a cura di Redazione Automobilismo - 22 July 2018

Marchionne visto da vicino

Duro, spietato, lavoratore infaticabile. In Fiat capirono subito di che pasta era fatto Sergio Marchionne quando, nel 2004, sbarcò a Torino.

Parlava pochissimo, viveva praticamente nel suo ufficio al quarto piano del Lingotto. La sera, di solito tardi, cena con la scorta a Eataly, il centro enogastronomico fondato da Oscar Farinetti che era a 200 metri dal suo ufficio. Oppure in pizzeria, in via Nizza (anche quella a due passi) o in alternativa da Cristina, in corso Palermo. La mattina dopo, magari appuntamento sulla pista di Caselle alle 4,30 per sfruttare il fuso e arrivare a Detroit in tempo per riunioni e lavoro. Per farla breve: a Torino era sbarcato un marziano. Quando Marchionne arrivò a Torino raccontò di essere “rimasto allibito dalle condizioni di lavoro cui erano costretti i dipendenti del gruppo”. Di conseguenza ordinò di rifare le mense e migliorare tutti i locali a partire dai bagni.

Marchionne divenne personaggio quando mollò giacca e cravatta per un comodo maglione scuro giro collo. Quando, nel gennaio 2010, si presentò al Salone di Detroit per la prima volta nella veste di numero uno di Chrysler, ricordo bene cosa mi disse, sorridendo compiaciuto, un poliziotto americano: “Lei è italiano, come Marchionne: l’ho visto in tv, che tipo strano, è la prima volta che vedo un top manager con il maglione”. Poi aggiunse: “Ho visto sullo stand Chrysler una macchina piccola (era una Lancia Delta con il marchio Chrysler n.d.r). Le dirò: non sarà facile per Marchionne convincere noi americani a comprare macchine meno grosse perché consumano meno: cosa ce ne facciamo, se non ci possiamo caricare nulla”.

Marchionne è sempre stato così: un manager che oltre a tagliare e risanare, spiazzava. “L’Alfa Romeo MiTo ha le qualità di una Bmw”, "C'è ancora gente che sogna un'Alfa che non può più esistere" ci disse nel 2010 a Detroit. Raccontano che non volesse fare la 500, perché la considerava un doppione della Panda: fu Lapo a insistere per farla. Chi ha lavorato con Marchionne non ha mai avuto vita facile, perché era sempre sotto esame: superato uno, si passava all’altro: “Dei miei collaboratori faccio valutazioni continue, ogni giorno do loro i voti. Oggi è otto, domani magari cinque”. "Io però pago il prezzo di tutti quelli che hanno mangiato al tavolo prima di me", diceva sfogandosi. Aggiungendo: “a tutti dico, attenti. A chi si siede io gli tolgo la sedia di sotto". Quando si presentò in Chrysler, disse ai manager: “chiamatemi pure Sergio”. Quando riferii questa battuta ad uno dei suoi manager in Fiat, la risposta fu “magari potessi anche io chiamarlo Sergio”.

In America i lavoratori della Chrysler lo adoravano: facevano a gara a farsi i selfie con lui quando si presentava in catena di montaggio. In Italia, invece, Marchionne con i sindacati ha sempre litigato. Eppure, come disse una volta, “abbiamo trasferito la produzione della Panda dalla Polonia a Pomigliano, anche se l’operazione, dal punto di vista della produttività industriale, non aveva molto senso”. Del Marchionne uomo si è sempre saputo poco, schivo com’è. Chiesi al suo portavoce di poter raccontare una giornata con Marchionne a Detroit. “Non esiste. Marchionne ha detto no anche ai media americani. Non è né vuole essere personaggio”. Qualcosa in più si sa del Marchionne driver. “E’ un pistaiolo” mi disse Antonio Baravalle, amministratore delegato di Alfa Romeo fino al 2008. Montezemolo confermò, dopo un giro in pista a Fiorano su una Ferrari guidata da Marchionne: “Con lui in macchina non ci salgo più, guida come un matto”. Marchionne invece si giudicava diversamente: “C'è una persona a Fiorano che si chiama Benuzzi ed è un grandissimo collaudatore. Ogni volta che lo vedo vuole che provi le macchine. Ha insistito perchè provassi la nuova 488 GTB, l'ho provata e l'ho guidata da ciofeca: mi sono vergognato. Meno male che non c'erano tanti spettatori in giro per osservare il casino che ho fatto. Però l'ho fatto, la macchina c'è".

Il 1° giugno scorso Marchionne ha presentato, con il piano industriale 2018-2022, il futuro dei marchi del Gruppo FCA e ha annunciato l’azzeramento del debito con 6 mesi di anticipo: un risultato, quest’ultimo, impensabile se non addirittura inimmaginabile fino a qualche anno fa. Nel suo discorso conclusivo, alla fine, per un attimo si era pure commosso: strano, da uno come lui, capace di far fuori in un nano secondo uno qualsiasi dei suoi tanti manager. Comunque venga giudicato, Marchionne passerà alla storia come il manager che ha salvato la Fiat e l’ha rilanciata: gli va riconosciuto.

Gabriele Canali

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