16 September 2022

Cooper BRM F1

Dopo aver rivoluzionato il concetto delle monoposto, mettendo il motore posteriore, e aver vinto due Mondiali nel 1959 e 1960 con Jack Brabham, la Cooper inizia una lenta ma costante discesa. Che coincide con il cambio dei regolamenti che prevede dal 1966 il passaggio dai motori 1.500 ai 3.000 cc. Legandosi alla Maserati si vieta l’uso del nuovo Cosworth. ...

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Dopo aver rivoluzionato il concetto delle monoposto, mettendo il motore posteriore, e aver vinto due Mondiali nel 1959 e 1960 con Jack Brabham, la Cooper inizia una lenta ma costante discesa.

Che coincide con il cambio dei regolamenti che prevede dal 1966 il passaggio dai motori 1.500 ai 3.000 cc. Legandosi alla Maserati si vieta l’uso del nuovo Cosworth. Poi prova con il BRM. Un ultimo tentativo, prima della fine.

Nel 1946 il ventitreenne John Cooper, con il fratello Charles, imprime una svolta all’automobilismo sportivo britannico con un’idea che diverrà il modus operandi dei cosiddetti “assemblatori”, vale a dire acquistare sul mercato motori, cambi e organi meccanici vari per rielaborarli, adattandoli a un proprio telaio di vettura da corsa.

È il primo passo di un cammino che lo fa diventare protagonista in Formula 1, dove ha il merito di aver riportato definitivamente il motore dietro le spalle del pilota costruendo le macchine con le quali l’australiano Jack Brabham conquista il titolo di Campione del Mondo Piloti nel 1959 e 1960, mentre la scuderia vince, in entrambe le annate, la Coppa Costruttori.

La monoposto T86 è l’atto finale di un percorso iniziato nel 1966 quando in Formula 1 la cilindrata passa da un litro e mezzo a tre litri, costringendo i team come Cooper, che fin lì avevano montato il V8 Coventry-Climax, a trovare un nuovo motore. Di qui l’accordo con la Maserati volto alla fornitura, per il 1966, del V12 da tre litri destinato a motorizzare la T80 che un giovane Jochen Rindt porta all’esordio a Montecarlo.

La vettura è però lenta e pesante e questo fa sorgere una diatriba tra Modena e Surbinton, dove la Cooper Car Company ha sede. In Italia ritengono che il telaio non sia all’altezza dei migliori, mentre in Inghilterra sostengono che è il motore ad avere poca potenza. In realtà hanno ragione entrambi e occorre lavorare in sinergia.

In Maserati potenziano il 12 cilindri ricorrendo a nuove testate e a nuovi collettori di aspirazione e scarico, mentre a Surbinton modificano le sospensioni della T80 che non è sbagliata come concezione. Sul fronte piloti Jochen Rindt viene affiancato dall’ex campione del mondo John Surtees, giunto alla Cooper dopo il divorzio con la Ferrari avvenuto all’indomani del GP del Belgio vinto proprio da Surtees.

L’ex ferrarista ha così modo di dare un sostanzioso contributo allo sviluppo della T80 divenuta nel corso dell’anno T81, così che il team Cooper chiude brillantemente la stagione 1966 vincendo, con Surtees, il GP del Messico e piazzando i propri piloti al secondo posto (Surtees) e al terzo (Rindt) nella classifica mondiale.

In Coppa Costruttori la Cooper conquista 35 punti contro i 49 della vincitrice Brabham, ma per regolamento ne deve scartare cinque e così il secondo posto le viene soffiato di misura dalla Ferrari, che ne ha 31 di validi su un totale di 32. Il 1966 è anche l’anno che vede una Cooper partire per l’ultima volta in pole-position.

Avviene in Messico con Surtees che si qualifica davanti a Clark su Lotus-BRM. Archiviato il 1966 con soddisfazione, il 1967 non potrebbe iniziare meglio dato che il messicano Pedro Rodriguez (che ha preso il posto di Surtees passato alla Honda) con la T81 si aggiudica il GP del Sudafrica mentre Rindt deve ritirarsi per noie al motore.

