31 August 2022

ALFA ROMEO Alfetta GT Gr. 2 Andruet

Abbiamo trascorso una giornata con l’Alfetta GT Gruppo 2 protagonista in Corsica nel 1975 con J.C. Andruet, chiamato “Cavallo Pazzo” perché indomito e capace di imprese memorabili come il leggendario Capo Sioux. Il prestigioso motore 16 valvole è ancora in lavorazione, ma il fascino che emana questo vettura c’è già tutto...

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La sorpresa arriva l’8 novembre 1975, a Bastia: alla partenza del 19° Tour de Corse, gara internazionale valida per il Campionato Mondiale Rally, l’Autodelta schiera un’inedita versione dell’Alfetta GT.

Il coupé Alfa Romeo aveva fatto il suo debutto agonistico nel mese di febbraio dello stesso anno al Rally di Costa Brava, in Spagna, ma per quanto sulla carta e dai test effettuati apparisse come una possibile grande protagonista, aveva denunciato inevitabili e comprensibili difetti di gioventù, soprattutto in termini di affidabilità.

Per di più la squadra capitanata dall’ingegner Carlo Chiti, avvezza alle competizioni di velocità in circuito, aveva ben poca dimestichezza con le logiche rallistiche, che richiedevano una preparazione molto specifica delle auto e una accuratissima organizzazione sul campo. Ciononostante erano già arrivati risultati notevoli, il più entusiasmante la doppietta all’Elba con Ballestrieri e Pittoni.

Quella che però si appresta a prendere il via in Corsica è un’Alfetta GT molto differente dalle altre sorelle, probabilmente la più curata di tutte le 9 costruite, sicuramente la più sofisticata: è dotata del motore con testa a 16 valvole ed alimentazione ad iniezione Spica accreditato di oltre 230 CV, già visto sulle Alfetta Gruppo 2 berlina impiegate in precedenza nelle gare di Velocità e in un secondo tempo anche nei Rally.

Ci sono dunque a disposizione oltre una ventina di CV in più rispetto al solito propulsore a carburatori con testa stretta a doppia accensione di derivazione GTAm. Finalmente l’Alfetta GT, omologata in Gruppo 2, è diventata un’arma da assoluto, comunque capace di competere con le più prestanti Gruppo 4 come le Lancia Stratos, pur se non ancora allo stesso livello.

Alla guida c’è poi Jean Claude Andruet, il “Cavallo Pazzo” cui si devono imprese leggendarie. E difatti il campione francese vince due prove speciali davanti alle squadre Lancia e Renault, le grandi duellanti, e anche se alla fine si deve accontentare di un pur magnifico terzo posto assoluto avendo dovuto pagare oltre 7 minuti per un’uscita di strada e un errore di cronometraggio, ha ampiamente dimostrato sulle strette, tortuose e viscide stradine còrse il vero valore della nuova arma dell’Alfa Romeo.

La conferma di ciò la si ha al successivo Rally du Var, dove sempre Andruet mette in riga la Stratos di Darniche in 6 prove speciali consecutive prima di doversi fermare col cambio rotto. Il Rally Lyon-Charbonnières di marzo ’76, conclusosi con un ritiro questa volta con Guy Fréquelin alla guida, è però per l’Alfetta GT 16 valvole la conclusione della carriera rallistica.

L’ingegner Chiti ha deciso infatti incredibilmente di stoppare l’esperienza coi rally almeno per il momento, in attesa di tempi migliori e maggiore disponibilità di budget. Ma la bella #0010030 non ci sta a scomparire: sopravvive ad altre mille peripezie ed ora è qui che ci delizia con le sue forme rotonde e generose.

Recupero storico
Chi la sta riportando definitivamente agli antichi splendori è Renato Ambrosi, appassionato veronese e cultore del verbo alfista, anche se non proprio in esclusiva. È molto noto nell’ambiente, perché oltre che collezionista è anche da tempo assiduo frequentatore delle corse per auto storiche sia in pista sia nei rally.

Con le Alfa Romeo ha come si diceva un rapporto particolare. La sua prima auto da corsa è stata un’Alfetta 2000 GTV del ’76, che tra la fine degli anni 80 e l’inizio dei 90 ha restaurato e preparato “in casa” insieme al fratello, con l’aiuto di amici carrozzieri, meccanici, elettrauto ed altri all’occorrenza.

Da lì l’impegno agonistico è stato costante e in crescendo, distribuito a seconda delle occasioni tra pista e rally e su diversi tipi di auto, tra le quali una rossa Giulietta TI sulla quale, prima di passare a macchine decisamente più impegnative, ha approfondito i segreti della guida veloce.

