29 August 2016

EPOCA: Porsche 959, la prima delle supercar

Oltre trent’anni fa a Stoccarda decisero di vendere la propria Gruppo B. Era l’auto più veloce del mondo e costava quasi mezzo miliardo...

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Può darsi che sia come racconta la storia ufficiale, e cioè che la Porsche 959 sia nata solo con lo scopo di omologarla in Gruppo B e farla gareggiare; ma, secondo noi, è sufficiente guardarne la versione stradale per capire che si tratta della più clamorosa “sberla” che si possa concepire sulla faccia dei concorrenti. Un obiettivo che riteniamo, quindi, non secondario per il reparto di ricerca e sviluppo della Porsche a Weissach. Questo progetto nasce in quel covo di tecnici sopraffini nel 1982, poco dopo la definizione del regolamento del nuovo Gruppo B destinato a riunire in sé, superandoli, i Gruppi 4 e 5 comprendendo vetture costruite in non meno di duecento esemplari.

Il primo prototipo, già molto simile alla vettura definitiva, è esposto al Salone di Francoforte del 1983 con la denominazione “Gruppe B”; dopo di che il lungo iter di messa a punto fece sì che la versione di produzione si facesse attendere fino al Salone di Francoforte del 1985. Quasi contemporaneamente la 959, in versione appositamente preparata e denominata 953, debutta al Rally dei Faraoni dove vince, pilotata dal principe del Qatar Saeed al Hajri, rifilando tre ore di distacco alla Mercedes GE classificatasi seconda; impresa che si ripete e migliora a inizio 1986 con la doppietta alla seguitissima Parigi-Dakar: Renè Metge/Dominique Lemoyne 1° e Jacky Ickx/Claude Brasseur 2°. Sancita oltre ogni ragionevole dubbio l’efficacia della 959 nei massacranti Rally Raid africani, la Porsche desidera conferme anche in pista, iscrivendo un esemplare appositamente preparato (denominato 961) a Le Mans 1986; per poter conservare la trazione integrale si decide di partire nella classe IMSA-GTX, con regolamento più permissivo, e così, ventiquattr’ore dopo, ci si ritrova ad averla vinta conquistando, tra l’altro, il sesto posto assoluto.


A fine 1986, com’è noto, il Gruppo B è archiviato per manifesta pericolosità e così alla Porsche non resta altra incombenza, relativamente alla 959, di venderne gli esemplari stradali cercando di minimizzare la perdita economica che, per quanto messa in conto, era diventata seccante vista l’impossibilità di valorizzarne i risultati sportivi. L’impresa si rivelò facilissima, in quanto bastò alla clientela sapere che, accanto alle note qualità Porsche, con la 959 ci si portava a casa l’auto stradale più veloce del mondo.

Le sue prestazioni complessive, in effetti, sono state superate solo di recente: si parla di 317 km/h cronometrati e 21,6 secondi sul chilometro da fermo; la concorrente dell’epoca, la Ferrari 288 GTO, non poteva impensierirla minimamente, nonostante l’impostazione molto meno “amichevole”, e perfino la successiva, spartana e corsaiola Ferrari F40 aveva il suo bel daffare per non perderla di vista.

E tutto questo con la consueta capacità Porsche di essere una piacevole compagna anche nella vita di tutti i giorni; nel caso della 959, il raggiungimento di tale straordinario obbiettivo è il frutto di due fattori concomitanti: la stretta derivazione del progetto dalla Porsche 911 e la sua estrema sofisticazione tecnologica. È subito evidente come il relativamente ampio abitacolo della 911, con il suo bel parabrezza in piedi e solo marginalmente sacrificato dal maggiore ingombro del tunnel della trazione integrale, possa consentire agevoli accesso e sistemazione a due adulti con la loro coppia di bambini, oppure con il bagaglio adatto a una settimana di vacanza; bambini possibilmente composti oppure valige che si auspicano di grande firma per non sfigurare con la magnifica pelle dei sedili e con la qualità generale dell’abitacolo, ancora superiore a quella, già alta, delle “comuni” Porsche.

Meno ovvio il lavoro che sta dietro alla serena fruizione, anche urbana, di un mostro di questo genere: è di questo che vogliamo parlare poiché, sperando di non essere noiosi, questa volta vogliamo proprio tentare di descrivere in profondità le meraviglie tecnologiche di questa macchina in quanto crediamo che, fino al debutto della Bugatti Veyron 16.4 (guarda caso proveniente dalla stessa parrocchia), nessuna auto ne abbia mostrate così tante tutte insieme.

