20 December 2015

Fiat 124...il compromesso storico

La gestazione di progetto fu problematica per le discussioni tra due ingegneri. Risolse il direttore generale Bono, prendendo qualcosa da entrambi, con il benestare di Giacosa che immaginava già....

PROGETTO

S e il buongiorno si vede dal mattino, il 1967 non poteva iniziare meglio per la Fiat 124, eletta “Auto dell’Anno” da una giuria internazionale di giornalisti. Un debutto sotto i migliori auspici ma frutto di scelte tecniche non facili né scontate: possiamo dire, anzi, che la gestazione del progetto 124 fu assai travagliata. E questo soprattutto per l’antagonismo tra due diversi gruppi di progettisti. Protagonisti della contesa furono gli ingegneri Montabone e Messori, rispettivamente responsabili dell’ufficio vetture e di quello collaudi. Il dualismo sembrò essere destino della 124 perché, risolta la diversità di vedute tra i progettisti, esso riprese a manifestarsi sotto forma di un’iniziale rivalità commerciale con la sorella 1100 R, fra l’altro messa in listino nel medesimo periodo.

Tornando ai due litiganti, il pomo della discordia stava nella diversa concezione della scocca e della sospensione posteriore, pur essendo i due d’accordo sull’impostazione tradizionale: motore anteriore longitudinale e trazione posteriore. Ma anche su queste scelta era stato all’inizio sollevato qualche dubbio, e per buone ragioni. In Fiat si avvertiva con chiarezza la necessità di svecchiare la produzione dei modelli di fascia mediobassa (la 1100 D e la 1300) che la nuova 124 avrebbe dovuto mandare contemporaneamente in pensione, ma ci si domandava come. E qui stava il nocciolo del problema.

TUTTO AVANTI
Contrariamente al parere della direzione generale, per la quale era sufficiente un incremento nelle dimensioni della vettura (in particolare nella larghezza) e una linea più al passo con i tempi, l’ing. Dante Giacosa sosteneva la necessità di dare al mercato un forte segnale di rinnovamento, anche tecnico. Egli propendeva per una vettura che fosse sì un po’ più lunga, e soprattutto più larga della 1100 D, ma la voleva a trazione anteriore e con motore trasversale. Per questo aveva nel cassetto il progetto siglato 123. I vertici aziendali, invece, non ritenevano che fossero maturi i tempi per il “salto” alla trazione avanti e, pur lasciando a Giacosa la libertà di portare a termine il proprio lavoro, fu esclusa di fatto tale soluzione. Quel progetto di Giacosa si concretizzerà poi nella Autobianchi A 111 del 1969.

In mezzo a questo fervore d’idee e progetti, ci fu l’accordo con l’Unione Sovietica, siglato il 4 maggio 1966 a Torino tra il presidente della Fiat Vittorio Valletta e il ministro russo Alexander Taraszov, per costruire automobili in Russia. Bisognava dunque dare ai sovietici un modello da costruire, che fosse robusto e adatto al clima e alle strade di quello sterminato Paese. Dopo aver esaminato tutti i modelli europei di classe medio-popolare, avevano individuato nell’Autobianchi Primula l’auto che meglio rispondeva alle loro esigenze, con ciò dando indirettamente ragione a Giacosa. In Fiat questa preferenza non era stata gradita, prima di tutto perché la Primula (pur vettura del gruppo) era un’Autobianchi e non una Fiat. E poi perché montava il motore di 1.221 cc della 1100 D, ormai superato e destinato a essere sostituito dal nuovo quattro cilindri in linea con albero motore su cinque supporti di banco che l’ing. Aurelio Lampredi aveva progettato per la 124.

Insomma, era la nuova 124 che Fiat voleva far produrre a Togliattigrad. E così fu. Niente Primula in Unione Sovietica, niente trazione anteriore a Torino: la nuova vettura media da famiglia avrebbe avuto il motore longitudinale e la trazione posteriore, in linea con i desideri della direzione torinese che voleva soprattutto escludere il rischio di un modello troppo “nuovo”, che poteva essere rifiutato dalla clientela tradizionalista. Tornando alla tenzone tra ingegneri, Montabone propendeva per un ponte posteriore rigido montato su balestre longitudinali, soluzione affidabile ed ultra-collaudata, mentre Messori portava avanti con molta determinazione una sospensione basata su molle elicoidali. A giudizio di Giacosa il progetto di Montabone aveva il vantaggio di una costruzione della scocca più semplice ed economica, mentre Messori privilegiava soluzioni più raffinate, ma con un maggior numero di componenti del pianale e quindi un maggiore costo di produzione. Il direttore generale della Fiat, Gaudenzio Bono, dopo aver esaminato i due progetti prese da ciascuno il meglio: fece costruire un prototipo con la scocca di Montabone e il ponte posteriore di Messori, che divenne la vettura definitiva. La Fiat 124 era nata.

