31 July 2021

STORIE: Autodromo Terramar, felici di stare lassù

L’Autodromo Terramar, ovale con altissime sopraelevate vicino Barcellona, costruito nel 1922 ospitò una sola gara importante, poi fallì. Eppure c’è ancora, intatto nella sostanza, straordinario sito archeologico, set fotografico e soggetto di marketing...

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“Quando ho visto per la prima volta questo circuito, che non conoscevo, sono rimasto sorpreso. L’inclinazione della curve è tremenda, soprattutto guardando dal basso. Sono stato subito assalito dalla curiosità di sapere cosa si prova a percorrerle in velocità”. Parola di Carlos Sainz sr., non proprio un novellino.

Siamo nel 2012, in una calda giornata di maggio, sul vecchio autodromo di Sitges-Terramar, nei pressi di Barcellona, in Catalogna. Pur dall’alto dei suoi due titoli mondiali Rally e della vittoria alla Dakar del 2010 (le altre due vittorie verranno dopo, nel 2018 e nel 2020), il grande pilota spagnolo non nasconde il comprensibile timore reverenziale che quelle sopraelevate da 60 gradi di pendenza incutono al solo sguardo.

Pensare di percorrerle oggi, nelle condizioni in cui si trovano, con l’asfalto e il calcestruzzo che si sgretola, i rami degli alberi che si affacciano alla sommità fino a toccarle, la totale mancanza di protezioni e con un’auto da pista moderna capace di oltre 500 Cv non è cosa da poco.

Ma siccome “È l’uomo che dà anima al motore”, secondo un mantra Red Bull & Audi, entrambi sponsor dell’impresa, non ci si può tirare indietro, anzi, l’entusiasmo arriva a mille.

E l’uomo, anzi gli uomini, perché nella vicenda è coinvolto anche Miguel Molina, il pilota spagnolo in quel tempo impegnato nel DTM proprio con Audi, accettano con entusiasmo la sfida: battere il record sul giro stabilito nel lontano 1923 da Louis Zborowsky in 45,8”, alla media di 157,2 km/h. Verrebbe da dire: “E che ci vuole?”, dopo tutto si tratta di girare al volante di una Audi R8 LMS e non di un’ansimante Miller con le ruote da bicicletta. Niente di più sbagliato.

Il record è battuto, anche se soltanto di 3” o poco più, ma a detta dello stesso Sainz, autore del “tempone”, la più grande difficoltà è stata riuscire a tenere diritta la macchina che volava e rimbalzava di qua e di là, tali erano le condizioni della pista. Novant’anni non sono passati invano, e nonostante alcuni interventi di pulizia e sistemazione, quello che era un velocissimo e ultra moderno circuito è diventato un sito archeologico, bellissimo ma per forza di cose deteriorato.

I ruggenti anni ‘20

Per rivivere la vicenda dell’Autodromo di Terramar dall’inizio, dobbiamo a questo punto riavvolgere il nastro della Storia e fare un deciso salto all’indietro nel tempo, e precisamente all’inizio degli anni ’20 del Novecento. Siamo nella Spagna della fine della Grande Guerra, alla quale il Paese iberico non ha direttamente partecipato ma di cui ha vissuto di riflesso le dure conseguenze. Se infatti la sua industria non ha sofferto rispetto a quella dei paesi belligeranti, al termine delle ostilità e ai primi sintomi di ripresa generale questo vantaggio si è esaurito e riemergono gli atavici problemi di debolezza strutturale. Per di più c’è una terribile emergenza, che al giorno d’oggi suona tristemente familiare ma che in quell’epoca la medicina non sa veramente come affrontare: l’influenza spagnola.

È una vera e propria pandemia, che tra il 1918 e il 1920 colpisce il mondo intero, si calcola addirittura un abitante della Terra su tre, e causa complessivamente più di 50 milioni di morti, ma viene identificata con la Spagna semplicemente perché i paesi in guerra esercitavano una forte censura sui mezzi di comunicazione e nascondendo la verità volevano evitare di seminare ulteriore panico tra la popolazione.

Quando si ammala anche il re Alfonso XIII di Spagna, imitato subito dal suo primo ministro, ecco che la notizia si diffonde come se fosse un problema soltanto spagnolo. Ma tant’è. Terminato finalmente il conflitto mondiale e superata la pandemia, il mondo si trova coinvolto in un cambiamento epocale.

Le energie vitali a lungo represse esplodono letteralmente: in una sorta di trasformazione darwinistica il senso di liberazione per aver superato sia la guerra sia la malattia fa emergere un entusiasmo e una gioia di vivere incontenibili.

Gli anni Venti diventano per tutti, come per noi italiani, gli anni ruggenti, Roaring Twenties per americani e inglesi, Les années folles in Francia e Canada, Felices An͂os Veinte in Spagna. I mutamenti interessano l’economia, la società, l’arte in un generale dinamismo sociale e culturale che produce fenomeni come l’inizio del consumismo, l’esplosione della passione per la musica Jazz, l’emancipazione femminile, l’art déco, il mito della velocità. Anche lo sport accentua drasticamente la sua trasformazione da svago d’élite a spettacolo di massa, organizzato in grandi stadi dotati di potenti impianti audio e di illuminazione.