La vittoria è completata dal secondo posto conquistato dal pilota locale John Love, che corre con una datata Cooper-Climax privata. E dire che il sudafricano avrebbe potuto addirittura vincere, se non fosse stato attardato nel finale da una fermata al box per un rabbocco di benzina. È una doppietta che resta nella storia per essere l’ultimo trionfo di una Cooper in un gran premio iridato, ma a Surbinton non possono saperlo e chiudono la classifica Costruttori 1967 bissando il terzo posto ottenuto l’anno precedente.

La T81, evoluta in T81B sul finire della stagione, non è però una macchina all’altezza delle migliori. Il motore Maserati, per quanto portato a 380 CV a 9.000 giri con l’adozione di testate a tre valvole per cilindro, modifica abbinata a nuove misure di alesaggio e corsa per renderlo più “quadro” e con l’adozione di nuovi iniettori, resta una unità pesante e ingombrante.

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La potenza adesso è vicina ai livelli di Ferrari e Ford Cosworth, ma è pagata con un aumento del consumo di carburante che costringe il team a far partire le monoposto con un maggior carico di benzina, vanificando l’incremento di potenza.

Occorre qualcosa di nuovo ed è proprio nel corso del 1967 che prende vita il progetto T86, il cui telaio è una monoscocca integrale disegnata da Derrick White. I risultati, tuttavia, sono inferiori alle attese.

La T86 è sì più snella e leggera della T81, ma paga pegno nei confronti soprattutto della Lotus-Ford 49 e della Brabham-Repco BT 24, quest’ultima dotata del motore meno potente del lotto ma leggera, agile e soprattutto affidabile.

Archiviata la stagione 1967, il 1968 ripropone per John Cooper il problema del motore e non solo quello, perché ci sono di mezzo piloti e sponsor e la visione del patron di Surbinton è diametralmente opposta a quella di Colin Chapman, titolare della Lotus. Secondo Cooper i piloti affermati hanno eccessive pretese economiche e ciò allontanerebbe gli sponsor.

Egli, infatti, attribuisce a questo motivo l’abbandono della Formula 1 da parte di Case petrolifere come la Esso. Per Chapman, invece, gli ingaggi dei piloti non sono un problema, anzi, ammette che i piloti europei in realtà guadagnano meno dei colleghi americani e aggiunge che essi costituiscono non solo un richiamo per il pubblico, ma sono un ottimo veicolo pubblicitario.

E avrà ragione Chapman, visto che nel 1968 la Lotus abbandona la livrea verde inglese a favore di quella rosso-bianco-oro dello sponsor Gold Leaf. Ma torniamo alla T86 nella quale, a partire dal gran premio di Spagna del 1968, viene montato il V12 BRM in sostituzione del Maserati, non più fornito per il ritiro dalle competizioni della Casa modenese. Perché proprio il BRM e non il più competitivo Ford-Cosworth?

Perché il contratto stipulato con la Maserati lo aveva impedito e inoltre era l’unico disponibile. E, qualora anche non ci fossero stati di mezzo problemi contrattuali, la Cosworth non avrebbe avuto la possibilità di fornire motori ad altre squadre oltre a quelle che già seguiva. Il campionato 1968 inizia a Kyalami in Sudafrica il giorno di Capodanno.

Con la Cooper prendono il via Ludovico Scarfiotti dalla sesta fila, Jo Siffert (Rindt è passato alla Brabham, Rodriguez alla BRM) dalla settima, Jo Bonnier (pilota una T81) e il sudafricano Basil von Rooyen dall’ottava, mentre il quinto pilota è Brian Redman che scatta in ultima fila con il terz’ultimo tempo. Le macchine montano ancora il V12 Maserati, tranne von Rooyen che ha il vecchio Climax.

Tra tutto questo schieramento di ben cinque Cooper, di cui due private, solo Siffert, settimo a tre giri, vedrà la bandiera a scacchi. Non va meglio in qualifica a Jarama in Spagna dove Ludovico Scarfiotti e Brian Redman occupano gli ultimi due posti in griglia.

Le loro Cooper montano ora il V12 BRM, ma la sostanza in termini di competitività non pare cambiata. Tuttavia, all’arrivo di una gara nella quale hanno preso il via tredici monoposto, otto delle quali hanno dovuto abbandonare, il fatto di essere giunti al traguardo premia Redman e Scarfiotti, rispettivamente terzo e quarto. Jarama è un circuito lento, quasi quanto lo è Montecarlo.