SELEZIONE

Cominciamo dall’esterno, dove troviamo la carrozzeria formata da pannelli in kevlar, salvo le parti mobili che sono in alluminio e il fascione anteriore in poliuretano; tutto l’insieme, non bellissimo ma certamente impressionante, porta a un Cx di 0,31 molto favorevole, quello della 911 Carrera 3.2 si ferma a 0,39, pur in presenza di una sezione posteriore allargatissima per far posto alla meccanica e agli enormi pneumatici. La scocca sottostante è in acciaio galvanizzato con pannelli di rinforzo in materiale composito; è ad essa che sono collegate le inedite (per una Porsche stradale) sospensioni: quadrilateri sui due assali e due ammortizzatori Bilstein per ogni ruota, uno dei quali contenuto in una molla elicoidale; accanto ad essi vi è la piccola unità idropneumatica che serve ad azionare il sistema di regolazione dell’altezza in stile Citroën.

Il livello può andare dai dodici ai diciotto cm dal suolo, passando per la posizione intermedia di quindici, a seconda delle necessità del tracciato, ed è selezionabile attraverso una manopola sul tunnel centrale posizionata accanto a quella di regolazione della “durezza” degli ammortizzatori; in ambo i casi soltanto la velocità può interferire con quanto deciso dal pilota riportando, dopo i 150 km/h, i parametri alle maggiori durezza e vicinanza al suolo tra quelli disponibili. I freni, di potenza sovrabbondante, sono i componenti meno d’avanguardia della macchina in quanto i materiali compositi in questo settore, almeno sulle auto di serie, erano ancora di là da venire; un particolare d’eccellenza comunque c’è: un sistema ABS, studiato insieme con i tecnici di Webco Westinghouse, che funziona, grazie all’uso di microprocessori, anche con i differenziali bloccati.

Per concludere il capitolo ruote segnaliamo la presenza di particolari pneumatici “run flat” Dunlop Denloc che sono in grado di segnalare sul cruscotto, prima auto in assoluto, qualsiasi perdita di pressione attraverso due sensori per ognuno dei magnifici cerchi in magnesio da 17”. Passiamo poi al pezzo forte della 959, quello che ne fa la capostipite di tutte le Carrera 4 successive: la trasmissione a quattro ruote motrici. Si tratta di una prodezza ingegneristica di assoluto valore: un insieme di tre differenziali controllati da centralina elettronica che riceve i dati dai sensori dell’ABS, i quali fanno sì che, in ogni momento, ogni ruota riceva la quantità di potenza che è in grado di scaricare sull’asfalto in base al suo coefficiente di aderenza.

Cuore del sistema è il differenziale centrale a lamelle tipo Haldex che si incarica di inviare dal 20 al 40% della trazione all’avantreno per poi potersi, però, bloccare totalmente all’occorrenza; per capire la cura con la quale il tutto è stato concepito basti pensare che si è pensato di rendere il diametro delle ruote anteriori appena superiore a quello delle posteriori così da mantenere il giunto viscoso (che costituisce il differenziale centrale) sempre in azione mediante un lieve slittamento e renderne così immediata la reazione. Il pilota, dal canto suo, tramite una levetta sul piantone può selezionare preventivamente le condizioni di marcia a seconda di quelle della strada (asciutto, bagnato, neve, ghiaccio) con accensione delle relative spie sul cruscotto raggruppate, insieme agli indicatori della ripartizione della coppia, nel primo indicatore a destra della strumentazione, quello che sulle 911 contiene l’orologio analogico. Quest’ultimo sulla 959 è digitale ed è stato spostato sul tunnel centrale.

PRESSIONE

Le condizioni d’aderenza sono un argomento piuttosto importante, visti i 450 CV a 6500 giri sviluppati da un motore che, per quanto lontanamente derivato da quello della 911 Carrera 3.2, compreso il ventolone verticale per il raffreddamento dei cilindri, mostra significative differenze: innanzitutto le teste sono raffreddate ad acqua poiché non era possibile, per ragioni di spazio, alettarle adeguatamente vista la presenza di quattro valvole per cilindro a regolazione idraulica e due alberi a camme per bancata; teste affollate al punto che anche le candele devono essere rimpicciolite a 12 mm di diametro invece dei canonici 14.

