30 June 2022

Innocenti Mini Cooper (1972), piccole gioie

La Mini di prima generazione, per molti l’unica “vera” Mini, è un caposaldo della storia dell’automobile. Nata da un progetto della BMC (British Motor Corporation) e prodotta per oltre 40 anni, è stata realizzata e venduta su licenza da diverse Case automobilistiche in vari Paesi; tra queste, come tanti ricorderanno, anche la nostra Innocenti di Lambrate....

Nata da un progetto della BMC (British Motor Corporation) e prodotta per oltre 40 anni, è stata realizzata e venduta su licenza da diverse Case automobilistiche in vari Paesi; tra queste, come tanti ricorderanno, anche la nostra Innocenti di Lambrate.

La Mini arriva sul mercato (anche) per contrastare l’aumento del costo dei carburanti successivo alla crisi di Suez del 1956, proponendo un veicolo che, seppur estremamente compatto, fosse una vera automobile, un’alternativa più matura rispetto alle tante microcar e bubblecar fiorite negli anni Cinquanta per favorire il diffondersi di una nuova mobilità economica.

Il compito affidato all’ingegnere greco Alec Issigonis dai vertici della BMC prevede infatti la progettazione di un veicolo sì piccolo, ma con quattro posti, quattro ruote e quattro cilindri, equipaggiato con lo stesso propulsore dell’Austin A35.

Il genio creativo di Issigonis crea un oggetto rivoluzionario, con un rapporto tra ingombri esterni e abitabilità interna mai visto prima: merito di alcune soluzioni decisamente moderne per gli anni Cinquanta, come le ruote piccole (solo 10 pollici) aggrappate a sospensioni indipendenti e piazzate ai quattro angoli del pianale, il serbatoio benzina nel baule, il motore anteriore-trasversale con cambio montato sotto di esso e coppa dell’olio unica, il radiatore laterale e la trazione anteriore. Tutto il pacchetto, finito, occupa appena 3,03 metri.

Geniale! Doppia identità La Mini viene lanciata alla fine di agosto del 1959 come Austin Seven e Morris Mini-Minor, negli allestimenti standard e De Luxe. Dopo un avvio leggermente incerto inizia a spopolare, per l’aspetto originale ma anche per le ottime doti dinamiche: nonostante una posizione di guida da subito associata a quella dei veicoli commerciali, con le gambe forzatamente piegate e il volante orizzontale, la vettura tiene la strada decisamente meglio della concorrenza, al punto da iniziare a comparire nel giro di poco sui campi di gara.

Il successo porta in breve all’allargamento della gamma, nel 1960 con la versione familiare (prima con listelli decorativi in legno e successivamente interamente metallica) e nel 1961 con una variante tre volumi, per la verità non particolarmente aggraziata, commercializzata stavolta coi marchi Wolseley e Riley, pure appartenenti alla BMC.

Il 1961 è però ricordato principalmente per il lancio della Mini Cooper, variante sportiva elaborata da John Cooper, titolare dell’omonimo team di Formula 1. Seppur oggetto di un’elaborazione non troppo spinta, con un motore di cilindrata aumentata da 848 a 997 cc, alimentato da due carburatori SU con una potenza di 55 CV, i freni anteriori a disco e assetto più rigido, la ricetta applicata da Cooper apre la strada ad un autentico mito, legato, tra gli altri, al rally più famoso del mondo, quello di Monte-Carlo.

Già nel 1963 la Mini Cooper di Timo Makinen si aggiudica infatti la vittoria di classe; nel 1964 viene lanciata la nuova Cooper S con motore di 1.071 cc e ben 70 CV e, con la versione “corsa” da circa 85 CV, Patrick Barron Hopkirk a Monte-Carlo centra addirittura la vittoria assoluta.

Un trionfo che porta la piccola inglesina all’apice della popolarità e che le vale un nuovo aggiornamento dell’offerta sportiva, con la Cooper portata a 998 cc e 55 CV, e addirittura due nuove Cooper S: la 1.0, con motore da 970 cc e 65 CV, e la 1275, con motore appunto da 1.275 cc e 76 CV, che vanno ad affiancare nei listini la precedente versione da 1.071 cc, permettendo così alla Mini di competere in diverse categorie.

La Cooper S 1275 replica il successo al Rallye Monte-Carlo nel 1965 (vincendo pure il Campionato europeo), nel 1966 (anche se viene poi squalificata per un’irregolarità nei fanali) e ancora nel 1967, momenti culmine di una serie di vittorie incredibili che spaziano dalla Grecia dell’Acropolis alla Finlandia del 1000 Laghi.

A partire dal 1965 la Mini guadagna anche il passaporto italiano: parte infatti la produzione dell’omonima versione assemblata su licenza dalla Innocenti, negli stabilimenti milanesi di Lambrate.

