Matteo Di Lallo
23 January 2020

Emissioni: elettrico sola e unica soluzione? Non proprio…

La mobilità a batteria non può essere considerata la panacea a tutti i mali. Per una reale riduzione dell’inquinamento ambientale è meglio concentrarsi sui risultati e non sulle tipologie di alimentazione e dirigersi verso una neutralità tecnologica al fine di creare uno scenario di “mixed technology” dove tutte le tecnologie coesistono, vengono prese in considerazione e sviluppate ulteriormente.

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Nell’eterna lotta tra il cattivo e sporco motore endotermico e il buono e pulito motore elettrico non tutti gli scienziati, i costruttori e i politici la pensano allo stesso modo. Nonostante sia ormai credenza di molti che l’elettrico possa essere la soluzione definitiva per una mobilità del futuro ecologica, sostenibile e a bassissimo impatto ambientale, altri pensano che questa moderna tecnologia, seppur ricca di aspetti positivi, non sia poi così virtuosa dal punto di vista ambientale e delle emissioni nocive, non sia ancora pronta per entrare pienamente in commercio e non potrà essere la reale, unica e definitiva soluzione per la mobilità del futuro. La diatriba su questo argomento non avrà mai fine e gli studi a favore di una o dell’altra tecnologia si stanno già dando battaglia, sfoderando tesi e studi per tirare acqua al proprio mulino, senza per questo arrivare mai a una reale conclusione. Per cercare di fare chiarezza su questo importante argomento abbiamo quindi partecipato,invitati da Mazda, a un importante convegno presso il Politecnico di Milano, dove tecnici, scienziati, docenti universitari e ingegneri hanno espresso il loro parere a riguardo di questa importante tematica.

Insomma chi inquina meno tra auto diesel, benzina ed elettrica? Andiamo per gradi e cerchiamo di capire effettivamente come stanno le cose sul discorso dell’inquinamento. Siamo ben consapevoli che tutti i motori ICE (internal combustion engine), cioè a combustione interna o termici, siano essi benzina, gpl, metano o diesel, allo scarico emettano sostanze nocive, gas serra e sostanze climalternati. Come siamo ben consapevoli che, invece, un motore elettrico non produca ed emetta alcun tipo di sostanza nociva o inquinante se ci mettiamo ad analizzare il semplice utilizzo. Il discorso però si complica se, invece di analizzare il semplice ciclo di utilizzo di queste vetture (tank-to-wheel = dal serbatoio alla ruota), si prendono in considerazione i danni su ambiente e clima, causati dall'emissione di gas ad effetto serra come la CO2, durante l’intero ciclo vita della vettura (LCA = Life Cycle Assessment) che tiene in considerazione anche l’emissione di sostanze inquinanti per la produzione e lo smaltimento della vettura, quelle per l’estrazione, la produzione e il trasporto del combustibile o energia e quelle per la produzione e smaltimento della batteria (wheel-to-wheel = dal pozzo alla ruota), composto da (well-to-tank = dal pozzo al serbatoio) + (tank-to-wheel = dal serbatoio alla ruota).

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Su questa tematica si è ben espresso Giovanni Lozza, ordinario di Sistemi per l’energia e l’ambiente, il quale ha sottolineato come in primis andrebbe fatta una distinzione tra emissioni nocive (particolato, ossidi di azoto, ossidi incombusti, ecc) e climalteranti (anidride carbonica, responsabile dell’Effetto Serra e del riscaldamento globale). In secondo luogo per il professore l’auto elettrica non andrebbe considerata a emissioni zero e allo stesso tempo capace di azzerare la CO2. E’ essenziale considerare il modo in cui viene prodotta l’energia elettrica, perché se questo processo non sfrutta esclusivamente risorse rinnovabili (solare, eolico, idroelettrico, ecc) ma si avvale anche solo in parte di combustibili fossili allora la produzione di energia elettrica porterà inevitabilmente all’emissione di una certa quantità di CO2 e di sostanze inquinanti. Situazione che, rispetto a quella odierna, avrebbe il solo vantaggio di spostare le emissioni nocive e climalteranti lontano dai centri abitati ma non di ridurle. Visto poi che allo stato attuale circa il 66% dell’energia elettrica mondiale viene prodotta utilizzando combustibili inquinanti e che, se la domanda di energia elettrica globale dovesse crescere ulteriormente, non si potrà fare a meno in futuro di sistemi di generazione tradizionali, come le centrali a carbone e a gas, allora capite bene come sia sbagliato definire ad oggi le auto elettriche come mezzi di trasporto a emissioni zero.

