29 January 2023

Citroën Dyane pastello sbarazzino

Una bella giornata di sole, una strada di campagna e il tettino aperto, mettono insieme il quadretto ideale per godersi lo spirito allegro e sbarazzino della Dyane, accentuato dalla bella tinta pastello di questo esemplare. Una vettura essenziale ai limiti dello spartano, ma comunque capace di affrontare qualsiasi situazione senza complessi di inferiorità....

Da sempre eterna seconda della più celebre e iconica 2CV, la Dyane è già da diversi anni universalmente acclamata quale icona del design Citroën. Un’utilitaria sui generis, figlia di un modello irraggiungibile che non riuscirà mai a sostituire, nei listini e nei cuori, ma capace comunque di totalizzare quasi un milione e mezzo di esemplari prodotti dal 1967 al 1983. A distanza di anni, cioè ora che entrambe ormai sono entrate di diritto nella categoria delle classiche, Citroën Dyane e 2CV appaiono come una sorta di doppione: due vetture quasi identiche, differenti essenzialmente (ma neanche troppo) nello stile esterno, di cui si fatica un po’ a comprendere la necessità.

Non ne bastava una? Quasi sessant’anni fa si pensava di no, così andiamo a capire perché. L’idea di realizzare una declinazione più moderna e civilizzata della 2CV si fa strada tra la dirigenza della Casa francese all’inizio degli anni Sessanta, per rinfrescare un prodotto che ancora vende benone, ma che è comunque figlio di un progetto anteguerra e, soprattutto, per contrastare il successo crescente dell’antagonista Renault 4, che spopola nelle campagne ma anche tra i giovanissimi (e sarà così per almeno altri due decenni).

Dato che la 2CV piace ancora, si pensa di affiancarle inizialmente una nuova versione evoluta, in modo da rendere meno traumatico il passaggio di consegne tra i due modelli. Le cose, come sappiamo, andranno diversamente, ma all’epoca era impossibile prevederlo: entrambi i modelli coesisteranno pacificamente per quasi vent’anni e, ironia della sorte, tra i due sarà la 2CV a sopravvivere, per altri sei anni. Ma torniamo agli anni Sessanta.

Il progetto “AY”, nome in codice di quella che sarà la Dyane, viene deliberato nel 1964, e prevede fondamentalmente un maquillage estetico per rendere la vettura più al passo coi tempi, lasciando pressoché invariati il telaio e la meccanica.

Dato il periodo di grande fermento stilistico in casa Citroën, il cui Centro Stile è alle prese contemporaneamente col restyling della DS e il design delle nuove GS, SM e Ami 8, il compito di ridisegnare la 2CV viene affidato agli stilisti della Panhard, marchio appartenente all’orbita del costruttore francese. Il brief prevede la massima economia possibile, sia per mantenere il costo di vendita finale competitivo, sia per poter sfruttare le stesse linee di montaggio dedicate alla 2CV negli stabilimenti di Levallois e di Rennes.

Già dai primi schizzi emergono le caratteristiche salienti della nuova vettura: cofano più spiovente, fari integrati nei parafanghi e parabrezza più alto rispetto alla “deuche”, della quale resta invariata l’impostazione generale.

Tuttavia la dirigenza della Casa francese non è ancora del tutto convinta, e propone un altro passaggio di rifinitura presso il Centro Stile interno, che affina ulteriormente le linee e le rende ancora più vicine a quelle definitive mentre, allo stesso tempo, approfondisce lo stile degli interni grazie a Henry Dargent. Alle soluzioni finali si arriva però solo nel 1966, grazie all’intervento del talentuoso Robert Opron, nel frattempo entrato in modo definitivo nell’organico Citroën.

L’omologazione della nuova piccola francese viene ottenuta nel maggio del 1967, e nelle stesse settimane è anche confermato il nome Dyane. Sulle ragioni di tale scelta esistono tuttora diverse teorie, alcune delle quali rimandano alle origini Panhard del progetto, già produttrice della Dyna (di cui Dyane è quasi un anagramma e ne condivide la radice), mentre altre lo legano alla dea greca della caccia, sul filone della berlina DS, la cui pronuncia “deesse” suona come “dea” in francese.

La produzione della Dyane parte a luglio dello stesso anno presso lo stabilimento di Levallois, mentre per la presentazione alla stampa e negli autosaloni occorre attendere la fine di agosto, ovvero subito dopo le ferie estive. Il debutto ufficiale in pubblico avviene però solo in settembre, al Salone di Parigi. Meccanica condivisa La Dyane viene presentata come un’auto moderna e giovanile, anche se le origini sono evidenti: il corpo vettura alto e molto rialzato dal suolo, la struttura a pianale rinforzato con elementi scatolati e carrozzeria “appoggiata”, il cofano motore triangolare coi parafanghi anteriori separati e le ruote posteriori carenate la dicono lunga, anche perché sono soluzioni comunque obsolete per la seconda metà degli anni Sessanta.