Un progetto all’avanguardia In questo fervore generale, molti progetti ambiziosi prendono forma. L’industriale spagnolo Sabadell Francesc Armengol, affascinato dallo stile di vita della Costa Azzurra e dalla città di Nizza in particolare, ha creato il complesso residenziale Terramar a Sitges, a sud di Barcellona. È un luogo di villeggiatura chic con ville, grandi spazi verdi, lungomare, ordine e servizi urbani di alta qualità. Nel progetto c’è anche la realizzazione di un casinò, che però non verrà mai neppure cominciato, e di un autodromo, quale concretizzazione di quell’anelito di movimento, spazi aperti e velocità che tutto sovrasta.

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La sua costruzione comincia nel 1922, esattamente come da noi l’Autodromo Nazionale di Monza e in anticipo di due anni rispetto all’Autodromo di Monthléry, in Francia. Su un appezzamento di terreno di 25 ettari in località Sant Pere de Ribes, vicino al complesso Terramar di Sitges, il primo autodromo spagnolo viene completato in 300 giorni di lavori su progetto dell’architetto Jaume Mestres i Fossas. Il disegno della pista è simile a quello di Brooklands, inaugurato in Inghilterra nel 1907 e a quel tempo l’unico di tal genere esistente in Europa. È un ovale lungo 2 chilometri con due curve sopraelevate ma con un’inclinazione doppia rispetto a quelle dell’impianto inglese: ben 60° contro 30°. È significativo quanto detto dall’altro architetto cui si deve il progetto dell’autodromo, Josep Maria Martino Arrojo.

Ad opera realizzata, non può trattenersi dall’esprimere uno dei pareri più suggestivi sulle sensazioni provate alla guida, frutto dell’esperienza fatta di persona: “La scorrevolezza del manto stradale in cemento e lo studio accurato della progressiva inclinazione di ogni curva fanno sì che se l’auto che la percorre raggiunge la giusta velocità e segue la giusta traiettoria, la forza di gravità e la forza centrifuga si annullano a vicenda: ciò significa che né l’auto né il suo pilota vengono attratti all’interno della curva o proiettati verso l’esterno, ma restano in perfetto equilibrio.

Questo crea di conseguenza un falso senso di verticalità, tanto che l’orizzonte appare inclinato e gli edifici e il terreno circostante sembrano sul punto di crollare”. L’intera opera è davvero straordinaria per l’epoca, soprattutto in considerazione della generale arretratezza che la Spagna scontava nei confronti dei più avanzati Paesi europei.

Quel progetto è stato vissuto sin dall’inizio come un’occasione imperdibile per studiare ed apprendere le conoscenze necessarie per portarlo a termine, una specie di scuola superiore di ingegneria edile e di tecnica delle costruzioni; ma una volta completata la sua realizzazione, è diventato una dimostrazione fantastica delle potenzialità di un Paese considerato un po’ ai margini, che invece ora merita di essere considerato europeo a tutti gli effetti, tanto quanto “la Francia intellettuale, la Gran Bretagna imprenditoriale, la Germania industriale”. Questo almeno è il comune sentire a lavori ultimati.

L’incognita delle sopraelevate

All’inaugurazione del nuovo impianto, avvenuta il 28 ottobre 1923, gli agenti atmosferici non sono particolarmente favorevoli. La stagione ormai autunnale e la pioggia battente mettono a dura prova la capacità degli organizzatori e la pazienza degli spettatori, che però arrivano a migliaia per assistere ad un evento motoristico che in Spagna non ha precedenti. Anche i piloti non nascondono la loro preoccupazione, perché non tutto è proprio perfetto. Le sopraelevate, vero elemento di fascino del circuito, fanno paura tanto sono inclinate, e con la superficie bagnata tutto diventa più difficile. Ben pochi hanno l’esperienza necessaria per sfruttare a dovere le potenzialità dinamiche che la pendenza della pista offre in curva, sicché la ricerca del perfetto equilibrio, secondo le teorie dell’architetto Arrojo, diventa una vera cabala, un azzardo, una scommessa che ciascuno gioca come può.

Le traiettorie percorse sono tante quante le macchine in pista, c’è chi cerca di sfiorare il bordo estremo superiore in una dimostrazione di vero ardimento futurista, chi si tiene prudentemente a metà, nella convinzione che la moderatezza si traduca poi in un vantaggio tangibile in termini di velocità di percorrenza, chi infine poco si fida e poco ci crede e decide che anche in basso, dato il largo raggio delle curve, si vada veloci comunque. I più restii ovviamente sono i motociclisti, per i quali il tanto decantato punto di equilibrio non può essere un’opzione ma una necessità irrinunciabile, pena una poco amichevole carezza al manto stradale.