Il docente ha poi sottolineato come la stessa produzione delle auto elettriche, al pari di quelle tradizionali, comporti una certa anzi considerevole emissione di anidride carbonica. A pesare nelle elettriche sono soprattutto i pacchi batteria che al giorno d’oggi fanno segnare una media di 120 kg di CO2 per ogni kWh di capacità. In pratica più una batteria è grossa, maggiore sarà l’autonomia garantita ma maggiore sarà anche il suo impatto sull’ambiente. Per questo motivo si dovrà fare un’attenta analisi sulla reale convenienza di una vettura elettrica che, già con autonomie superiori ai 200-300 km, diventa sempre meno virtuosa dal punto di vista ambientale e meno conveniente dal punto di vista economico a mano a mano che il suo pacco batterie cresce di capacità, andando a pesare fortemente – lo ribadisce il professore- l’emissione di CO2 per la realizzazione e i costi di produzione e di acquisto. Pacchi batterie che oltre ad essere poco amici dell’ambiente soffrono anche di scarsa autonomia e lentezza di ricarica, due problematiche che stanno limitando fortemente l’avvento e l’espansione di questa mobilità alternativa e che allo stesso tempo si ricollegano inevitabilmente a una problematica ancora più grande: la necessità di avere infrastrutture di ricarica adeguate.

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Per il prof. Lozza, infatti, se tutto l’attuale parco circolante dovesse essere convertito in auto elettriche, si innescherebbero inevitabilmente numerose criticità tanto nelle stazioni di servizio autostradali quanto nei condomini per soddisfare i picchi di domanda di energia necessari a ricaricare le vetture. Giusto per fare un esempio, per sopperire alla lentezza di ricarica una stazione di servizio autostradale dovrebbe avere oltre 60 colonnine per la ricarica rapida (100 kW) al posto della decina di pompe di carburante attuali. Tutto ciò si tradurrebbe in una potenza installata di ben 6 MW, l’equivalente del fabbisogno di un’industria da 1.000 dipendenti, per poter ricaricare 60 veicoli con batterie da 50 kWh in 30 minuti ciascuno, una tempistica comunque considerevole. Una potenza, quella di 6 MW, che se moltiplicata per tutti i veicoli circolanti bisognosi di una ricarica diventerebbe una potenza enorme, fino anche al 50-80% dell’attuale potenza massima della rete, con un forte impatto sull’attuale rete in termini di potenza e non di energia. Per questo motivo dovrano essere fatti investimenti importanti sulla rete per affrontare i picchi di potenza a cui si aggiungono quelli già ingenti per la creazione di una infrastruttura di ricarica capillare sul territorio.

Il professore del PoliMi ha, infine, ricordato altri due piccoli ma importanti aspetti delle vetture elettriche che spesso vengono sottovalutati: lo smaltimento delle batterie esauste a fine vita, che contengono litio e cobalto, e la produzione di polveri sottili, derivate dall’usura degli pneumatici e degli impianti di frenatura. Si perché se da un lato durante il suo utilizzo un motore elettrico non emette sostanze nocive, lo stesso non si può dire di gomme e freni che dopotutto sono gli stessi sistemi e sfruttano gli stessi materiali di quelli adottati sulle vetture con motori endotermici. Inoltre, non possiamo nemmeno dimenticarci che anche la produzione delle batterie, che alimentano le auto elettriche, ha un impatto ambientale e che le stesse batterie a fine vita dovranno essere smaltite con tutti i problemi che comporta smaltire le celle esauste di queste batterie ricche di minerali come il litio e il cobalto. Detto questo il professore ha concluso affermando che andrebbe in primis e in modo tempestivo rinnovato e svecchiato l’intero parco circolante, puntando però per quanto possibile su vetture diesel e benzina di ultimissima generazione come le Euro 6d-Temp e le Euro6d. Questo perché purtroppo anche le diesel Euro 6 (A e B) come le Euro 5, seppur più pulite delle precedenti Euro 3 e 4, sono ancora figlie di un ciclo di omologazione, il NEDC, e di una metodica di test, solo al banco in laboratorio, che hanno portato alla realizzazione di motori solo in linea teorica dalle emissioni basse ma che una volta in strada nell’utilizzo reale hanno purtroppo emissioni di gran lunga maggiori a quelle del ciclo di omologazione. Una soluzione quello dello svecchiamento che potrebbe essere ulteriormente potenziata con il passaggio ai combustibili alternativi o biocombustibili per una mobilità a sempre minore o quasi nullo impatto ambientale.