La Innocenti Mini nasce sull’onda del successo mediatico ottenuto dal modello per i grandi risultati sia commerciali che sportivi della prima metà degli anni Sessanta, la cui eco arriva forte e chiara anche nel nostro Paese. Rispetto alle versioni inglesi, le Mini marchiate Innocenti sono meglio accessoriate e contraddistinte da diversi particolari specifici, come le cornici fari, la calandra maggiorata e il baule posteriore sagomato per ospitare le nostre targhe quadrate.

Diverse specificità sono dovute al fatto che parte della componentistica delle Innocenti Mini è prodotta da fornitori italiani, altre invece sono frutto di scelte tecniche specifiche, come ad esempio l’adozione di un rapporto al ponte più lungo e del servofreno su tutte le Cooper, mentre le Mini made in UK lo montano solo sulle Cooper S. Nel 1967 BMC lancia la seconda serie della Mini, la Mk2. Si tratta di un aggiornamento curioso, perché riguarda poche modifiche talvolta disomogenee a seconda della versione e dell’allestimento.

Provando a riassumerle, almeno per le berline, diciamo che includono una nuova calandra più grande, un nuovo lunotto più ampio, luci posteriori maggiorate di forma squadrata e nuovi rivestimenti interni monocolore. Sulle meglio rifinite berline tre volumi arrivano i vetri laterali discendenti e le porte lisce, mentre sulle carrozzerie “corte” resistono curiosamente i caratteristici quanto antiquati scorrevoli e le cerniere porta esterne.

Nel 1969, in concomitanza con la cancellazione delle ricche Wolseley Hornet e Riley Elf, il gruppo BMC, nel frattempo evoluto in British Leyland, trasforma Mini in un marchio separato, abolendo la doppia denominazione dei modelli marchiati Austin e Morris.

L’eliminazione delle due varianti più rifinite della gamma porta a un innalzamento del livello di finiture delle due volumi, che prevede finalmente l’adozione delle nuove porte senza cerniere e con vetro discendente, l’aggiornamento delle sospensioni e il quadro strumenti ovale a centro plancia per tutte le versioni. Il tutto è coronato con l’introduzione di una nuova versione top di gamma: è la Clubman, contraddistinta da un inedito frontale squadrato e allungato e dagli interni ridisegnati.

Un allestimento esteso anche alla versione wagon, in questo caso ribattezzata Estate e decisamente più gradevole della berlina, dove il nuovo muso mal si integra con le forme tondeggianti di un corpo vettura concepito oltre 10 anni prima. La Clubman ha pure la sua variante sportiva, la GT, mossa da un 1.275 cc simile a quello della Cooper S, ma con alcune differenze tra cui un solo carburatore e 58 CV.

Nel 1970 la gamma delle Cooper inglesi è razionalizzata, lasciando a listino la sola S 1300 da 76 CV, proposta in colorazione unica anziché con tetto a contrasto come in passato.

Sono più raffinate
La produzione delle Innocenti Mini della seconda metà degli anni Sessanta ricalca abbastanza fedelmente gli aggiornamenti delle sorelle inglesi, con la produzione delle Mk1 dal 1965 al 1967 e delle Mk2 dal 1967 al 1970, con le relative versioni Cooper introdotte nel giro di 12 mesi dal lancio. Rispetto alle Mini inglesi le Cooper nostrane adottano, come abbiamo visto, soluzioni più raffinate, per soddisfare una clientela evidentemente più esigente; piccole specificità che rendono le Mini italiane oggi assai ricercate anche dai collezionisti britannici.

Oltre alle differenze già citate, dopo i primi esemplari sulle Cooper made in Innocenti la strumentazione diventa più ricca e completa, e comprende addirittura cinque indicatori: il termometro acqua, il livello di carburante, il manometro olio, il contagiri e il tachimetro con contachilometri. Diversi sono i rivestimenti della palpebra superiore della plancia e dei sedili, che hanno pure un’imbottitura di forma differente, e specifico è anche il volante sportivo, prima in bachelite nera e successivamente un Hellebore a tre razze rivestito in pelle.

Sotto il cofano la Mini italiana diventa più potente (60 contro 56 CV) e conquista la prima marcia sincronizzata. Dal 1970 al 1972 in Italia si vende la Innocenti Mini Mk3; attraverso una serie di aggiornamenti meccanici e di allestimento, il modello resiste fino al 1975, anno in cui l’Innocenti interrompe la produzione della Mini inglese proseguendo con la sola gamma con carrozzeria disegnata da Bertone col portellone posteriore.

