La sua costruzione comincia nel 1922, esattamente come da noi l’Autodromo Nazionale di Monza e in anticipo di due anni rispetto all’Autodromo di Monthléry, in Francia. Su un appezzamento di terreno di 25 ettari in località Sant Pere de Ribes, vicino al complesso Terramar di Sitges, il primo autodromo spagnolo viene completato in 300 giorni di lavori su progetto dell’architetto Jaume Mestres i Fossas. Il disegno della pista è simile a quello di Brooklands, inaugurato in Inghilterra nel 1907 e a quel tempo l’unico di tal genere esistente in Europa. È un ovale lungo 2 chilometri con due curve sopraelevate ma con un’inclinazione doppia rispetto a quelle dell’impianto inglese: ben 60° contro 30°. È significativo quanto detto dall’altro architetto cui si deve il progetto dell’autodromo, Josep Maria Martino Arrojo.
Ad opera realizzata, non può trattenersi dall’esprimere uno dei pareri più suggestivi sulle sensazioni provate alla guida, frutto dell’esperienza fatta di persona: “La scorrevolezza del manto stradale in cemento e lo studio accurato della progressiva inclinazione di ogni curva fanno sì che se l’auto che la percorre raggiunge la giusta velocità e segue la giusta traiettoria, la forza di gravità e la forza centrifuga si annullano a vicenda: ciò significa che né l’auto né il suo pilota vengono attratti all’interno della curva o proiettati verso l’esterno, ma restano in perfetto equilibrio.
Questo crea di conseguenza un falso senso di verticalità, tanto che l’orizzonte appare inclinato e gli edifici e il terreno circostante sembrano sul punto di crollare”. L’intera opera è davvero straordinaria per l’epoca, soprattutto in considerazione della generale arretratezza che la Spagna scontava nei confronti dei più avanzati Paesi europei.
Quel progetto è stato vissuto sin dall’inizio come un’occasione imperdibile per studiare ed apprendere le conoscenze necessarie per portarlo a termine, una specie di scuola superiore di ingegneria edile e di tecnica delle costruzioni; ma una volta completata la sua realizzazione, è diventato una dimostrazione fantastica delle potenzialità di un Paese considerato un po’ ai margini, che invece ora merita di essere considerato europeo a tutti gli effetti, tanto quanto “la Francia intellettuale, la Gran Bretagna imprenditoriale, la Germania industriale”. Questo almeno è il comune sentire a lavori ultimati.
L’incognita delle sopraelevate
All’inaugurazione del nuovo impianto, avvenuta il 28 ottobre 1923, gli agenti atmosferici non sono particolarmente favorevoli. La stagione ormai autunnale e la pioggia battente mettono a dura prova la capacità degli organizzatori e la pazienza degli spettatori, che però arrivano a migliaia per assistere ad un evento motoristico che in Spagna non ha precedenti. Anche i piloti non nascondono la loro preoccupazione, perché non tutto è proprio perfetto. Le sopraelevate, vero elemento di fascino del circuito, fanno paura tanto sono inclinate, e con la superficie bagnata tutto diventa più difficile. Ben pochi hanno l’esperienza necessaria per sfruttare a dovere le potenzialità dinamiche che la pendenza della pista offre in curva, sicché la ricerca del perfetto equilibrio, secondo le teorie dell’architetto Arrojo, diventa una vera cabala, un azzardo, una scommessa che ciascuno gioca come può.
Le traiettorie percorse sono tante quante le macchine in pista, c’è chi cerca di sfiorare il bordo estremo superiore in una dimostrazione di vero ardimento futurista, chi si tiene prudentemente a metà, nella convinzione che la moderatezza si traduca poi in un vantaggio tangibile in termini di velocità di percorrenza, chi infine poco si fida e poco ci crede e decide che anche in basso, dato il largo raggio delle curve, si vada veloci comunque. I più restii ovviamente sono i motociclisti, per i quali il tanto decantato punto di equilibrio non può essere un’opzione ma una necessità irrinunciabile, pena una poco amichevole carezza al manto stradale.
L’ingresso e l’uscita dalle curve poi destano preoccupazione, perché il collegamento con i rettilinei si traduce in avvallamenti non facilmente gestibili in velocità. Una gara e il declino Comunque tutto va per il meglio. Il vincitore della prima gara disputata, un Gran Premio per vetture 2 litri, è Alberto Divo che con la sua Sunbeam conclude la corsa, disputata su 200 giri, in 2 ore, 48 minuti e 5 secondi alla bella media di oltre 142 km/h. Data la grande importanza attribuita alla manifestazione, a Divo vengono assegnati ben 5 trofei: King’s Cup, Italian Ambassador’s Cup, Omnia Cup, Race Cup e Liceu Circle Cup.
