23 November 2022

Chris Amon, vincitore... a metà

Il pilota neozelandese era considerato uno dei migliori della sua epoca, veloce, poco incline all’errore, fine collaudatore. Tante qualità che non sono servite a vincere almeno un GP iridato. Vittorie che invece sono arrivate nel Mondiale Marche e nella Tasman Cup ...

1/22

“Se c’è uno che mi può battere, questi è Chris Amon”. Sono parole di Sir Jackie Stewart, tre volte campione del mondo di Formula 1 e all’epoca riconosciuto come l’erede del grande Jim Clark. Basterebbe questo per rendere l’idea di chi fosse Chris Amon (il nome di battesimo completo è Christopher Arthur) che, sul finire degli anni 60, fu prima guida Ferrari in F1.

Nato a Bulls in Nuova Zelanda il 20 luglio 1943, Amon si mette in luce in patria fin da giovanissimo, debuttando in gara con una Austin A40 Special nell’aprile del 1960 a soli 16 anni. Il passaggio alle monoposto è immediato: con l’aiuto del padre, benestante titolare di un’azienda agricola, acquista nel 1961 una Cooper-Climax T41, sostituita sul finire di stagione da una Maserati 250 F.

Gli incoraggianti risultati ottenuti nel suo Paese gli valgono l’appoggio dell’Associazione neozelandese “Un Pilota per l’Europa”, la quale ogni anno offre la possibilità a un promettente giovane connazionale di andare a correre in Europa dove potrà mettersi meglio in luce.

E il denaro dell’associazione si rivelerà ben speso, dato che Amon disputa il suo primo Gran Premio di Formula 1 già nel 1963, a soli diciannove anni, al volante di una Lola-Climax della Scuderia di Reg Parnell. Il debutto è in Belgio sul difficile circuito di Spa-Francorchamps, ma avrebbe potuto avvenire già a Montecarlo dove invece deve cedere la monoposto a Maurice Trintignant che aveva danneggiato la sua durante le prove.

La Lola si rivelerà però poco competitiva, tuttavia il Campionato ‘63, pur non portando punti iridati, rivela la velocità di Amon che, malgrado l’inesperienza e i limiti della macchina, riesce a qualificarsi a centro schieramento.

Al Gran Premio del Messico, però, Amon è al volante di una Lotus-BRM 24, più competitiva rispetto alla Lola, ma il motore al nono giro lo pianta in asso. Nel 1964 arrivano due punti iridati grazie al quinto posto ottenuto al Gran Premio d’Olanda al volante della nuova Lotus-BRM 25 della Scuderia di Reg Parnell. Gara dopo gara Amon migliora i propri risultati, in particolare brilla sui circuiti più difficili e guidati come Spa-Francorchamps e il Nürburgring dove, a due giri dal termine, il cedimento di una sospensione lo priva di un meritato quinto posto.

La stagione 1965 non porta sostanziali novità con la conseguenza che per il 1966 Amon non ha un volante. Gli viene incontro il connazionale Bruce McLaren che, divenuto costruttore, lo ingaggia come pilota-collaudatore. A questo proposito Enzo Ferrari dirà di Amon che è il miglior collaudatore che ci sia stato a Maranello, dote riconosciutagli anche dall’ing. Mauro Forghieri che all’epoca era direttore tecnico della Ferrari.

Si raccontano in proposito alcuni aneddoti, come l’episodio capitato in McLaren durante una sessione di prove di pneumatici. Rientrato ai box, i meccanici gli chiedono di provare un treno di gomme con mescola più morbida. In realtà non le avevano montate e le gomme erano le stesse di prima. Amon, percorsi tre giri, rientra e, rivolto ai meccanici, dice: “queste gomme di diversa mescola sono identiche a quelle di prima.

Ma allora, o il fatto è inspiegabile, oppure voi siete dei bastardi”. In un’altra occasione i tecnici di una Casa di pneumatici, durante una sessione di test, gli montarono a sua insaputa lo stesso tipo di gomme da lui provato tempo addietro, naturalmente dicendogli che si trattava di una mescola nuova. E lui ripetè l’identico giudizio.

Non si conoscono altri subdoli tentativi di scoprirne i limiti, del resto con uno come lui sarebbe stata fatica sprecata. Tornando al 1966, la neonata scuderia McLaren stenta a trovare un motore competitivo e il materiale a disposizione è limitato, fatti che penalizzano sia il titolare che Amon, costretti a saltare qualche gara per indisponibilità della monoposto. Amon mette momentaneamente una pezza con la Cooper che gli fornisce una propria macchina motorizzata Maserati per i GP di Francia e Inghilterra, ma la stagione è destinata a concludersi senza piazzamenti a punti dovuti a problemi meccanici quando, a volte, la sua posizione in gara era tra i primi.