Oltremanica la scelta sarà opposta, con la cancellazione della Clubman e la prosecuzione del filone classico, che durerà come abbiamo visto fino alla soglia del nuovo millennio. Quanto divertimento Alle ultime serie delle Mini Cooper italiane appartengono i due esemplari di questo servizio, dalla storia limpida e piuttosto genuini; si tratta di una Cooper 1300 del 1972 e di una Cooper 1300 Export del 1973. Anche se idealmente si collocano nel filone delle Mk3, la denominazione ufficiale della serie viene abbandonata dalla Innocenti a partire dal 1972.

Le vetture ci sono state messe a disposizione dalla Coopermans.it di Paderno d’Adda e le abbiamo scelte perché ci permettono di valutare da vicino le differenze tra due allestimenti all’apparenza simili, ma in realtà distinti da tanti piccoli particolari.

Grazie al motore più brillante della serie e alle proverbiali doti di agilità e tenuta di strada, le vetture vanno entrambe benone: veloci, stabili e rotonde nell’erogazione, non presentano differenze apprezzabili. Su strada la Mini è divertentissima, si sa, e le 50 primavere che si portano sulle spalle queste “signorine” quasi non si sentono: la guida è precisa, diretta, rapida, entusiasmante.

Ricorda un go-kart. Il cambio è veloce e “corto”, quasi corsaiolo. Meno godibile la frizione, la cui ridotta escursione penalizza la modulabilità in partenza. La frenata è all’altezza della situazione, grazie al peso ridotto e all’impianto coi dischi anteriori, decisamente più efficaci dei tamburi montati su altre Mini.

Le uniche pecche sono, come anticipato, la posizione di guida raccolta, non particolarmente pratica e comoda per i più alti, i quali si ritrovano le gambe incastrate tra volante e pavimento, e una discreta tendenza del retrotreno a prendere iniziative quando si frena in curva. Ma, come spesso succede per le auto storiche, quelli che all’epoca erano considerati difetti, giudicati con gli occhi di oggi diventano elementi di “carattere”.

Come il comfort, ad esempio, che è davvero minimo: ruote piccole e passo corto amplificano le asperità del terreno, lastricati o pavè danno l’effetto di un terremoto che attraversa tutto l’abitacolo e se fumate una sigaretta sarà quasi un’impresa centrare il posacenere (quindi evitate…).

Persino un viaggio di 200 km di autostrada metterà a dura prova il fisico degli occupanti, ma alla fine è così importante questo aspetto? Secondo noi basta dare una occhiata alla meravigliosa strumentazione per compiacersi di aver comprato una di queste Mini, alla faccia del mal di schiena! Cosa cambia Ma analizziamo in dettaglio le due vetture e le relative differenze.

Le Export e Cooper Export vengono vendute a partire dal 1973, sostituendo le analoghe versioni prodotte tra il ‘70 e il ‘72 con nuovi allestimenti unificati pensati in ottica di esportazione. Mentre fino ad allora la distribuzione delle Innocenti era prettamente nazionale, con le nuove politiche del gruppo British Leyland si consente invece alla Casa di Lambrate di commercializzare le Mini italiane anche su altri mercati europei: Germania, Olanda, Belgio, Francia e Svizzera.

A livello meccanico la differenza più rilevante è data dalla meccanica del cambio, che sulla Cooper è del tipo cosiddetto “a ciabatta”, come sulle precedenti Cooper e Cooper S inglesi, mentre sulla Export è di tipo più moderno con leveraggi esterni e una migliore manovrabilità.

Cambia poi lo scarico, che sulla Cooper esce sul lato sinistro della coda, mentre sulla Export diventa centrale, e cambia pure l’impianto frenante, a circuito singolo sulla Cooper e doppio sulla Export. Esternamente le due versioni sono quasi identiche: cambiano le scritte e gli stemmi, dato che la versione per il mercato interno è marchiata Innocenti mentre la Export è Leyland Innocenti, e su quest’ultima si notano i parafanghini in plastica, applicati sulle Export a partire dal telaio n. 560.000 circa, abbinati alle gomme con larghezza 165 in luogo delle 145.

L’ultima differenza riguarda i retrovisori esterni, ma si tratta in entrambi i casi di prodotti aftermarket montati negli anni 70: tutti e due questi esemplari ne sono usciti dalla fabbrica privi, non essendo all’epoca obbligatori. Tra le Cooper e le Cooper Export cambiano anche alcuni colori esterni, ma ogni caso restano le combinazioni a due tinte, negli stessi anni già abbandonate sulle Mini inglesi. In genere il colore dell’interno è abbinato al colore del tetto, quindi tetto nero con interno nero e tetto chiaro con interno beige, come troviamo sulla nostra Cooper in color “Castoro 72” con tetto “Sabbia 72” e sedili chiari. L’unica eccezione della gamma è rappresentata dalla tinta “Bluette 73”, che troviamo sulla nostra Export, e che, pur avendo il tetto “Bianco Avorio 11 68”, monta correttamente gli interni neri.

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