Nonostante tutto, le linee squadrate, il pratico portellone posteriore e le fiancate concave riescono a conferirle una decisa identità. Proprio le fiancate rappresentano uno dei lampi di genio dei progettisti francesi: oltre a conferire un’andatura personale e distintiva alle superfici, grazie alla loro conformazione svolgono una funzione preziosa, quella di ridurre la rumorosità interna, permettendo così di risparmiare il peso e i costi di eventuali pannelli fonoassorbenti.

Un taglio ai costi invece poco gradito è quello relativo all’assenza della terza luce laterale, limitante soprattutto nelle manovre in retromarcia. Per il resto, le doti di praticità sono quelle già note alla clientela Citroën: il cambio è a ombrello e lascia sgombro il pavimento, il bagagliaio è abbastanza capiente (250 litri), grazie alle molle elicoidali longitudinali il molleggio è a prova di mulattiera, i sedili spartani sono robusti e si smacchiano con facilità, strumentazione (solo tachimetro e contachilometri) ed equipaggiamenti sono ridotti al minimo... e tutto quello che non c’è, non si guasta.

Un upgrade pratico arriva invece alla voce tetto apribile: sulla Dyane si sblocca più comodamente dall’interno, mentre sulla 2CV avviene il contrario. Al debutto la Dyane viene proposta in due livelli di allestimento, il base, curiosamente denominato “Luxe”, e il (relativamente) più accessoriato “Confort”, che si distingue per la panchetta anteriore regolabile con la struttura tubolare totalmente rivestita e i pannelli porta con braccioli e tasche portaoggetti. Per entrambe l’unità propulsiva è la medesima della 2CV, un bicilindrico da 425 cc e 21 CV SAE a trazione anteriore, abbinato a un cambio manuale a 4 rapporti.

Anche sul fronte sospensioni nulla di nuovo: ruote indipendenti su entrambi gli assi con tiranti longitudinali, bracci oscillanti, molle elicoidali longitudinali che collegano avantreno e retrotreno e ammortizzatori a frizione. I freni sono a tamburo sulle quattro ruote, quelli anteriori inboard, senza servocomando al pari dello sterzo. Spartani pure l’impianto di riscaldamento ad aria, quindi funzionante solo a vettura in movimento, e la lista degli optional, che per entrambe le versioni prevede soltanto la frizione centrifuga, i sedili anteriori separati, le cinture di sicurezza anteriori e la panchetta posteriore ribaltabile.

Al lancio la Dyane non sfonda: la clientela non sente ancora il bisogno di sostituire la 2CV, rispetto alla quale il nuovo modello è più lento, costa e consuma di più. La Casa cerca di correre ai ripari già a gennaio 1968, lanciando la nuova e più brillante Dyane 6, spinta dal bicilindrico da 602 cc della più grande Ami 6. Grazie alla potenza di 28 CV (SAE), la nuova versione tocca i 110 km/h, dieci in più rispetto alla variante “lenta”, che pure è oggetto di aggiornamenti.

Dopo un paio di mesi infatti, il modello di ingresso diventa Dyane 4 e monta un motore da 435 cc per 26 CV (SAE), migliorando così le scarse prestazioni iniziali. Ma anche qui servono degli aggiustamenti: le versioni 4 e 6 sono infatti troppo vicine per potenza e prestazioni, e a settembre il bicilindrico della 6 viene potenziato a 33 CV (SAE). In questi mesi, la Dyane fa il suo debutto sul mercato italiano (dove la 2CV non è importata) col curioso nome di Dyanissima, abbandonato nel giro di poco per unificarsi al resto d’Europa.

Eppure, nonostante piccoli e continui aggiustamenti, e le discrete performance commerciali, la Dyane non riesce a scalfire la concorrenza interna della 2CV. Nel 1970 si prova a rinfrescarla ancora, potenziando ulteriormente il motore della 6 a 35 CV (SAE), montando l’alternatore al posto della dinamo, aggiungendo finalmente il terzo finestrino laterale, rinnovando i tessuti interni e aggiornando le sospensioni con i più moderni ammortizzatori idraulici. Ma niente da fare, la sorella dallo stile vintage è imprendibile, pur considerando che la Dyane all’epoca giova di alcune tra le campagne pubblicitarie più interessanti e creative mai realizzate, soprattutto in Italia.

Ci si riprova nel 1974, con un restyling che prevede una nuova calandra in plastica al posto della precedente cromata a nido d’ape, nuovi stemmi cromati anziché dorati e nuovi paraurti in acciaio inox con inserti in gomma nera; all’interno vengono spostati alcuni comandi, si rinnovano ancora i tessuti dei sedili, ora coordinati ai pannelli, e il volante a due razze viene sostituito da un monorazza imbottito.

La concomitanza tra gli aggiornamenti e la crisi petrolifera, che sposta l’interesse sui modelli più economici, porta la vettura al suo record di sempre, con un totale di 126.850 esemplari immatricolati alla fine dell’anno. Tra il 1975 e il 1977 l’irrequieta gamma Dyane è ancora oggetto di aggiornamenti: la 4 esce dai listini e sulla superstite 6 vengono aggiornati sterzo e sospensioni, ora dotate di nuovi ammortizzatori telescopici anche all’avantreno, ed ennesimi aggiornamenti interessano i rivestimenti interni e la cartella colori della carrozzeria. Vengono infine rivisti il tachimetro e il volante monorazza, di nuovo disegno e ora nero, come il cruscotto, in luogo del precedente marrone.

