A questo punto, però, entrò in campo Pio Manzù, giovane e apprezzato stilista che Giacosa introdusse nel Centro Stile Fiat. Fu Manzù a dare lo stile definitivo alla G31, presentata al Salone di Torino del 1968 presso lo stand Autobianchi. La linea giovanile, personale, ricca di spunti attirò l’attenzione. Pareva il modello giusto dopo il fallimento della Stellina 800. E invece ecco la doccia fredda: in Fiat decisero di fermare il progetto perché non rientrava nei piani della Casa. La ragione? Se osserviamo ciò che la Fiat fece a cavallo tra gli anni ‘60 e ‘70, forse una plausibile spiegazione possiamo dedurla.
Dunque: nel ‘69 il Lingotto acquisisce la Lancia ormai sul punto di chiusura. L’acquisizione, finalizzata al rilancio del marchio di Chivasso, relegherà di fatto l’Autobianchi a un ruolo sempre più marginale, fino alla sua scomparsa negli anni 90. Nel ‘71, al Salone di Torino, venne presentata la 128 coupé a completare l’offerta di sportive Fiat nelle cilindrate comprese tra 1100 e 1600. In seguito toccherà alla X1/9 prima e alla Lancia Beta Montecarlo poi, riprendere lo schema meccanico del motore centrale-posteriore. Da tutto ciò forse si spiega quel “non rientra nei piani” che segnò la fine dell’Autobianchi G31.
La quale, anzi, proprio in virtù del diverso layout meccanico, lungi dal sovrapporsi alle sportive Fiat e Lancia di quel periodo, avrebbe portato nuova linfa al marchio di Desio che, dopotutto, orbitava nella galassia Fiat. Vere rivali non ne aveva, sia per la carrozzeria in vetroresina, sia per essere una sportiva pura senza compromessi, ma tant’è in Fiat avevano deciso che le sportive dovevano avere un marchio diverso da quello dell’Autobianchi, destinato invece a ricoprire un ruolo di produttore di auto top di gamma ma in segmenti medio-bassi, come fece con la A111 e poi la A112.
Nel disegno di Sartorelli datato 1965, si nota nel taglio laterale della parte dietro una somiglianza con la Sport-Prototipo Ferrari 250 Le Mans, presentata nel ‘63. Ma è proprio la parte dietro a essere oggetto di modifiche e lo si vede nel disegno del ‘67, sempre di Sartorelli con la collaborazione dell’austriaco Werner Hölbl, dove la parte laterale posteriore è stata assai rimaneggiata. Si notano nel disegno anche le ruote in lega leggera Cromodora che all’epoca equipaggiavano a richiesta le sportive Fiat, poi sostituite nel prototipo del Salone da ruote dedicate con gommatura 175x13. Altri esperimenti di stile riguardano i larghi tagli laterali per ricavare le prese d’aria del motore, divenuti ora verticali, ora inclinati, ora orizzontali, passando per una soluzione che prevede lateralmente al volume posteriore dei montanti longitudinali del tipo di quelli che si vedranno sulla Maserati Bora anni più tardi. È questo il momento in cui interviene Pio Manzù, che rielabora la linea della G31 nella forma definitiva. Nel suo disegno si notano le feritoie posteriori in posizione verticale e una luce di forma trapezoidale situata dietro al finestrino anteriore.
Molto interessante (e in anticipo sui tempi) è anche il deflettore aerodinamico regolabile posto in coda, un vero e proprio alettone ante-litteram per una vettura pensata per la serie. Il frontale, molto affilato, è in pratica privo di calandra, dove il riferimento sul piano verticale è il sottile paraurti metallico protetto da un profilo gommato che da sede ai gruppi ottici secondari, mentre quelli principali sono a scomparsa. Ritroviamo questa soluzione nel frontale di un’altra vettura esposta in quello stesso Salone, il coupé 2+2 di Vignale su meccanica Maserati V8-4.2. Interessanti, nella G31, altre due soluzioni all’epoca all’avanguardia: una è la copertura del lunotto con persiane ispirate alla Lamborghini Miura, l’altra sono le maniglie porta a filo della carrozzeria.
Dietro, nello specchio di coda sotto al paraurti, si notano due grossi tubi di scarico rettangolari posti al centro, una soluzione molto aggressiva. Meccanicamente la G31 era raffinata presentando sospensioni a ruote indipendenti con schema a quadrilateri deformabili e gruppo molla elicoidale e ammortizzatore coassiale davanti e dietro, freno a disco sulle quattro ruote. Il serbatoio benzina era in posizione protetta tra il motore e l’abitacolo.
All’interno, l’abitacolo è per due posti e lo stile è quello che si vedrà anni più tardi nelle sportive, con volante a tre razze e sedili anatomici la cui forma e il rivestimento riprendono il motivo della famosa poltrona Manzù. La strumentazione, a elementi circolari, è incassata nella plancia dal disegno molto moderno. Pratica ed elegante anche la consolle centrale che ospita i comandi secondari e quelli della climatizzazione. Sul piano delle prestazioni non ci sono riscontri.
Se, però, teniamo conto che la carrozzeria è in vetroresina – come sulla Stellina - e che la sezione frontale della vettura è ridotta, c’è da ipotizzare che, con la potenza fornita dai bialbero 1600 Fiat dell’epoca (100 CV), la velocità massima si sarebbe collocata oltre i 180 km/h, con un’accelerazione 0-100 km/h in circa 9 secondi. Che nel 1968 erano numeri di vertice per una sportiva stradale di quella cilindrata, ma che probabilmente sarebbero risultati prossimi anche se la G31 fosse entrata in produzione con carrozzeria metallica.
Che dire per concludere? Che fu presentata a Torino come “prototipo di studio rappresentante una ricerca sulla forma della vettura sportiva”. Per la Fiat era un esercizio insomma, ma forse Giacosa la pensava diversamente...
Fonte : Autobianchi G31 : La Storia - Pirata-Design