15 October 2012

Lamborghini Countach

La linea di Bertone-Gandini e la meccanica di Stanzani (in collaborazione con Dallara) concretizzarono nel 1971 un’idea di supersportiva tanto valida da apparire, ancora oggi, proiettata nel futuro....

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Può essere stato a pronunciarla, come sostiene qualcuno, un meccanico nel vedere il prototipo. Oppure, come affermano altri, Nuccio Bertone quando vide i disegni di Marcello Gandini o, secondo altri ancora, il guardiano della Carrozzeria Bertone quando accompagnò l’ing. Stanzani, giunto fuori orario, a prendere visione del manichino. Poco importa chi sia stato: la realtà è che la parola “countach”, espressione dialettale piemontese per manifestare stupore, meraviglia, è l’appellativo più adatto a rendere l’idea di ciò che provarono i visitatori nel momento in cui videro la Lamborghini LP 500, battezzata proprio Countach, al Salone di Ginevra del 1971. Ferruccio Lamborghini voleva dare un seguito alla Miura, la strepitosa sportiva che nel 1968 aveva attirato l’attenzione del mondo intero. Con la LP 500 - sigla che sta per “Longitudinale Posteriore”, con riferimento alla posizione del motore di 5000 cc - l’intenzione era di spingersi oltre la Miura, per costruire non solo l’auto stradale più veloce al mondo, ma ribadire, attraverso la forma e la tecnologia, i concetti estremi che stavano creando attorno al marchio emiliano un’immagine paragonabile a quella dei più blasonati competitori. Anche in termini di prestazioni, perché il motore di 4.971 cc, con 440 CV dichiarati, faceva sognare. Era stato ricavato dal V12 della Miura aumentando l’alesaggio a 85 mm e la corsa a 73. Futuristica L’obiettivo, a giudicare dai primi commenti, fu centrato in pieno.

La Countach, pur inizialmente scambiata per una “dream-car” fine a se stessa, mostrava quanto la collaborazione tra il designer Marcello Gandini e il progettista Paolo Stanzani avesse prodotto qualcosa di straordinario. Quel prototipo conteneva tutti i presupposti che avrebbero reso la Countach un’auto talmente avanti da continuare a stupire anche dopo dieci anni e oltre dall’entrata in produzione. Sul piano stilistico la LP 500 riprendeva tematiche espresse da Gandini con il prototipo Alfa Romeo Carabo del 1968. Profilo bassissimo, abitacolo a due posti secchi, linea a cuneo con frontale tagliente e praticamente privo di calandra, portiere che si aprono ruotando verso l’alto, finestrini piccoli con taglio trapezoidale. Ma nella Countach questi concetti erano ancor più radicali, soprattutto nella parte posteriore che somigliava più a una Sport-Prototipo che ad una granturismo di elevate prestazioni. In più c’erano elementi di forte impatto, come il retrovisore centrale a periscopio sopra il padiglione e la strumentazione digitale. Singolare la forma del volante, futuristico come il cruscotto ma improponibile per la guida. Chi tra i visitatori relegò la Countach al ruolo di semplice prototipo da esibizione si sbagliava, perché non erano ancora spenti gli echi del Salone che in Lamborghini si misero al lavoro per tradurre quel progetto in un’auto in grado di regalare straordinarie emozioni ai fortunati proprietari.

Lamborghini Countach la linea

Lamborghini Countach , interni
Lamborghini Countach , dinamiche
Lamborghini Countach 5000 S

Industrializzazione

Per prima cosa furono modificati gli accessi d’aria al vano motore. Erano belle quelle larghe feritoie tra parafango posteriore e padiglione, ma da lì non entrava abbastanza aria. Fu accantonato lo specchietto retrovisore a periscopio, troppo complicato da montare e si dovette modificare la posizione dei radiatori acqua, previsti in origine per essere montati di lato al motore in senso parallelo al verso di marcia. Si dovette ri-progettare il telaio, abbandonando la piattaforma scatolata in acciaio a favore di uno schema interamente tubolare con carrozzeria in pannelli di alluminio. Tutto questo rese il percorso d’industrializzazione della Countach più lungo e impegnativo di quanto non fosse stato per la Miura. Il motore, per esempio: in luogo di quello visto sul prototipo fu utilizzato quello della Miura montato in longitudinale e lievemente incrementato di potenza, in quanto era troppo oneroso costruire una nuova unità di maggiore cilindrata. Risultato, fu modificata la sigla che da LP 500 divenne LP 400 per indicare la cubatura di 3.929 cc.