Proprio per questo, la speranza è di ripetere nel Principato il risultato ottenuto in Spagna conducendo una gara “conservativa”, che permetta agli alfieri Cooper, Lucien Bianchi e Ludovico Scarfiotti, che partono dal fondo dello schieramento, di portarla a termine.

La tattica li premia perché anche qui i ritiri sono tanti (vedranno la bandiera a scacchi in cinque) e così al traguardo Bianchi salirà sul terzo gradino del podio, mentre Scarfiotti chiuderà quarto nonostante una foratura lo avesse attardato. In Belgio si corre a Spa-Francorchamps, circuito veloce ricavato lungo normali strade che si snodano nelle Ardenne. La lunghezza di 14.100 metri, complice il fatto di non avere praticamente protezioni e vie di fuga efficaci, lo rende oltremodo insidioso.

Dice Jackie Stewart in proposito: “qui nessuno può dire di andare veramente al limite, sfido chiunque a farlo”. E a proposito di sicurezza dei circuiti, in quell’anno, a una richiesta dei piloti di mettere reti di protezione in un certo punto di un autodromo, l’organizzatore rispose loro che, se proprio le volevano, dovevano pagarle di tasca loro!

A Spa sono presenti le T86 di Redman, schierato in quarta fila e di Bianchi in quinta: il belga si classificherà sesto a due giri dal vincitore Bruce McLaren, mentre Redman terminerà la gara al settimo giro per un incidente a causa del quale la sua monoposto va in fiamme.

In Olanda, sulle dune di Zandvoort, altro circuito che non brilla per sicurezza e preparazione dei commissari di gara, Bianchi, che qui è il solo pilota Cooper presente, è schierato in penultima fila e deve ritirarsi al decimo giro per un incidente. Una giornata storta può capitare e non se ne fa un dramma, ma la poca competitività palesata dalla T86 resta il problema da risolvere. In Francia la squadra Cooper è formata dal giovane francese Johnny Servoz-Gavin e dal britannico Vic Elford.

La loro qualifica è in linea con le precedenti, vale a dire ultimo tempo per Elford, alle prese con mille problemi, e un’incoraggiante penultima fila per Servoz-Gavin. In gara sarà però l’esperienza di Elford, quarto sotto la bandiera a scacchi, a premiare la Cooper-BRM perché il francese abbandona al quindicesimo giro per un incidente.

E Lucien Bianchi? Si trova a Watkins-Glen dove sta preparando la 6 Ore, gara valida per il Campionato Mondiale Marche che vincerà in coppia con Jackie Ickx su di una Ford GT40 del team di John Wyer. A questo punto la prima parte del campionato è andata e si tirano le prime somme. Con dodici punti conquistati in Coppa Costruttori la scuderia inglese si trova a cinque lunghezze dalla BRM e a sette dalla McLaren, che condivide il secondo posto con la Ferrari e con la Matra-Ford della scuderia di Ken Tyrrell dietro l’imprendibile Lotus.

La differenza è che McLaren, Matra e Ferrari un gran premio ciascuno l’hanno vinto e stanno dimostrando una competitività che la T86 non ha. Di positivo resta il fatto che la Cooper è davanti in classifica alla più veloce ma poco affidabile Honda, alla Brabham e all’altra scuderia Matra, quella ufficiale motorizzata con il V12 francese.

Il problema viene dalla classifica piloti, dove nessuno tra quelli in forza alla Cooper ha gareggiato con continuità. Oltretutto la scuderia ha patito la perdita, l’8 giugno, di Ludovico Scarfiotti, deceduto durante una gara di velocità in salita al volante di una Porsche. Una perdita che priva la scuderia di un punto di riferimento importante. Non resta quindi che puntare sui piazzamenti per chiudere la stagione raggranellando più punti possibile nella Coppa Costruttori.

A Brands Hatch, in Inghilterra, Vic Elford e il britannico Robin Widdows, che sostituisce Servoz-Gavin, si ritirano, ma il difficile tracciato del Nürbürgring fa emergere la bravura di Elford che qui è un maestro.

