La storia del Quadrifoglio coincide con la storia sportiva dell’Alfa Romeo: nasce nel 1923 sulla RL Targa Florio di Ugo Sivocci, ricompare dopo una lunga parentesi negli anni ’60 per merito delle Giulia TI Super e GTA e distingue oggi i modelli più spinti del Biscione, come Giulietta e Mito QV, anche se sulle versioni più recenti queste ultime sono diventate “Veloce” e il mitico simbolo è scomparso di nuovo, mentre è stato applicato ai modelli Giulia e Stelvio più spinti.
“Me la terrò fino a che ne sarà rimasto un solo pezzo” dice Simone; “Cosa c’è di meglio di un’Alfa?” sottolinea Ludovico. Scandiscono queste parole affettuosamente appoggiati alle loro Alfa Romeo, rispettivamente una Giulietta e una Mito, entrambe griffate con l’ambitissimo Quadrifoglio Verde. Le hanno cercate, scovate e subito comprate con una bramosia che non ti aspetteresti da dei “millennials”.
Le hanno desiderate e non se le sono fatte sfuggire, appena se ne è presentata l’occasione. Ma siccome sono giovani, 35 anni Simone e appena 20 Ludovico, non hanno saputo resistere alla tentazione di renderle ancora più esclusive e se le sono personalizzate, per appropriarsi ancora di più di quel mito che già li aveva sedotti in partenza. La forza di un simbolo
Chissà se in quel lontano 15 Aprile del 1923, appena tagliato vittorioso il traguardo della Targa Florio, Ugo Sivocci ebbe la minima percezione che quel quadrifoglio verde dipinto ai lati del muso della sua Alfa Romeo RL sarebbe diventato il più conosciuto segnale della sportività delle auto del biscione. Per lui era stato un semplice portafortuna, importante per un pilota eterno secondo ed estremamente superstizioso.
Dopo quella vittoria, venne adottato come segno distintivo delle Alfa Romeo da corsa e, dato che le macchine milanesi vincevano spesso e volentieri, divenne in breve sinonimo di velocità e di raffinatezza tecnica. In tempi più recenti il Quadrifoglio ha segnato il ritorno dell’Alfa Romeo alle corse, dopo il lungo periodo di assenza seguito al glorioso biennio 1950-’51 in cui le Alfetta, prima la 158 e poi la 159, conquistarono i primi due Campionati del Mondo di F1 della storia, con Nino Farina e Juan Manuel Fangio.
A parte la breve parentesi delle Sport 6C 3000 CM e PR, fu la Giulia TI Super a riportare nelle corse il simbolo del quadrifoglio nel 1963, per una stagione di corse molto breve (solo un paio di anni in modo ufficiale, qualcosa di più grazie ai piloti privati) ma gloriosa, seguita nel 1965 dalla imbattibile Giulia GTA, sulle cui memorabili imprese sono stati consumati fiumi di inchiostro e tonnellate di carta.
Grazie a queste due meravigliose automobili il quadrifoglio ha ricominciato ad accendere gli entusiasmi degli alfisti, tanto che ancora oggi le versioni più prestazionali dei moderni modelli Alfa Romeo lo esibiscono con orgoglio.
Per saggiare la consistenza della passione dei nostri due amici alfisti, li abbiamo voluti incontrare insieme alle loro amate “Quadrifoglio Verde” e in compagnia di altre due storiche e dall’indiscutibile blasone, la Giulia TI Super e la Giulia GTA, entrambe prelevate dal Museo Storico Alfa Romeo. Ingegneria a Modena “Appena presa la patente ho trovato una Mito, quella da 78 Cv per neopatentati.
L’ho elaborata e personalizzata, ma il motore era poco brioso: la Mito mi piaceva, ma appena ho potuto, dopo un anno di patente ho cercato la versione più potente. Ho trovato una SBK e me la sono presa subito.”
Ludovico ha vent’anni soltanto, ma idee molto chiare. Studia ingegneria del veicolo a Modena, ha scelto l’indipendenza dai genitori e deciso di trovare la sua strada nel mondo dei motori.
La sua Mito è perfetta, con già qualche chilometro sulle spalle ma pienamente efficiente. Anzi, in ottima forma, con un assetto rivisto e una voce più profonda rispetto all’originale di serie. La Mito SBK nasce nel 2012, quando l’Alfa Romeo decide di sponsorizzare il mondiale Superbike.
La Mito ne diventa la Safety-Car ufficiale: logico quindi che in Alfa si decida di dare il massimo risalto possibile all’iniziativa. Viene allora messa in produzione una versione speciale della Mito QV, con alcuni tratti distintivi ben riconoscibili.
All’esterno spiccano i cerchi in lega da 18” di nuovo disegno con finitura titanio, le pinze dei freni Brembo verniciate in rosso, le immancabili minigonne laterali e l’estrattore posteriore, nonché delle vistose strisce adesive a contrasto con il logo SBK. I colori disponibili sono il nero e il rosso, a loro volta abbinabili a tre differenti colorazioni del tetto, nero, rosso e un particolare bianco metallizzato.
All’interno fanno la parte del leone dei bellissimi ma non del tutto comodi sedili anatomici Sabelt in fibra di carbonio, con tessuto centrale in alcantara e cuciture rosse.
