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E allora accendiamolo questo prezioso reperto di raffinata ingegneria motoristica.La voce sommessa e rotonda dei 6 cilindri è piacevole al minimo e cresce immediatamente di volume appena si sfiora il pedale dell’acceleratore, ma non diventa mai eccessiva. Nell’abitacolo invece l’acustica cambia completamente. Basta tirare un poco la seconda per apprezzarne la tonalità piena e ricca di promesse, che diventano realtà appena si cerca l’allungo in terza e quarta. La spinta è notevole e si viene immediatamente pervasi dalla consapevolezza di essere alla guida di un’auto “importante”, non impegnativa ma comunque da trattare con rispetto. La potenza si sente, ma colpisce soprattutto la grande coppia sempre presente anche ai bassi regimi. Molto buona la maneggevolezza perché le dimensioni della macchina non sono eccessive, nonostante il peso piuttosto importante (1.250 kg).

Lo sterzo è servoassistito e piacevolmente sensibile, abbinato all’efficacia del differenziale autobloccante consente qualche digressione facilmente controllabile, sapendo che si può sempre contare su una tenuta di strada pienamente affidabile. Le prerogative per una guida brillante, piacevole e sicura ci sono tutte e si apprezzano subito, fin dai primi chilometri. Come sintetizza bene Clerici, dopo sette anni di convivenza con la sua 75 V6 America: “È una macchina molto progressiva, puoi andare di quarta e quinta sul misto in piena sicurezza. Sulle strade del lago (di Como, n.d.r.) è un vero piacere. Il motore naturalmente fa la differenza, direi che fa di questa macchina l’auto perfetta del vero alfista.”

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