L’ingresso e l’uscita dalle curve poi destano preoccupazione, perché il collegamento con i rettilinei si traduce in avvallamenti non facilmente gestibili in velocità. Una gara e il declino Comunque tutto va per il meglio. Il vincitore della prima gara disputata, un Gran Premio per vetture 2 litri, è Alberto Divo che con la sua Sunbeam conclude la corsa, disputata su 200 giri, in 2 ore, 48 minuti e 5 secondi alla bella media di oltre 142 km/h. Data la grande importanza attribuita alla manifestazione, a Divo vengono assegnati ben 5 trofei: King’s Cup, Italian Ambassador’s Cup, Omnia Cup, Race Cup e Liceu Circle Cup.

Le gare motociclistiche dei giorni seguenti riscontrano analogo entusiasmo, ma subito un insormontabile problema investe gli organizzatori. Gli enormi costi di costruzione hanno aperto una voragine nei conti dell’autodromo, e i creditori con un atto di forza arrivano a sequestrare gli interi incassi dei biglietti venduti. Risultato, i piloti non intascano alcun premio in denaro. L’avventura nata sotto i migliori auspici si avvia così rapidamente alla sua conclusione. L’autodromo di Terramar viene bandito dal consesso internazionale che quindi blocca altre manifestazioni di pari spessore. Se le gare internazionali non possono più essere ospitate ci pensano il Catalunyan Automobil Club e il Motoclub di Catalunya nel 1925 ad organizzare gare nazionali che però non riscuotono grande successo e comunque non sono in grado di ripianare il disavanzo accumulato.

Anche negli anni successivi si tengono sporadiche competizioni, ma la sempre maggiore pressione finanziaria aggravata dalla grande crisi economica mondiale del 1929 fa sì che la proprietà del circuito passi nelle mani dello Stato spagnolo. Dopo poco più di un anno si fa avanti il pilota cecoslovacco Edgar de Morawitz che compra il circuito: costruisce al suo interno la fabbrica di pistoni Champion ed organizza nuovi eventi, come una sfida, tipica dell’epoca, tra un’automobile e un aereo. Altre gare minori si succedono fino al 1933, finché lo scoppio della Guerra Civile nel 1936 azzera di fatto tutte le attività. Nel 1945, alla fine del conflitto mondiale, le più che precarie condizioni economiche e sociali della Spagna, benché anche questa volta sia rimasta un Paese neutrale, non consentono certo un ripristino del circuito e una ripresa delle competizioni motoristiche.

Per di più de Morawitz muore e gli eredi vendono, innescando una serie di passaggi di proprietà che unitamente alla mancanza di manutenzione compromettono via via l’integrità dell’autodromo. Qualche gara sporadica viene ospitata, ma di fatto col 1955 il circuito viene totalmente abbandonato. Al suo interno viene addirittura allestito un allevamento di polli e il degrado di quelle strutture che così tanti entusiasmi avevano suscitato trent’anni prima avanza inesorabile.

Al posto di auto e moto da corsa attraversano così la pista e i suoi spazi interni camion e mezzi agricoli, mentre là dove il manto di cemento non è più calpestato ci pensa la vegetazione spontanea a corrodere tutto quello che sopravvive. Altri cinquant’anni di incuria e di usi improbabili, come la produzione di carri allegorici, e si arriva al 2009, quando finalmente viene fatta un’intelligente opera di pulizia generale e di interventi indispensabili per recuperare e preservare quel che era rimasto della vecchia struttura.

Ebbrezza adrenalinica

Oggi l’Autodromo Terramar è un reperto storico di grande valore archeologico, estremamente suggestivo. Stupisce per le ottime condizioni della sua struttura, che nonostante lo sgretolamento del cemento e l’assalto della vegetazione è rimasta intatta. Significa che il lavoro di progettazione e di costruzione è stato di grandissimo livello tecnico, pur se il clima catalano e la vicinanza al mare hanno certamente contribuito a limitare i danni dell’invecchiamento.

Dopo i lavori di pulizia e parziale ripristino, oggi il circuito non può di sicuro ospitare vere e proprie gare automobilistiche o motociclistiche, ma è una location che si presta stupendamente per eventi e perfomance come quella organizzata da Red Bull con la partecipazione di Carlos Sainz. Altri si sono avventurati sulle sopraelevate catalane con macchine diversissime, Aston Martin DB5 GT, Jaguar XKSS, Bugatti EB110, Seat Leon Cupra e molte altre, storiche e moderne.

Persino Jorge Lorenzo, sceso dalle moto, ci ha provato con una Porsche 911 qualche anno fa, terrorizzando i suoi pur coraggiosi passeggeri. L’impressione di tutti è sempre stata la stessa: una sorpresa scioccante per l’enorme scarica di adrenalina che provoca l’arrampicarsi su quelle incredibili curve, in alto, sempre più in alto col crescere della velocità, fino alla sommità, come su un trampolino che ti spara diritto verso il cielo.

Un’ebbrezza ben sintetizzata da Salvador Mora, l’attuale direttore dell’autodromo: “È assolutamente divertente, è l’esperienza più vicina al volo”. Solo che sei a bordo di un’automobile lanciata a tutta velocità.

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