La cilindrata è ridotta a circa 2,85 litri, limite massimo previsto per il Gruppo B, attraverso la riduzione della corsa mentre due turbocompressori, serviti ognuno da un intercooler, sono collegati, uno per parte, ai collettori di scarico con una soluzione che ritroveremo solo sulla Turbo 993; inusitatamente elevata la pressione di sovralimentazione, che tocca i 2,1 bar contro, per esempio, 1 bar della 930 Turbo. Il funzionamento dei turbo è molto interessante, ancora una volta gestito da microprocessori: ai bassi regimi di rotazione, oppure in condizioni di carico parziale, funziona solo la girante di destra, mentre l’altro interviene in aiuto quando si desidera scatenare l’inferno che si nasconde nell’ultima parte di corsa dell’acceleratore della 959; risultato di questa divisione dei compiti è una marcia molto più fluida, nonostante l’impressionante potenza specifica di circa 158 CV/litro, rispetto a quella consentita dai comuni motori sovralimentati dell’epoca.

A garanzia dell’affidabilità che ci si aspetta da una Porsche vi è la dichiarazione dei tecnici relativa al regime di sicurezza, a 8.000 giri, confermata dalla taratura del limitatore che interviene a 7.600, e una circolazione di lubrificante che ha pochi riscontri: diciotto litri la capacità del serbatoio, pistoni raffreddati con getti d’olio, cinque pompe in azione per assicurarne la circolazione nel motore nonché pompa e radiatore dedicati per l’olio del cambio. Componente, quest’ultimo, che trattiamo ora a parte rispetto al resto del reparto trasmissione, in quanto titolare di una particolarità che val la pena descrivere: primo sei marce montato su un’auto stradale, si è dovuto scontrare con le procedure tedesche di omologazione che prevedevano il controllo della rumorosità al regime massimo nel rapporto più basso; sicuri di non riuscire a superarlo con la prima, i tecnici Porsche hanno battezzato questo rapporto “G” (per “Gelande”, cioè “Fuoristrada”) e lo hanno poi sostituito surrettiziamente con la seconda, un rapporto da oltre 100 km/h, e così il gioco fu fatto; un modo di agire poco… germanico (ma anche i tedeschi, quando vogliono, usano tattiche che noi Italiani riteniamo essere di nostra esclusiva).

L’importante è che l’auto i sei rapporti li abbia davvero e tutti perfettamente sfruttabili per quell’esperienza di guida e di possesso che rende la 959 unica nel suo genere e forse nella storia dell’auto: nemmeno Porsche, con le sue supercar a tiratura limitata nate dopo (Carrera GT e 918), è riuscita a offrire la stessa versatilità nell’uso quotidiano e la stessa affidabilità; si pensi che i tagliandi sono stabiliti ogni 20.000 km: roba da compatta turbodiesel da rappresentante e non certo da sofisticatissimo purosangue degli anni ‘80.

È facile immaginare come un tale insieme di caratteristiche abbia sedotto tutti gli appassionati che potevano permettersi il suo terribile prezzo d’acquisto; le sette unità assegnate ufficialmente all’Italia furono acquistate ancor prima di essere messe in vendita, a quattrocentoventi milioni di Lire, come quindici Lancia Thema, e ci fu qualche escluso che arrivò a offrire un miliardo pur di accaparrarsene un’esemplare e trovarsi così in compagnia di Bill Gates, Boris Becker, re Juan Carlos ed Herbert Von Karajan che, questa volta, decise, dopo avere soppesato i pro e contro, che poteva ben fare a meno della tanto decantata sinfonia del dodici cilindri di Maranello.

Le Porsche 959 costruite, presso la Carrozzeria Baur di Stoccarda tra il 1986 e il 1988, furono complessivamente 292 (fonte Porsche) delle quali 27 in allestimento “Sport” che costringeva a fare a meno di regolazione dell’altezza da terra, condizionatore, retrovisore destro, regolazione elettrica di sedili e alzacristalli, strapuntini posteriori e la maggior parte del materiale insonorizzante; rinunce che ci paiono del tutto inaccettabili a fronte di un risparmio di peso di un solo centinaio di kg. Una “Komfort”, come quella del nostro servizio, nera come la notte, ci pare proprio la scelta ottimale.

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