Quando gli si presenta l’occasione di assicurarsi una delle nove Alfetta GT originali prodotte dall’Autodelta nel ’75, nonostante qualche intoppo di troppo, non se la fa scappare. Non senza avere prima studiato e ricostruito nei dettagli la storia dell’esemplare che la sorte gli ha parato dinnanzi.

L’impresa non è stata semplicissima, perché la vita delle auto da corsa dismesse è spesso travagliata e coperta da lunghi periodi di oblio. Dai Rally alla pista A questo proposito l’Alfetta GT #0010030 non fa eccezione.

Terminata la carriera rallistica, viene convertita dall’Autodelta per le gare in pista. Nel frattempo però i regolamenti sono cambiati, le vecchie omologazioni per il Gruppo 2 sono scadute e quindi le modifiche necessarie sono consistenti. La prima e più importante è la rinuncia alla prestigiosa testa a 16 valvole, nata direttamente in Alfa Romeo e probabilmente per questo mai troppo amata dall’ingegner Chiti.

Purtroppo però anche la testa stretta a doppia accensione in dotazione fino ad allora su tutte le Alfetta GT da corsa non è più utilizzabile: come previsto dalla nuova fiche di omologazione, ora viene montato il motore 2.000 cc ad accensione singola di derivazione Alfetta GT America, non più il 1800 rialesato al limite di cilindrata, con una elaborazione classica che porta ad una potenza massima intorno ai 185 CV.

Inoltre i bellissimi parafangoni bombati, come venivano comunemente chiamate le appendici aerodinamiche aggiunte ai passaruota, devono essere sostituiti da normali codolini, che consentono comunque di montare i tradizionali cerchi da 8, 9 o 10 pollici.

Le Alfetta GT impegnate nelle gare internazionali dunque non mirano più alle prime posizioni di classifica, ma piuttosto alla vittoria nella seconda divisione, quella riservata alle vetture fino a 2.000 cc. E difatti così avviene. Alla 24 Ore di Spa-Francorchamps del luglio 1976 la nostra Alfetta, ancora con la sua targa originale MI V85167, è splendidamente guidata da Jean Claude Andruet e Spartaco Dini: conquista la vittoria nella sua divisione e addirittura il secondo posto assoluto dietro all’unica BMW 3.0 CSL superstite, con un ottimo risultato di squadra completato dal quarto posto della vettura gemella di Ballot Léna-Fréquelin e dal sesto di quella di Bigliazzi-Zeccoli-Crespin.

L’ultima gara dell’Alfetta GT #0010030 di cui si ha notizia certa è la 1000 Km di Kyalami di fine 1976, dove con l’equipaggio Arturo Merzario-Spartaco Dini si classifica quarta assoluta e seconda di divisione. Terminata la corsa, come spesso all’epoca succedeva, l’Alfetta GT, ormai considerata obsoleta e non più interessante per l’Autodelta, viene venduta in loco in modo da non sobbarcarsi le spese di rientro e lì rimane, almeno per un po’.

La fortuna aiuta Il rapporto d’amore con l’Alfetta GT ex Andruet inizia per Renato Ambrosi poco più di una decina di anni fa. Su un sito inglese intercetta l’annuncio di vendita di un’Alfetta GT Gruppo 2 Autodelta situata in Spagna, che attira immediatamente la sua attenzione.

L’annuncio in questione è in realtà vecchio di un anno, ma Ambrosi non se ne cura più di tanto e decide di contattare l’inserzionista. In quel periodo per ragioni di lavoro si reca spesso all’estero, e in particolare proprio in Spagna. In occasione di uno di quei viaggi ne approfitta per combinare un incontro e vedere di persona l’oggetto del suo interesse.

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Vista la macchina e capito che potrebbe trattarsi di un pezzo importante, inizia a fare le sue ricerche per avere la conferma delle sue supposizioni. I primi riscontri positivi ottenuti confrontando numeri di telaio e targhe delle macchine impegnate dall’Autodelta nei rally internazionali del ’75 lo convincono ad avviare le trattative, che giungono ad un punto quasi definitivo. Ma qui il destino sembra mettersi di traverso, perché improvvisi problemi di salute lo costringono ad accantonare il progetto.

Superato il periodo difficile, la mente ritorna quasi fatalmente a quell’Alfetta mai del tutto dimenticata. Guarda caso, questa volta la fortuna si rivela amica. Ricontattato, l’inserzionista spagnolo dice che in teoria la macchina dovrebbe considerarsi già venduta in lotto con altre auto di sua proprietà, ma dato che l’acquirente dopo l’accordo raggiunto si è dato alla latitanza e manca ormai all’appello da diverso tempo, si sente svincolato da ogni impegno verbale e quindi può cederla ad altri. Così avviene.