Le gare motociclistiche dei giorni seguenti riscontrano analogo entusiasmo, ma subito un insormontabile problema investe gli organizzatori. Gli enormi costi di costruzione hanno aperto una voragine nei conti dell’autodromo, e i creditori con un atto di forza arrivano a sequestrare gli interi incassi dei biglietti venduti. Risultato, i piloti non intascano alcun premio in denaro. L’avventura nata sotto i migliori auspici si avvia così rapidamente alla sua conclusione. L’autodromo di Terramar viene bandito dal consesso internazionale che quindi blocca altre manifestazioni di pari spessore. Se le gare internazionali non possono più essere ospitate ci pensano il Catalunyan Automobil Club e il Motoclub di Catalunya nel 1925 ad organizzare gare nazionali che però non riscuotono grande successo e comunque non sono in grado di ripianare il disavanzo accumulato.
Anche negli anni successivi si tengono sporadiche competizioni, ma la sempre maggiore pressione finanziaria aggravata dalla grande crisi economica mondiale del 1929 fa sì che la proprietà del circuito passi nelle mani dello Stato spagnolo. Dopo poco più di un anno si fa avanti il pilota cecoslovacco Edgar de Morawitz che compra il circuito: costruisce al suo interno la fabbrica di pistoni Champion ed organizza nuovi eventi, come una sfida, tipica dell’epoca, tra un’automobile e un aereo. Altre gare minori si succedono fino al 1933, finché lo scoppio della Guerra Civile nel 1936 azzera di fatto tutte le attività. Nel 1945, alla fine del conflitto mondiale, le più che precarie condizioni economiche e sociali della Spagna, benché anche questa volta sia rimasta un Paese neutrale, non consentono certo un ripristino del circuito e una ripresa delle competizioni motoristiche.
Per di più de Morawitz muore e gli eredi vendono, innescando una serie di passaggi di proprietà che unitamente alla mancanza di manutenzione compromettono via via l’integrità dell’autodromo. Qualche gara sporadica viene ospitata, ma di fatto col 1955 il circuito viene totalmente abbandonato. Al suo interno viene addirittura allestito un allevamento di polli e il degrado di quelle strutture che così tanti entusiasmi avevano suscitato trent’anni prima avanza inesorabile.
Al posto di auto e moto da corsa attraversano così la pista e i suoi spazi interni camion e mezzi agricoli, mentre là dove il manto di cemento non è più calpestato ci pensa la vegetazione spontanea a corrodere tutto quello che sopravvive. Altri cinquant’anni di incuria e di usi improbabili, come la produzione di carri allegorici, e si arriva al 2009, quando finalmente viene fatta un’intelligente opera di pulizia generale e di interventi indispensabili per recuperare e preservare quel che era rimasto della vecchia struttura.
Ebbrezza adrenalinica
Oggi l’Autodromo Terramar è un reperto storico di grande valore archeologico, estremamente suggestivo. Stupisce per le ottime condizioni della sua struttura, che nonostante lo sgretolamento del cemento e l’assalto della vegetazione è rimasta intatta. Significa che il lavoro di progettazione e di costruzione è stato di grandissimo livello tecnico, pur se il clima catalano e la vicinanza al mare hanno certamente contribuito a limitare i danni dell’invecchiamento.
Dopo i lavori di pulizia e parziale ripristino, oggi il circuito non può di sicuro ospitare vere e proprie gare automobilistiche o motociclistiche, ma è una location che si presta stupendamente per eventi e perfomance come quella organizzata da Red Bull con la partecipazione di Carlos Sainz. Altri si sono avventurati sulle sopraelevate catalane con macchine diversissime, Aston Martin DB5 GT, Jaguar XKSS, Bugatti EB110, Seat Leon Cupra e molte altre, storiche e moderne.
Persino Jorge Lorenzo, sceso dalle moto, ci ha provato con una Porsche 911 qualche anno fa, terrorizzando i suoi pur coraggiosi passeggeri. L’impressione di tutti è sempre stata la stessa: una sorpresa scioccante per l’enorme scarica di adrenalina che provoca l’arrampicarsi su quelle incredibili curve, in alto, sempre più in alto col crescere della velocità, fino alla sommità, come su un trampolino che ti spara diritto verso il cielo.
Un’ebbrezza ben sintetizzata da Salvador Mora, l’attuale direttore dell’autodromo: “È assolutamente divertente, è l’esperienza più vicina al volo”. Solo che sei a bordo di un’automobile lanciata a tutta velocità.