Al termine della stagione 1966 arriva l’attesa svolta sotto forma di una chiamata a Maranello per affiancare Lorenzo Bandini alla guida della 312 nel Mondiale di Formula 1 e della Sport-Prototipo 330 P4 in quello Marche. Al Drake, infatti, non era sfuggito l’apporto di Amon alla 24 Ore di Le Mans, da lui vinta in coppia con Bruce McLaren al volante di una Ford GT 40. Come non gli erano sfuggite le doti di guida del neozelandese, sempre veloce, composto ed esente da errori.

La monoposto di Maranello, oltretutto, era stata la migliore del lotto durante il 1966 e solo le liti tra Dragoni, direttore sportivo della Ferrari, e John Surtees, con conseguente addio del pilota inglese, avevano impedito la conquista, con Surtees, del titolo piloti. Ma accade l’imprevedibile, la morte di Lorenzo Bandini, nel maggio 1967, nel rogo della sua monoposto a Montecarlo. Amon diviene prima guida all’età di 23 anni, un ruolo da capogiro in una scuderia importante come quella di Maranello.

Alla quale Amon stava già dando un efficace contributo alla conquista del titolo mondiale Marche, campionato al quale Enzo Ferrari teneva molto essendo le competizioni dei prototipi più in auge presso il pubblico della stessa Formula 1. E poi c’era la sfida lanciata a Maranello dal gigante Ford, che non lesinava risorse e mezzi pur di battere la Ferrari nel Mondiale Marche. Il tutto con la presenza di terzi incomodi come Chaparral e Porsche.

In coppia con Lorenzo Bandini, Chris Amon vince la 24 Ore di Daytona ‘67 negli Stati Uniti sconfiggendo in casa la Ford, una vittoria che ha risonanza mondiale. E si ripete a Monza, sempre in coppia con Bandini, alla 1000 km due mesi e mezzo dopo. La vittoria nel Mondiale giunge alla 6 Ore di Brands Hatch grazie al secondo posto ottenuto da Chris Amon-Jackie Stewart alle spalle della Chaparral 2F di Mike Spence-Phil Hill. Il 1967 è un banco di prova per Amon, anche perché si vocifera di contatti, poi non concretizzatisi, avvenuti in Ferrari con Denis Hulme e Jackie Stewart.

La 312 si rivela una buona monoposto, forse non all’altezza della nuova Lotus 49 motorizzata dal V8 Ford-Cosworth che esordisce vincendo con Jim Clark in Olanda, dove Amon termina quarto dopo il brillante terzo posto ottenuto a Montecarlo nella gara di esordio in F1 con la Ferrari. In Belgio sale nuovamente sul gradino più basso del podio e, dopo i primi quattro appuntamenti, il neozelandese, pur avendo saltato il GP di apertura in Sudafrica dove la Ferrari non partecipa, è secondo nella classifica piloti alla pari con Pedro Rodriguez.

In Francia abbandona quando è in terza posizione, ma conquista il terzo posto a Silverstone e al Nürburgring. In Canada piove e Amon non ama l’asfalto bagnato. Risultato, è sesto ed Enzo Ferrari commenterà dicendo che gli sembrava di essere come il Duca di Modena, che aveva soldati che combattevano solo quando splendeva il sole.

In compenso, dopo le noie patite a Monza, negli Stati Uniti disputa una bellissima gara, interrotta a una manciata di giri dal termine per il cedimento del motore quando si trova in seconda posizione. In Messico chiude l’ultimo GP della stagione al quinto posto, ma i commissari lo penalizzano di quattro posizioni per aver compiuto l’ultimo giro in un tempo superiore al massimo ammesso, segno evidente di problemi meccanici.

Nel 1967 la 312 si è dimostrata tutto sommato affidabile e i ritiri sono stati solo due. Quello che è mancato è stata la messa a punto, tanto che la monoposto è stata a volte rallentata da inconvenienti banali. Per il 1968 a Maranello attendono la vittoria che manca dal GP d’Italia di due anni prima, quando fu Ludovico Scarfiotti a imporsi. Le premesse ci sono, tanto più che i meccanici non dovranno dividersi, come negli anni precedenti, tra F1 e prototipi non partecipando la Ferrari al Mondiale Marche. Difatti la vittoria arriva ed è in Francia, ma per mano del compagno di squadra Jacky Ickx.