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Un parere simile lo ha espresso anche Mitsuo Hitomi, senior innovation fellow della Mazda, il quale, numeri alla mano, ha dimostrato come le emissioni di CO2 di una moderna auto endotermica non siano poi così diverse da quelle di un’auto elettrica, soprattutto se si considera anche la produzione di energia o l’estrazione e la raffinazione del combustibile, e possono persino risultare inferiori in certi casi, specie se l’energia elettrica, necessaria a ricaricare le batterie, viene prodotta con centrali a combustibili fossili come il carbone e oltremodo se si tiene conto dell’impatto derivante dalla produzione della batteria che è tanto maggiore quanto è grande la taglia dell’accumulatore. Mitsuo Hitomi ha poi sottolineato come si otterrebbe un risultato sicuramente migliore in termini di emissioni di CO2, particolato e ossidi di azoto con lo svecchiamento dell’intero parco circolante con vetture di ultimissima generazione sia benzina che diesel, con il passaggio da centrali termiche a quelle eoliche o solari e con l’adozione di combustibili alternativi, come il gas naturale compresso e l’idrogeno, o di biocombustibili, come quelli ottenuti dallo sviluppo delle microalghe, rispetto a quello derivante dalla diffusione delle auto elettriche.

Davide Bonalumi, docente del dipartimento di Energia del Politecnico di Milano, ha poi tenuto a sottolienare altri due aspetti molto importanti, concetti che già altre volte anche chi vi scrive in questo momento ha sottolineato in alcuni suoi precedenti articoli. Pur ben consapevoli, infatti, dell’importanza di intervenire su tutti i fronti dell’inquinamento non va dimenticato che in primis le emissioni di anidride carbonica generate dalle automobili circolanti in Europa rappresentano solo lo 0,8% del totale; in secondo luogo che fatta 100 l’emissione totale di anidride carbonica, quella imputabile ai trasporti è pari al 25% e di quest’ultima solo il 13% è appannaggio di auto e van; in terza istanza che fatta 100% l’emissione totale di particelle inquinanti, solo il 20% è imputabile alle emissioni derivanti dal trasporto pubblico e privato su gomma; infine che mentre nel nostro continente la CO2 emessa da tutte le attività è calata di 50 milioni di tonnellate, nel resto del mondo è aumentata di 610 milioni di tonnellate (un dato su tutti su cui riflettere).

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Bisogna, infatti, ricordare che anche la combustione dei processi industriali, come per esempio quelli legati al riscaldamento e alla produzione di materie prime, produce particolato ed NOx, anche quando la combustione non è così veloce come quella che avviene all’interno dei motori a combustione interna. E’ quindi giunta l’ora di smetterla di accanirsi esclusivamente con i motori a combustione interna, vedendoli come unica fonte di inquinamento e costringendo i costruttori di automobili a fare carte false per rispettare normative anti-inquinamento sempre più stringenti e al tempo stesso ridicole. Imporre, infatti, restrizioni ulteriori ai moderni motori significherebbe elevare ulteriormente i costi di ricerca, progettazione e produzione a livelli così elevati da renderli del tutto spropositati rispetto ai benefici che si otterrebbero a livello pratico. Forse sarebbe meglio investire buona parte di queste risorse nell’abbattimento di fonti di inquinamento nettamente più importanti e pericolose come i processi industriali, i riscaldamenti, la produzione di energia elettrica da fonti non rinnovabili o ecologiche e lo stesso trasporto aereo (importante produttore ed emettitore del Thermal NOx).

Il convegno si è poi concluso con tutti i professori, ingegneri e scienziati concordi nell’affermare che per abbattere le emissioni delle vetture ad oggi non esiste una tecnologia in assoluto migliore delle altre ma serve un approccio neutrale, che guardi ai risultati e non alle tecnologie utilizzate per raggiungerli. Il futuro non sarà quindi solamente elettrico e le auto a batteria non soppianteranno del tutto quelle diesel o benzina, anzi queste ultime giocheranno una partita importante sullo scacchiere verso la riduzione delle emissioni nocive e climalteranti. I motori endotermici di ultimissima generazione si stanno avvicinando sempre più verso un impatto zero e questo obiettivo diventerà sempre più reale mano a mano che entreranno in uso i carburanti alternativi, i combustibili liquidi riciclabili e i biocarburanti ottenuti dallo sviluppo delle microalghe. Allo stesso tempo le auto elettriche, seppur virtuose dal punto di vista degli inquinanti come gli ossidi di azoto e il particolato soprattutto nelle aree cittadine, non possono essere considerate completamente prive di emissioni o a impatto zero specie sul fronte dei gas serra e delle emissioni climalteranti. Per questo motivo nei prossimi anni sarà meglio non trascurare nessuna possibilità di alimentazione, concentrandosi sul raggiungimento degli obiettivi prefissati e non sulla demonizzazione di una o dell’altra motorizzazione. Assisteremo quindi alla coesistenza delle vetture benzina e diesel con le nuove auto elettriche ed ibride, in attesa che qualcosa di nuovo si muova sul fronte dell’idrogeno il quale potrebbe palesarsi come un’ottima soluzione per le lunghe percorrenze e per i veicoli commerciali e pesanti.

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