L’esemplare esposto al Salone aveva grandi gruppi ottici posteriori molto belli e ben inseriti nel disegno della coda. La loro geometria poligonale, originata dal taglio del parafango posteriore, non poteva, tuttavia, essere realizzata per i costi elevati, ma fu mantenuta come cornice per ospitare i gruppi derivati dall’Alfa Romeo Alfetta. Che non c’era nel 1971, ma che entrò in produzione nel 1972 fornendo la soluzione giusta. Due fari supplementari per il lampeggio diurno completavano quelli a scomparsa inseriti nel musetto, mentre le luci di posizione e gli indicatori di direzione erano davanti ai fari e ricoperti da un trasparente: un tocco di personalità in più al frontale della Countach. Fu rivisto anche il tergicristallo, che divenne a racchetta unica, comandata da un braccio sdoppiato con posizione di riposo a sinistra. Qualche lieve cambiamento alla linea fu apportato per ragioni contingenti. Il frontale, ad esempio, fu reso meno acuminato per equilibrare il carico aerodinamico tra anteriore e posteriore. Gli ingressi d’aria per il motore furono ampliati mediante due presa NACA laterali e altre modifiche completarono il quadro degli interventi per migliorare alcuni aspetti critici. Fra l’altro nelle prese NACA erano nascoste le maniglie d’apertura. Sul piano stilistico le modifiche avevano un po’ appesantito la linea, ma di certo ne aveva guadagnato l’aggressività.

Liz prende la patente

Anche entrare nella Countach è qualcosa di speciale: l’accesso al posto di guida esige movimenti semplici ma precisi, vuoi per l’apertura delle portiere, che devono essere sollevate (c’è un sofisticato ed efficiente servo-meccanismo pneumatico per questo), vuoi per la ridotta altezza da terra. Ma una volta dentro si scopre che la posizione di guida è giusta, ottenuta anche grazie al volante regolabile, e che il comfort è migliore di quello che si potrebbe pensare. Chiusa la porta, l’impressione è di essere avvolti dalla vettura. Sembra, con tutto quel vetro così vicino ed inclinato, di essere al volante di un prototipo da corsa o ai comandi di un jet. Solo la retromarcia dà problemi per la ridotta visibilità e per l’ingombro del volume posteriore: Valentino Balboni, collaudatore della Casa, mostrava come si potesse ovviare manovrando a porta sollevata, con il corpo per metà fuori dall’abitacolo. Ci voleva un po’ d’agilità, ma era una soluzione per effettuare manovre millimetriche. Altro punto dolente era la... comunicazione con il mondo esterno. I finestrini laterali permettevano un’apertura assai ridotta, poi ingrandita rispetto ai primi esemplari, giusto per ventilare l’abitacolo (l’aria condizionata era prevista in opzione) o per pagare il pedaggio al casello. E poi si doveva fare l’occhio alla ridotta altezza da terra del muso, per non rovinarlo accostando al marciapiede o contro qualche sporgenza. Superato tutto questo, si poteva essere certi di non passare inosservati. E quale migliore prova di quella fornita da Liz Taylor, che ne fu talmente impressionata da acquistarne una, salvo, dopo, ricordarsi che non aveva la patente? Ma non poteva rinunciarvi e così la famosa attrice diede l’esame di guida.

“S” come sviluppo

I collaudi su strada fecero emergere la necessità di adottare nuove ruote. Il limite allo sfruttamento delle prestazioni era dato, stando alle indicazioni del pilota-collaudatore neozelandese Bob Wallace, dalle coperture. La soluzione venne dai nuovi pneumatici Pirelli P7 da 205/50 anteriori e 345/35 posteriori, montati su cerchi da 15” con motivo a cinque grandi fori circolari. Ciò richiese qualche modifica alla carrozzeria, visibile nei pronunciati passaggi ruota in vetroresina e nel nuovo frontale in tinta carrozzeria dotato di spoiler. L’aggressività della Countach diventava ancora più evidente e fu sottolineata con l’aggiunta della lettera S a forma di fulmine accanto alla targhetta identificativa. Ma gli aggiornamenti non erano finiti. La parte più importante, quella nascosta, riguardava le sospensioni e l’assetto che fu rivisto per sfruttare al meglio le nuove coperture. Questo lavoro, opera dell’ing. Gian Paolo Dallara, partì per iniziativa del petroliere austro-canadese Walter Wolf, un grande appassionato noto per aver creato una scuderia di F1 con il suo nome.