La pedaliera è sportiva in alluminio, volante e cuffia della leva cambio sono in pelle e, ciliegina sulla torta, sul cruscotto è in bella evidenza la targhetta di identificazione della “limited edition”: sono infatti soltanto 200 gli esemplari messi in produzione, tutti numerati, a fronte delle circa 6.200 Q.V. Viene anche posto in vendita un kit SBK disponibile sul resto della gamma Mito, ma sono solo caratterizzazioni estetiche che non influiscono sulle prestazioni.
Tutta un’altra storia, insomma. La SBK di Ludovico è la n. 134, tutta nera, compatta e aggressiva. L’assetto come dicevamo è ribassato, le carreggiate leggermente allargate e il terminale di scarico è stato modificato.
Pochi e sapienti tocchi che regalano quel pizzico di personalità aggiuntiva che non stona in un’auto così particolare, nata per essere dedicata in toto al suo proprietario.
Ludovico la guida con grinta, quasi con cattiveria, ma anche con una certa delicatezza di fondo. Pugno di ferro in guanto di velluto, si potrebbe dire.
Nei giri di pista sul piccolissimo circuito adiacente al Museo di Arese si scatena in accelerate rapidissime e frenate violente, si dimostra agile nelle curve strette e morbido nelle traiettorie più distese.
La Mito lo asseconda bene, svelta e precisissima come si conviene ad un’auto che trasmette nel piacere di guida la sua vocazione sportiva.
La Giulietta QV di Simone è stata acquistata nuova nel novembre 2015 ed ha al suo attivo oltre 85.000 km.
Percorsi non certo al risparmio, visto che le escursioni in pista sono il suo passatempo preferito. Per questo ha tentato la via dell’elaborazione, anche se con esiti rovinosi: “Mi piace andare in pista, soprattutto a Monza.
L’avevo fatta rimappare, ma è stato un vero disastro: l’erogazione era tutta sbagliata, il motore ne ha sofferto moltissimo. Ora l’ho riportata all’originale”. Saggia scelta, perché di grinta già di suo la QV ne ha da vendere.
Presentata nel 2010 come evoluzione sportiva della Giulietta, cerca di sostituire nel cuore degli alfisti il posto lasciato vuoto dalla 147 GTA, pur con caratteristiche molto diverse, più adatte ai tempi cambiati.
Il motore non è una novità in casa Alfa, è il noto 1750 sovralimentato a benzina, un 4 cilindri in grado ora di sviluppare 235 Cv a 5500 giri con una coppia di quasi 35 kgm a soli 1900 giri: una gran bella unità, che spinge la Giulietta fin oltre i 240 km/h e le dona una magnifica guidabilità.
Assetto specifico, freni potenziati e il sempre valido cambio a 6 marce completano il quadro tecnico. A livello estetico si notano le minigonne laterali, il piccolo spoiler posteriore, le mostrine metallizzate laterali col simbolo del quadrifoglio e il doppio scarico posteriore. Il restyling del 2014 è contrariamente al solito piuttosto ricco di sostanza.
L’aggiornamento più importante riguarda il motore, che eredita dalla 4C il pregevole basamento in alluminio: con 22 kgm in meno e una nuova messa a punto da 240 Cv l’accelerazione diventa ancora più bruciante, 6,6” sul classico 0-100, facilitata dal nuovo cambio automatico a doppia frizione TCT che, in modalità Dynamic, diventa rapido e molto efficace.
La Giulietta di Simone appartiene a questa serie, è di un bel rosso Alfa e, a parte l’evidente assetto abbassato rispetto alla serie non mostra particolari personalizzazioni. Che però ci sono, basta scovarle. La prima è nei terminali di scarico, degli Akrapovic ad alte prestazioni e naturalmente anche ad alta sonorità; la seconda riguarda ancora la voce del motore, esaltata da un piccolo intervento effettuato sul sistema a membrane che regola in origine il suono dell’aspirazione; la terza è per il puro godimento visivo: è stato rimosso il grande coperchio che racchiude l’intricato complesso di cavi, raccordi e tubicini affollati sulla testa del 4 cilindri. Il risultato è sorprendente e preoccupante nello stesso tempo, genera la stessa straniante impressione che darebbe la vista di una stupenda fanciulla in tanga in preda alle intemperie.
Non si prenderà il raffreddore, così, senza alcuna protezione? Meglio non pensarci. In pista la musica si sente, eccome. Simone guida bello sicuro e grintoso, il 1750 Turbo spinge che è un piacere e il rombo che invade l’abitacolo è pieno, corposo e molto seducente. Non osiamo pensare a cosa succeda su strade normali e soprattutto quale sia il livello di comfort in un viaggio autostradale, ma è evidente che qui si sono cercate le sensazioni forti.
Il brevissimo rettilineo del piccolo circuito viene divorato in un attimo, la frenata è molto potente e l’appoggio in curva è perfetto, senza la minima incertezza anche se la velocità di ingresso e percorrenza in curva è decisamente elevata. Simone sorride soddisfatto mentre guida: “Mi fa godere tutto, la spinta in funzione Dynamic, la tenuta di strada, il sound” confessa sornione. Finita la prova, la Giulietta e la Mito restano a bordo pista accovacciate accanto alle loro antenate, orgogliose anch’esse del loro Quadrifoglio ma con quasi sessant’anni nelle ruote. Una TI, ma… Super!