Confermata la trattativa già effettuata in precedenza, la gloriosa #0010030 ritrova ancora una volta la strada per l’Italia. Una storia a lieto fine davvero fortunata ma non per questo irripetibile, anzi perfettamente in linea col credo di Ambrosi che recita testualmente: “Non sei tu che cerchi e trovi le tue auto storiche, sono loro che cercano e trovano te.”

Ricostruzione complessa L’Alfetta GT viene importata in Italia il 25 ottobre 2011, immatricolata a Brescia con targa ZB 563 AC cui corrisponde il corretto numero di telaio AR*00100030* e iscritta al Registro Fiat Italiano con certificato n. 424/13. Successivamente è iscritta all’ASI con Attestato di Datazione Storica e CRS in quanto veicolo da competizione utilizzato per le corse del periodo.

Naturalmente è dotata dell’Historic Technical Passport FIA per poter ancora una volta partecipare alle competizioni, motivo per cui è nata la bellezza di 47 anni fa. Si presenta oggi in condizioni eccellenti: rivista la ciclistica, curato l’assetto e messa a punto la meccanica, sulla carrozzeria ritoccata nei punti critici e lucidata a nuovo vengono applicati gli adesivi replicati dagli originali del ’75, in modo che l’atmosfera del Tour de Corse possa rivivere come si conviene.

E il motore? Dicevamo prima che nella macchina era montato il 2.000 classico mono accensione, normalmente elaborato Gruppo 2 secondo il regolamento FIA 1976. Ma insieme all’auto c’è in dotazione un grosso imballo con dentro, sorpresa sorpresa, una testa 16 valvole, i relativi alberi a camme, la ghigliottina per l’iniezione, due carburatori Dell’Orto da 48, un monoblocco 1.800 cc, un volano alleggerito, l’accensione elettronica. Tutto o quasi, a parte l’introvabile monocanna indispensabile a causa dell’alesaggio portato a 84 mm dagli originali 80, per ricomporre quel fantastico motore che ha permesso ad Andruet e Jouanny di dire la loro in Corsica.

È una ricostruzione molto impegnativa cui Ambrosi sta lavorando ormai da parecchio tempo e che ha già subito non pochi rallentamenti per i numerosi inconvenienti tecnici incontrati. Ma si prevede che nel giro di qualche mese tutto possa essere risolto. Ne riparleremo, garantito. Oggi godiamoci l’Alfetta GT così com’è, col suo motore “normale”, si fa per dire.

In macchina con Andruet Prendere posizione sul sedile del navigatore non è semplicissimo, anche se ancora non è quello ultra-contenitivo oggi obbligatorio per le gare. Una volta sistemati, apprezziamo la qualità del restauro che trasmette una piacevole sensazione di accuratezza nonostante l’estrema spartanità dell’abitacolo, spoglio del superfluo.

L’unica critica è per gli strumenti, che avremmo preferito più fedeli agli originali. Ambrosi accende il quattro cilindri con un rombo, si sente il rumore profondo dell’aspirazione che risuona tra le lamiere: quando innesta la prima e sta per staccare la frizione lo spirito di Andruet incomincia ad aleggiare intorno a noi.

Le stradine sterrate della campagna di Chiari non sono l’ideale per saggiare le doti rallistiche dell’Alfetta GT, ogni tanto qualche trattore compare all’improvviso e soprattutto il paracoppa tende a picchiare duro per colpa dell’assetto un po’ basso, da asfalto.

Ma il canto del quattro cilindri è invitante e l’accelerazione è così pronta nelle marce basse che invoglia inevitabilmente a schiacciare l’acceleratore. Il cambio a denti dritti sembra rapido e sorprendentemente silenzioso, anche se l’escursione della leva appare piuttosto ampia. Il comfort è quasi inesistente, tutto il funzionamento visto dalla parte del passeggero è piuttosto rude, come d’altra parte tipico in una macchina da rally anni 70.

La guida invece dev’essere esaltante, lo si vede chiaramente dall’espressione tra il divertito e il soddisfatto che Ambrosi sfoggia dopo una “esse” tirata. Immaginiamo cosa devono aver provato Andruet e Jouanny nel guidare e navigare per un intero Tour de Corse stando sempre ai vertici della classifica.

È una bella storia d’altri tempi, entrata nella leggenda, quella di “Cavallo Pazzo” e della sua Alfetta GT 16 valvole.

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