Nasce in questa stagione la nomea di pilota “sfortunato” che il neozelandese si porterà appresso. Dopo un quarto posto a Kyalami in apertura del Campionato, Amon colleziona due ritiri che sono due probabili vittorie mancate: una in Spagna, quando era al comando con largo margine, l’altra in Belgio per un sasso sparato da una ruota della Honda di Surtees che entra giusto nella presa d’aria del musetto della Ferrari perforando il radiatore dell’acqua.

Amon in quel momento stava per superare Surtees portandosi al comando. Per non parlare di Brands-Hatch in Inghilterra dove termina secondo, ma era in testa quando nel finale un’anomala usura dei pneumatici lo obbliga a rallentare (finirà la gara sulle tele) fino a che Jo Siffert su Lotus lo supera.

La sfortuna lo perseguita anche in Germania al Nürburgring, dove esce di pista quando è al terzo posto non per un errore di guida, ma perché scivola sull’olio lasciato dalla Lotus di Hill che lo precedeva. In Canada è saldamente in testa quando, sul finire, deve fermarsi con la trasmissione rotta.

L’appuntamento con una vittoria iridata è ora atteso per il 1969, ma le speranze sono destinate ad andare nuovamente deluse a causa di una stagione costellata da una serie di ritiri. In Spagna, dove era al comando e a Montecarlo quando si trovava in seconda posizione, insomma, su sei GP disputati deve abbandonare per guasti alla monoposto in cinque di essi, concludendo al terzo posto a Zandvoort in Olanda.

L’addio di Amon alla Ferrari avviene nel corso della stagione 1969 dopo il GP di Gran Bretagna, un po’ per le difficoltà nel rinnovo del contratto, un po’ perché deluso dalla scarsa competitività palesata quell’anno dalla monoposto. Il commiato da Maranello non è esente da commenti non proprio benevoli rivolti dal neozelandese alla Scuderia Ferrari. Dice: “con voi ho perso tre anni” - e ancora - “vedremo a fine stagione dove sarò io con la mia nuova March e dove sarete voi”.

Per il 1970 Amon è dunque prima guida della March-Ford, scuderia esordiente ma fondata da personaggi noti nel mondo delle corse. Prima che lasci Maranello, però, Forghieri gli affida il collaudo della 312 B, la monoposto completamente nuova per il 1970. L’avvio di stagione in Sudafrica inizia per Amon nel migliore dei modi perché è in prima fila con l’identico tempo di Stewart (che è in pole perché il tempo lo ha fatto prima di lui), anch’egli su March-Ford ma della scuderia di Ken Tyrrell. Poi, però, si deve ritirare.

1/22

Per farla breve, il 1970 scorre come il ‘68, con partenze in griglia quasi sempre tra i primi, qualche piazzamento a podio, come il secondo posto in Belgio e in Francia e il terzo in Canada, ma la vittoria latita. O meglio arriva, ma in un GP non iridato, l’International Trophy a Silverstone dove vince davanti a Stewart.

Maranello non aveva replicato alle parole da lui pronunciate quando se ne era andato, ma la risposta gli giunge semplicemente osservando la classifica del Mondiale, nella quale Jacky Ickx, divenuto prima guida Ferrari, termina secondo con tre vittorie dietro a Jochen Rindt (proclamato Campione del Mondo alla memoria dopo l’incidente mortale avvenuto a Monza), mentre l’esordiente Clay Regazzoni chiude terzo avendo dalla sua l’affermazione al GP d’Italia.

Anni dopo lo stesso Amon ammetterà l’errore di aver lasciato la Ferrari proprio quando avrebbe potuto disporre di una macchina con la quale lottare per la vittoria non solo nel singolo GP, ma nel Mondiale.

Soprattutto considerando le sue ottime doti di collaudatore, a confronto con Ickx al quale invece, pur velocissimo anche sul bagnato, i collaudi non andavano a genio. Rivelatasi la March al di sotto delle aspettative, Amon trasferisce armi e bagagli alla Matra-Simca, la scuderia francese che punta a vincere, oltre che con le Sport-Prototipo (l’obiettivo è Le Mans), anche in Formula 1.

La monoposto monta un V12 derivato dalla Sport Prototipo e potenziato per le esigenze della massima Formula. La scuderia non ha problemi economici, insomma, le premesse ci sono tutte. E pare che vengano mantenute perché in Sudafrica Amon è in prima fila e in Spagna in pole, dove termina terzo alle spalle di Stewart su Tyrrell-Ford e Ickx su Ferrari.

Altra pole a Monza dove è in testa con margine e finalmente pare che arrivi la vittoria iridata... quando la proverbiale jella si manifesta questa volta non sotto forma di un cedimento meccanico, ma per un evento davvero singolare: il distacco della visiera del casco che lo obbliga a una sosta ai box. Terminerà sesto.