Nel 1978 il lancio della versione furgonata Acadiane, praticamente una 2CV furgonata aggiornata con l’anteriore della Dyane, porta al debutto le portiere anteriori coi finestrini discendenti che, curiosamente, arriveranno sulla berlina solo nel 1983. Nello stesso 1978 i freni anteriori diventano a disco (sempre entrobordo) e, ancora, si aggiorna la gamma colori, con la comparsa della prima e unica tinta metallizzata, il rarissimo Beige Opale, commercializzato per un solo anno. Le linee di montaggio a Levallois si fermano nel 1982, ma la produzione continua negli stabilimenti in Spagna e Portogallo. Le ultime modifiche arrivano nel 1983: oltre ai suddetti finestrini discendenti, i paraurti passano da cromati a grigi e cambia la fattura delle targhette identificative, sempre però a destra del portellone. L

a potenza dichiarata scende sorprendentemente da 32 a 30 CV DIN. Poca cosa, ma siamo ormai alle battute finali: la produzione si ferma a giugno, le vendite sopravvivono ancora qualche mese, scavallando l’inizio del 1984 con gli ultimi 570 esemplari (il totale ammonta a 1.444.583). La 2CV, invece, prosegue imperterrita la sua lunghissima carriera (42 anni!) fino al 1990, quando si fermerà a quota 5.118.889 unità. Verdino che piace L’occasione per ripercorrere la storia della Dyane ci viene fornita da un appassionato pontino, Luigi Ascenzi, vice presidente del CLAS, Circolo Latina Automoto Storiche, federato ASI. L’idea di trovare e restaurare da zero una Dyane nasce da un moto di nostalgia: da ragazzo Luigi ne ha posseduti due esemplari come auto da uso quotidiano, coi quali ha affrontato diversi viaggi, anche impegnativi.

La prima arriva nel 1978, appena patentato, una 4 color sabbia con gli interni marroni. “Era una disperazione - racconta - all’epoca erano frequenti le scampagnate sui Monti Lepini con gli amici e in salita non c’era verso di fare più di trenta all’ora: la seconda marcia soffriva, tirata fino alla morte, mentre con la terza il motore non riusciva a salire. Dopo due anni fui vittima di un brutto tamponamento e la macchina finì distrutta. La sostituii con una 6 giallo limone, coi freni a disco, che ho tenuto per quattro anni. All’epoca lavoravo a Trieste, e facevo tranquillamente Latina-Trieste e ritorno tutte le settimane, scegliendo di volta in volta se in autostrada o sulle provinciali.

Se non trovavo inconvenienti impiegavo una mezza giornata, e scegliendo l’autostrada non cambiava granché, perché il tragitto era più lungo e costoso, ma la velocità di punta rimaneva quella. Ma non mi limitavo alle trasferte settimanali: un anno, in quattro amici, abbiamo fatto tutti i maggiori passi alpini della Svizzera, esperienza che ricordo con grande piacere.” E com’era affrontare distanze del genere con la Dyane? “Mah, non era importante. Quando sei giovane, sei tra amici e hai fame di vedere il mondo, va bene qualsiasi mezzo. Con la mia Dyane o con quelle di altri amici, siamo stati anche in Austria, Francia, Olanda, Inghilterra e, ovviamente, in giro per l’Italia. Erano altri tempi, sia intesi come epoca, sia come tempi che scandiscono la vita. Si viveva più lentamente e, forse, meglio.” Com’era percepita la Dyane all’epoca? “Fa sorridere raccontandolo oggi, ma all’epoca era ‘moderna’: era appena uscita, era ‘nuova’, era comoda e capiente e, rispetto alla 2CV, era più confortevole e meglio rifinita.

È una macchina che non mi ha mai lasciato a piedi, neanche una volta. E poi è stata l’auto con cui ho conosciuto mia moglie Alessandra, e con la quale abbiamo fatto le prime scampagnate e i primi viaggi. Anche per questo è legata a tanti momenti importanti della mia gioventù.” E per questo hai deciso di regalartene un’altra. “Esatto ed è del 1983. L’ho vista nel cortile di una scuola, era malconcia, mi ha colpito per il colore (AC 539 verde giada), bellissimo, e ho deciso di salvarla.”

Ed è partito il restauro. “Sì, ho fatto gran parte dei lavori da me, prima ho separato la carrozzeria dal telaio e poi l’ho smontata vite per vite. Ho rifatto l’impianto elettrico, sostituito frizione, strumenti, tappezzeria. Ho cambiato alcuni lamierati e ho montato una nuova capote. Non c’è un pezzo che non sia stato sostituito o revisionato.

Oggi va come un’auto nuova... è lentissima ma la adoro.

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