Difatti si qualifica in seconda fila, ma in gara deve abbandonare al primo giro per incidente mentre Bianchi prende la via dei box a causa di un problema con il pescaggio della benzina. Gli ultimi quattro gran premi scivolano via come da copione già visto.

Dopo un GP d’Italia avaro di soddisfazioni (ritiro al secondo giro per Elford coinvolto in un incidente), va un po’ meglio in Canada dove il britannico chiude quinto mentre Bianchi, a causa delle numerose soste ai box, non completa il numero minimo di tornate necessarie per essere classificato.

A Watkins-Glen, negli Stati Uniti, Bianchi ripercorre la medesima via crucis canadese, mentre Elford si ritira con il motore in panne. L’ultimo gran premio, il 3 novembre in Messico, vede Elford concludere ottavo su undici classificati mentre per Bianchi c’è l’ennesimo ritiro. Sul piano tecnico la T86 nel corso del 1968 ha seguito il filone inaugurato dalla Ferrari al GP del Belgio montando gli alettoni, ma le cose non migliorano, anzi, in alcune gare vi si rinuncia per risparmiare peso e rendere la monoposto più veloce in rettilineo.

L’annata 1968 è chiusa non certo brillantemente: il bottino è di quattordici punti in Coppa Costruttori di cui solo due cumulati nella seconda parte del Campionato, che valgono il sesto posto finale (su dieci squadre) alla pari con la Honda. In sintesi, cosa dire della T86? Era un progetto valido, penalizzato dal fattore pesantezza. Nonostante gli interventi, la T86 restava ancora la più pesante del lotto.

E poi c’era il motore BRM dall’affidabilità discutibile, dove invece, complici i ritiri allora numerosi, il fatto di terminare la gara avrebbe portato sicuramente qualche punto in più nella classifica Costruttori. Riguardo al motore c’era stato un approccio con l’Alfa Romeo, da poco rientrata nelle corse.

La Casa milanese aveva ingaggiato per le gare del Mondiale Marche il belga Lucien Bianchi e, grazie alla sua mediazione, era stato raggiunto un accordo in virtù del quale l’Alfa Romeo avrebbe fornito alla Cooper dapprima un motore V8 di 2,5 litri e poi il nuovo 3 litri. Il progetto T86 fu quindi evoluto per ospitare il motore BRM (T86B) e l’Alfa Romeo (T86C), in attesa di ultimare la T91 che avrebbe dovuto montare il nuovo V8 di tre litri milanese per la stagione 1969. La T86C con motore Alfa Romeo 2.500 cc fu provata da Bianchi senza, tuttavia, ottenere risultati convincenti e questo anche in virtù dell’inferiore cilindrata.

Fu comunque iscritta a Monza per il Gran Premio d’Italia, dove Bianchi non riuscì a superare le qualifiche. Alla fine tutto si concluse lì e la T91 non scese in pista per il ritiro, a fine stagione 1968, della Scuderia Cooper. Alla quale venne a mancare, e fu il colpo finale, il supporto economico della Firestone e della BP che l’avevano fino ad allora sostenuta. Un altro aspetto critico nel corso del 1968 fu la gestione sportiva della squadra.

Partiti verso altri lidi campioni come John Surtees, Jochen Rindt e Pedro Rodriguez, perduto Scarfiotti, andatosene Jo Siffert dopo il Gran Premio del Sudafrica per calarsi nell’abitacolo della Lotus 49 di Rob Walker, Vic Elford, Lucien Bianchi e Brian Redman furono condizionati dai rispettivi impegni in altre categorie.

Il promettente francese Johnny Servoz-Gavin, dopo il Gran Premio di Francia, lasciò Surbinton per la Matra-Ford di Ken Tyrrell con cui aveva corso già a Montecarlo in sostituzione di Stewart infortunato, mentre per Robin Widdows la partecipazione al Gran Premio di Gran Bretagna restò un episodio isolato. Avrebbe dovuto correre anche a Monza, ma un incidente lo costrinse a dare forfait. Tutto questo andirivieni ostacolò di fatto lo sviluppo della monoposto perché mancò, specialmente nella seconda parte del campionato, un pilota di riferimento.

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