E pensare che è sufficiente che un GP non sia valido per il Mondiale, che Amon si impone, come in Argentina nel gennaio 1971 nell’appuntamento che inaugura la stagione. Oppure come negli anni in cui corre la Tasman Cup, Campionato per monoposto con telai derivati dalla F1 e motore fino a 2,5 litri di cilindrata, che si disputa in Nuova Zelanda e Australia quando in Europa è inverno. E che vince nel 1969 con la Dino 246 fornitagli dalla Ferrari.

Ma, tornando all’Argentina, come mai quel Gran Premio non era valido? Perché era consuetudine per la Federazione Internazionale dare validità iridata a un nuovo GP di Formula 1 dopo aver constatato l’efficacia dell’organizzazione. A test superato, l’anno successivo sarebbe stato inserito in calendario.

Il neozelandese resta in Matra anche nel 1972 ma, un po’ per il calo di competitività della monoposto imputabile al fatto che le risorse della squadra sono rivolte al Mondiale Marche, i risultati sono analoghi alle stagioni precedenti.

Nel 1973 la Matra lascia la F1 e per Amon il futuro si fa difficile. Trova un volante presso la neonata scuderia Tecno che costruisce la monoposto interamente in casa, ma il progetto dei fratelli Pederzani, che pur avevano fin lì costruito ottime monoposto di Formula 2 e 3, si rivela fallimentare. Amon riesce a qualificarsi a Silverstone in ultima posizione, ma pian piano la PA123, malgrado i problemi strutturali di cui soffre, migliora e con essa la posizione in griglia di partenza.

Ma la competitività è un miraggio. Malgrado tutto, però, le sue intatte qualità lo portano a concludere al sesto posto il GP del Belgio a Zolder, che consente alla scuderia bolognese di entrare nella classifica Costruttori grazie a quell’unico punto conquistato. La Tecno chiude il 1973 con il GP d’Italia e, per la trasferta oltreoceano, Ken Tyrrell, divenuto costruttore, gli affida una propria monoposto affiancandolo a Stewart e Cévert. Amon correrà solo in Canada, perché a Watkins Glen durante le prove Cévert perde la vita.

La squadra si ritira in segno di lutto e questo Gran Premio anticipa l’addio alle corse di Jackie Stewart, la cui carriera si ferma a 99 GP disputati. Per il ‘74 Ken Tyrrell rivoluziona la squadra e Amon si convince a voler costruire la monoposto in proprio, diventando pilota-costruttore come altri avevano fatto prima di lui. La Amon AF101 monta il classico V8 Ford-Cosworth, cambio Hewland FG 400 e pneumatici Firestone.

Progettata da Gordon Fowell, si rivelerà sbagliata a tal punto che lo stesso Amon avrà parole amare affermando che è pesante, lenta e non reagisce alle variazioni di assetto. In totale sarà iscritta a sei GP durante la stagione 1974, prendendo il via per quattro volte (in Germania con Larry Perkins per l’assenza di Amon causa malattia) senza mai vedere la bandiera a scacchi. Dopo la mancata qualifica al GP d’Italia, per la trasferta americana Amon è al volante di una poco competitiva BRM P201 con la quale, tuttavia, a Watkins Glen si qualifica a centro schieramento concludendo nono. Il 1975 lo vede alla guida di una Ensign nella seconda parte della stagione e viene confermato per il 1976, anno in cui, al volante di una monoposto non certo tra le migliori, riesce comunque a far valere le proprie qualità arrivando a qualificare la macchina di Morris (detto “Mo”) Nunn in terza fila al GP di Gran Bretagna.

La gara si concluderà però con un ritiro. Al Nürburgring il rapporto con la Ensign si interrompe. Cos’è accaduto? Amon si rifiuta di prendere il via alla seconda partenza dopo l’incidente di Lauda per ragioni di sicurezza. E viene licenziato. Il suo posto sarà preso da Jacky Ickx. L’esperienza di Chris Amon in F1 si conclude quell’anno in Canada, al volante della pessima Williams della scuderia di Walter Wolf con la quale non riesce a superare le qualifiche. Accenniamo ora a un altro importante Campionato nel quale Amon recita una parte significativa ed è la Can-Am. Per farlo dobbiamo ritornare al 1966, quando questa serie, che si disputa in terra nordamericana, prende avvio.

