Auto elettrica e diritti umani: questione annosa

Con il crescere della domanda di auto elettriche crescerà inevitabilmente anche la domanda di materie prime necessarie a produrle. Ecco allora tornare alla ribalta la tematica dei diritti umani.

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Nell’ultimo periodo stiamo assistendo a una leggera inflessione a favore dell’auto elettrica. Se da un lato le auto con motorizzazioni tradizionali quindi a combustibili fossili (petrolio) stanno perdendo qualche punto percentuale, dall’altro le auto a batteria iniziano sempre più a prendere piede. Un po’ grazie ai numerosi e ingenti incentivi statali e regionali e un po’ grazie alla sempre maggiore consapevolezza da parte del cittadino e automobilista medio che qualcosa per salvaguardare l’ambiente debba essere fatto. Con il crescere però della domanda di auto elettriche non possiamo dire che il futuro sia tutto rose e fiori. Se da un lato, infatti, inizia a farsi sempre più presente la problematica di una adeguata rete di ricarica sparsa per il territorio, dall’altro lato non può essere trascurata la tematica dei diritti umani di tutte quelle persone coinvolte nell’estrazione dei metalli preziosi dalle miniere per la realizzazione dei pacchi batteria. L’auto elettrica e i pacchi batteria hanno ancora un impatto ambientale non indifferente se si fa riferimento ai costi sociali e all’inquinamento prodotto alla fonte.

Nell’utilizzo quotidiano, le auto elettriche sono risultate più virtuose delle analoghe auto con motore endotermico (benzina e diesel), tuttavia non può essere nascosto che la produzione dei pacchi batteria crea importanti emissioni inquinanti e che l’estrazione dei materiali preziosi porti a uno sfruttamento del lavoro minorile nelle aree più povere del Mondo, oltre che ad un forte degrado ambientale della zona d’estrazione. L’estrazione mineraria delle materie prime per le batterie e il processo di trasformazione finale richiedono significative quantità d'energia che generano emissioni di gas serra così elevate da ridurre i benefici climatici marginali derivanti dall'uso di veicoli elettrici anziché di quelli con motore a combustione. Vi basti sapere che l’80% del cobalto mondiale è nella Repubblica Democratica del Congo, stato che per sua sfortuna non ha dimostrato di avere una democrazia così solida a dispetto del nome; il 75% del manganese è ripartito in Australia, Brasile, Ucraina e Sudafrica; l’80% di grafite naturale è in Cina, Brasile e Turchia. Mentre il litio è più sparso, seppur il 58% sia in Cile. Dove per altro le miniere stanno pompando l’acqua fuori dalle saline di Atacama, costringendo i locali a emigrare per via della contaminazione del terreno.

Come se non bastasse, il valore aggiunto relativo al raccolto di questo materiale è generato sostanzialmente fuori dal paese di produzione: infatti il cobalto della Repubblica Democratica del Congo è raffinato fuori, cioè in Belgio, Cina, Finlandia, Norvegia nella vicina Zambia. Ecco perché la tematica dei diritti umani e quella relativa all’inquinamento ambientale durante l’estrazione dei metalli preziosi per la produzione dei pacchi batteria sono di fondamentale importanza anche per il valore delle aziende che sono coinvolte direttamente o indirettamente in questo business. Con il crescere della domanda non si potrà fare altro che trovare delle politiche ambientali e sociali per se non risolvere quanto meno tamponare questo scellerato sfruttamento umano e del territorio.

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