E la nuova Countach LP 400 S esposta al Salone di Ginevra del 1978, compendio di tutte queste innovazioni, era la sua. Il tutto fu riversato nelle vetture di produzione in un momento, oltretutto, poco felice per l’azienda che in quegli anni viveva un periodo denso di difficoltà. Il modello Countach, però, non conosce crisi e solo la ridotta capacità produttiva della fabbrica, penalizzata oltremodo da contestazioni e scioperi, ne frena la diffusione. Può sembrare strano pensare che nel 1974, anno rimasto famoso per gli aumenti continui del prezzo dei carburanti e le domeniche a piedi conseguenti all’embargo petrolifero, e nel 1979, anno della seconda crisi energetica, la richiesta di una vettura come la Countach si mantenesse su buoni livelli. Le più semplici edeconomiche Lamborghini Urraco e Jalpa non sopravvissero alle vicende che coinvolsero l’azienda e agli sconvolgimenti del mercato, la Countach invece si. Anzi, fu il modello che ne permise la sopravvivenza. Con gli anni ’80 la ripresa economica dona nuova linfa all’automobile e tutti ne traggono beneficio.

A Sant’Agata Bolognese è il momento di riprendere in considerazione l’idea originale, il motore di cinque litri. Ferrari, il rivale numero uno, sta lavorando attorno a progetti ambiziosi come la Testarossa e la 288 GTO e in Lamborghini non intendono restare indietro. Nel 1982 la Countach diventa LP 500 S grazie al nuovo 12 cilindri di 4.754 cc che, con nuovi collettori di aspirazione, eroga 375 CV. L’alimentazione resta però affidata all’impressionante batteria di sei carburatori Weber a doppio corpo: la Countach è dotata di impianto d’iniezione Bosch K-Jetronic soltanto sui modelli per il mercato USA. Ma la potenza scende a 350 CV. Su questa versione i clienti fanno montare sempre più spesso il vistoso alettone posteriore optional che trasforma la Countach in un mostro da velocità ma non è affatto indispensabile, tanto che solo a velocità molto elevate se ne sente l’azione. Con la LP 500 S (la targhetta identificativa dice “Countach 5000 S”) la velocità massima torna ad attestarsi attorno ai 300 km/h.

Anzi: Balboni, che prova su strada tutte le vetture nuove di fabbrica, afferma che con un lungo lancio la Countach potrebbe anche sfiorare i 320 orari. Lamboirghini dichiara 315 km/h. La scalata alla potenza prosegue nel 1985 quando viene adottata le teste a 48 valvole. La novità, assieme all’aumento di cilindrata a 5.167 cc, porta il V12 alla soglia di 455 CV. Sul piano estetico la Countach Quattrovalvole, questo è il nome, è distinguibile per il rialzo con feritoie di ventilazione al centro del cofano posteriore: serve a dare spazio ai carburatori, ora situati al centro del V dei cilindri anziché a lato. La Quattrovalvole ha i cofani in kevlar ed è stata prodotta per dal 1985 al 1988, anno quest’ultimo nel quale riceve nuove minigonne con prese d’aria per il raffreddamento dei freni posteriori. Alcune migliorie si vedono nell’abitacolo che presenta i rivestimenti in pelle e c’è qualche modifica di dettaglio al tunnel centrale e alla plancia. Il climatizzatore è ora di serie.