STILEMI

Presentata al Salone di Ginevra del 1966, la 124 fece subito presa. I punti forti erano tre: il primo era il motore da 60 CV, grintoso e rapido nel salire di giri (e anche più leggero di quello della 1100 D), che conferiva alla neonata berlina un notevole spunto in accelerazione fino a spingerla ben oltre la soglia dei 140 orari, che la Fiat, in un eccesso di prudenza, aveva dichiarato come velocità massima. La brillantezza delle prestazioni fu, per inciso, una delle ragioni che in molti casi la fece preferire ai clienti incerti, perché la 124 non solo lasciava indietro le concorrenti straniere di pari cilindrata (e qualche volta anche maggiore), ma rivaleggiava nello scatto sulle brevi distanze persino con l’Alfa Romeo Giulia 1300 TI. Il secondo punto forte era l’abitacolo spazioso. L’allargamento delle carreggiate aveva permesso di disegnare un divano posteriore in grado di accogliere con un certo agio anche tre persone. Il bagagliaio, inoltre, con la soluzione della ruota di scorta verticale, garantiva una capacità di carico più che adeguata a una famiglia. Il terzo punto forte era la robustezza meccanica, di cui diede prova anche nei durissimi rallye di quegli anni. Per finire, c’era un cambio con innesti facili e precisi e quattro freni a disco che garantivano un’ottima frenata, altro serio argomento a favore.

La linea, semplice ma gradevole, classica ed equilibrata nella proporzione dei volumi (opera del Centro Stile Fiat), era caratterizzata da ampie superfici vetrate e da cofani larghi e piatti, ribassati al centro, per migliorarne la rigidezza e dare un tocco di persona-lità. Sotto questo punto di vista la 124 inaugurava un nuovo stile poi proseguito con la 125: niente rivoluzioni dal futuro incerto, ma abbandono progressivo degli stilemi di scuola americana che avevano caratterizzato le berline del periodo immediatamente precedente, per privilegiare soluzioni in grado di creare un’identità di marchio meglio delineata. La calandra, dall’andamento piano, presentava larghi profili cromati orizzontali collegati nella parte dietro da sottili listelli verticali. La parte di lamiera compresa tra il paraurti e la griglia era stata sagomata con un incasso che terminava a spigolo, un tratto comune alle berline Fiat del periodo. Due grandi fari circolari, collocati all’estremità della griglia del radiatore e sottolineati dai gruppi ottici secondari di forma rettangolare, completavano la parte anteriore. Il sottile paraurti in acciaio cromato si distingueva da quello di altri modelli della Casa per avere i rostri appena accennati, protetti da tamponi in gomma di piccola dimensione. Il posteriore era stato risolto con semplicità e personalità, grazie ai gruppi ottici a sviluppo orizzontale, con catadiottri separati e più bassi. Nella vista laterale si notava l’assenza del profilo cromato lungo la linea di cintura, secondo la tendenza del periodo volta a limitare l’eccesso di cromature: che comunque c’erano, da un lato per non far sembrare la vettura “povera”, da un altro per completare la funzione stilistica sottolineando la grondaia lungo il padiglione, la base del montante posteriore e la linea del sottoscocca.

L’interno, arioso e confortevole, mostrava già i segni di cambiamento nello stile d’arredo che caratterizzerà le automobili nate a cavallo degli anni Settanta: niente parti di lamiera verniciata a vista nella plancia, ma spazio a rivestimenti con materiali plastici schiumati, gradevoli al tatto e in grado di creare un’atmosfera di maggior calore. E ancora: disegno più elaborato dei pannelli porta, impreziosito da listelli cromati per dare un tocco di personalità. E tanti dettagli di nuova foggia, come le levette d’apertura delle porte e dei cristalli e le maniglie esterne più squadrate. La strumentazione, analoga per disegno a quella della 1100 R, era fin troppo semplice: non avrebbe guastato, accanto all’indicatore del livello carburante e al tachimetro, un termometro del’acqua. Pensò la Veglia Borletti a fornire lo strumento come accessorio after market, da montare in una sede che sembrava disegnata apposta. L’indicazione della velocità era visibile lungo una scala graduata orizzontale tramite una lancetta che percorreva un arco di circonferenza, secondo lo stile introdotto con la 850 e ripreso con la 1100 R. Un inserto cromato al centro della plancia ospitava le levette della climatizzazione, gli interruttori dei comandi secondari e il posacenere e donava un tocco di personalità all’assieme. Il retaggio del recente passato affiorava nel volante, che conservava l’anello di metallo per azionare il clacson.