Amon è compagno di scuderia di Bruce McLaren al volante della biposto McLaren M1B, con la quale mette a segno il giro più veloce a St. Jovite chiudendo il Campionato al sesto posto. Il passaggio in Ferrari nel 1967 gli impedisce di continuare con la Can-Am che diventa terra di conquista per la McLaren, tuttavia a Maranello la sirena americana si fa sentire e nel ‘68 viene allestita la 612 P, una biposto Sport da 620 CV e 6,2 litri di cilindrata con la quale la Ferrari fa il suo esordio in questa competizione.

E Amon si distingue ancora una volta e nel solito modo, con qualche giro veloce, qualche podio e qualche partenza in prima fila, ma la scarsa preparazione della vettura (quell’anno la Ferrari è impegnata su più fronti) gli impedisce di cogliere la vittoria. L’impegno prosegue nel 1969 con l’evoluzione motoristica della 612 P, la 712 P di sette litri di cilindrata e Amon è il solo che riesce a impensierire seriamente le dominatrici di quella categoria, le McLaren-Chevrolet.

Ma, mentre per la McLaren la Can-Am è in quegli anni l’obiettivo numero uno, per la Ferrari non è così con la conseguenza che la 712 P non è seguita dalla Casa e tutto il lavoro è affidato alla Scuderia N.A.R.T. di Luigi Chinetti. Amon avrebbe dovuto correre anche alla 500 Miglia di Indianapolis nel 1970 con la McLaren M15 a fianco di Denis Hulme, ma declina l’offerta fattagli da Bruce McLaren. Indianapolis non aveva nulla che gli piacesse.

Trovava assurdo correre in tondo tra muri di cemento in un catino dove non c’erano curve e controcurve, saliscendi o altro che gli permettessero di esprimere al meglio la sua sensibilità. A questo proposito Bruce McLaren ebbe a dire: “Amon aveva paura di Indianapolis e non ci volle mai correre.

Ma deteneva il record sul terribile circuito di Spa-Francorchamps” (assai meno sicuro di Indianapolis). “Magari, se sui muretti dello speedway avessi dipinto i pini delle Ardenne, Chris avrebbe vinto la 500 Miglia.” Pilota elegante, sempre corretto, un vero stilista nell’arte di condurre una macchina da corsa, Chris Amon è giudicato come uno tra i più veloci della sua epoca.

Era attento ai problemi legati alla sicurezza, tanto da essere tra i primi a indossare le cinture di sicurezza in corsa. Al GP di Germania sul circuito del Nürburgring nel ‘68, gara disputatasi in condizioni meteo disastrose tra pioggia battente e nebbia, dichiarerà a fine gara che era stata follia pura doversi lanciare a 250 km/h in mezzo a un banco di nebbia fitta.

La sua carriera la riportiamo nelle tabelle, ma va vista oltre gli aridi numeri che non gli rendono giustizia e che comunque dicono 96 partenze in GP validi per il Mondiale di Formula 1, conclusi con 11 podi, 5 pole position, 3 giri più veloci in gara e...45 ritiri quasi tutti per noie o guasti alla macchina. Interrogato sulla sua proverbiale sfortuna, rispose: “mi ritengo invece fortunato a non aver mai avuto incidenti gravi, né ad aver patito conseguenze fisiche”. Aveva visto morire in pista parecchi suoi colleghi, compreso il connazionale e amico Bruce McLaren e lui stesso l’aveva scampata senza un graffio a Monza nel ‘68, quando, pochi giri dopo la partenza, era volato fuori pista a seguito di un testa-coda a Lesmo che l’aveva proiettato contro il guard-rail.

La sua Ferrari si era fermata capovolta in mezzo agli alberi senza incendiarsi, cosa tutt’altro che scontata in quegli anni quando ancora non esistevano i serbatoi di sicurezza. Terminata l’attività agonistica Amon ritorna in Nuova Zelanda al timone dell’azienda agricola paterna. Salvo rispondere al “Drake” di Maranello, con il quale ha sempre mantenuto rapporti cordiali, che a volte gli chiede un parere su qualche pilota (come Gilles Villeneuve). Di lui Enzo Ferrari scrisse nel suo libro “Piloti che gente”: “In tre anni di corse con la Ferrari non conseguì i risultati che meritava. Buon collaudatore, anzi ottimo, guidatore fine e pulito, avrebbe dovuto farsi coraggio in gara. Una forza che invece gli è mancata. Quando ha compiuto quaranta anni gli ho inviato una fotografia con la dedica ‘Al pilota più bravo e più sfortunato’. Chissà se sarà creduto quando racconterà ai figli quanto poco c’è mancato perché diventasse uno dei più grandi assi del volante”

1/22

Le ultime news video

© RIPRODUZIONE RISERVATA