Carbonio

Nel 1988 corre il venticinquesimo anniversario dalla fondazione della Casa, e l’americana Chrysler diventa proprietaria del marchio Lamborghini. La Countach è in listino da diciassette anni ma sembra disegnata il giorno prima. L’anniversario, anzi, è l’occasione per un restyling vero e proprio: le precedenti modifiche estetiche erano state tutto sommato marginali, dettate più da ragioni tecniche. Ora, invece, si interviene per rinfrescare il modello. Alle due grandi prese d’aria laterali si aggiungono delle griglie di nuova forma e i gruppi ottici posteriori sono colorati diversamente in modo da far risaltar meglio i fanalini centrali e perdono la cornice. Sempre al posteriore è aggiunto un paraurti e modificato il di- segno delle minigonne. Il cofano motore ha un nuovo profilo e alcuni interventi sono visibili anche davanti, dove si vede il nuovo spoiler più prominente. Il tutto è in tinta con la carrozzeria. Di nuovo disegno sono anche i cerchi scomponibili, ma i caratteristici cinque fori vengono mantenuti. All’interno il volante, modificato nella forma centrale, sembra ora più quello di una vettura granturismo che di una sportiva estrema. L’allestimento dell’abitacolo, pur ripetendo i concetti espressi in precedenza, assume toni più morbidi in linea con le aspettative di una clientela che vuole sì le prestazioni, la visibilità e la guida emozionante, ma che desidera un aspetto più elegante. Non diciamo più sobrio perché parlare di sobrietà nella Countach è fuori luogo. La Countach Anniversary, così viene battezzata, resta in produzione per altri due anni raggiungendo il volume di 650 esemplari venduti, una cifra notevole per una super-sportiva di quel costo sulla breccia da quasi vent’anni. E che è stata oggetto di interessanti studi perché fu la prima auto stradale, nel 1987, ad avere il telaio in fibra di carbonio. Rimase però soltanto un esperimento per i costi di industrializzazione all’epoca troppo elevati, e fu distrutto in un crash-test.

Alla guida...

Avere in prova una Countach non è cosa che capita tutti i giorni. La prima cosa da superare è l’emozione quando ci si cala nell’abitacolo, si allacciano le cinture e si chiude la porta. Avviato il motore, innestiamo la prima e cerchiamo lo stacco della frizione. La Countach si muove con docilità e il pedale non è nemmeno troppo duro da azionare. Per familiarizzare cerchiamo un rettilineo, anche per capire la risposta del freno e dell’acceleratore; prendiamo una strada di campagna pianeggiante dove intuire la risposta del telaio e degli pneumatici. La macchina caracolla tranquilla, lo sterzo, per nulla pesante, è diretto, demoltiplicato nel modo giusto e consente di indirizzare il muso esattamente dove si vuole che vada.

Proviamo a premere l’acceleratore sempre più a fondo per capire la spinta del motore e non farci sorprendere quando saggeremo l’accelerazione. Gli strumenti dicono che tutto funziona bene e le temperature sono al punto giusto. Ci fermiamo, poi, senza far pattinare le ruote, partiamo con l’affondo; la spinta che si scatena ci schiaccia letteralmente contro lo schienale mentre il contagiri in un lampo tocca quota 7000. La trazione è ottima grazie al differenziale autobloccante e ai larghissimi pneumatici posteriori. Potremmo sfruttare la zona gialla (il rosso è a 8000) ma non lo facciamo per precauzione. Il cambio a selettore richiede decisione ma è preciso. Seconda a 7000, poi terza, quarta e quinta: il rombo del 12 cilindri è un crescendo entusiasmante. Da borbottio soffuso, quando si viaggia in quinta a velocità costante a basso regime, diventa un urlo da pelle d’oca superati i 5000 giri, mentre il paesaggio scorre sempre più rapidamente e i rettilinei durano un breve istante. La Countach però sembra non essere affatto impegnata, anzi, il margine è ancora molto ampio. Un’ampia rotatoria ci è utile a capire meglio l’assetto. La percorro diverse volte a una velocità proibitiva per una normale berlina. La Countach sorprende per la facilità di guida e la sincerità dell’assetto. Proviamo la manovra di tiro-rilascio in curva: il posteriore allarga ma in modo controllato e la successiva accelerata, abbinata all’azione dello sterzo, stabilizza con naturalezza la vettura. Lontano dal limite, ma comunque impegnata, la Countach è facile. La sensazione è di aver guidato quasi un prototipo da corsa, un po’ addomesticato per viaggiare su strada.

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