VIDEO

EVOLUZIONE

Versioni Special a parte, il percorso tecnico e commerciale della 124-1200 seguì l’evolversi del mercato. La sola modifica di una certa importanza fu al ponte posteriore, per migliorare il comportamento stradale. Fu eliminato il tubo di collegamento del ponte alla scocca (che ospitava anche l’ultima parte dell’albero di trasmissione), e il suo posto fu preso da due puntoni di reazione supplementari più uno trasversale. Questa modifica fu applicata in occasione della presentazione, nel ’68, della 124 Special di 1.438 cc. Per il resto le varianti furono limitate al diverso colore (nero anziché grigio) del rivestimento della plancia, all’eliminazione del comando clacson con l’anello, sostituito, nel 1967, da un bilanciere centrale cromato con due pulsanti di azionamento all’estremità.Per vedere qualche cambiamento sul fronte estetico bisogna attendere la seconda serie, che debuttò al Salone di Torino del 1970. L’uscita, nel 1969, della 128 a trazione anteriore, modello che prese il posto della declinante 1100 R, mise commercialmente in secondo piano la 124. Vicina per cilindrata (1.116 cc contro 1.197), la 128 si collocava in un segmento inferiore ma fu percepita come nuova e diversa, perciò attirava chi, nel dubbio tra la 1100 R e la 124, sceglieva la seconda.

Ciò spinse la Fiat a un leggero restyling: griglia anteriore con quattro listelli cromati su fondo nero opaco, rostri dei paraurti più grandi, griglia di sfogo dell’aria sul montante posteriore, gruppi ottici posteriori più grandi e luce per la retromarcia sotto il paraurti. All’interno sono aggiunti accendisigari e termometro acqua, mentre sotto il profilo tecnico ci sono il circuito frenante sdoppiato e l’alternatore al posto della dinamo. Tutte modifiche estese anche alla “Familiare”. Quasi una “Special” In questa veste, l’ormai matura 124 si avvia verso anni nei quali la risoluzione del dettaglio e un abitacolo accogliente e ben rifinito diventano requisiti irrinunciabili, anche in una berlina da famiglia di quella cilindrata. Pur con il pensiero rivolto alla nuova 131, anch’essa a trazione posteriore e che nel 1974 pensionerà proprio la 124, la Fiat non abbandona a se stessa quest’auto che tante soddisfazioni le ha dato: anzi, la rilancia con la terza e ultima serie datata settembre 1972, la più signorile ed attraente.

Non molte le modifiche, ma efficaci: griglia di plastica a maglia fine, percorsa al centro da una striscia nera che supporta il rinnovato marchio Fiat a rombi, maniglie alle porte del tipo incassato con presa per l’apertura di colore nero, coppe ruota con marchio Fiat centrale su fondo nero e diverso disegno dei cerchi ruota con fori rotondi, sono sufficienti a rendere più moderna l’immagine di un’auto in listino da sei anni. I cerchi ruota sono ora di colore bianco-avorio anziché grigio alluminio, un cambiamento dettato dall’introduzione di nuove vernici meno nocive, con le quali la tonalità di colore grigio non dava sufficienti garanzie di durata. L’impressione di un passo avanti, soprattutto nella classe percepita dal cliente, era confermata dalle migliorie interne: strumentazione con lancette di un gradevole colore giallo e grafica su fondo nero, inserimento di un profilo centrale di finto legno sulla plancia e selleria rinnovata, che poteva essere richiesta in velluto al posto della finta pelle.

Un tocco da berlina di classe superiore, evidenziato dai nuovi tappetini in moquette che sostituivano i precedenti di gomma. Anche le prestazioni miglioravano, grazie alla diversa profilatura dell’albero a camme e alla nuova forma delle camere di combustione dal rendimento più elevato: cinque CV in più per 150 km/h dichiarati. Inoltre l’erogazione era più sportiva, con la coppia massima a un regime più alto, cosa gradita agli amanti della guida perché rendeva il motore più brillante agli alti regimi, sacrificando in minima parte la tipica elasticità. Con queste modifiche la 124 aveva l’eleganza e quasi le prestazioni della “Special”. Quando uscì di scena i tanti che l’avevano acquistata facendone ne rimpiansero comodità, robustezza e affidabilità.

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