29 July 2021

Alfa Romeo Alfetta 2.0, “Executive Class”

Berlina sportiva, signorile e ben accessoriata, l’Alfetta 2.0 (anno modello 1981) concilia le elevate prestazioni con il benessere a bordo, indispensabile nei lunghi viaggi. “Executive Class” direbbero gli Inglesi...

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Executive Berlina sportiva, signorile e ben accessoriata, l’Alfetta 2.0 (anno modello 1981) concilia le elevate prestazioni con il benessere a bordo, indispensabile nei lunghi viaggi. “Executive Class” direbbero gli Inglesi. Un padre appassionato di automobili acquista nel 1982 un’Alfetta 2.0 L. Un sogno realizzato, per lui e per il figlio che l’ha mantenuta fino ad oggi. Anzi, l’ha fatta rinascere dopo un brutto incidente, contro il parere di molti

«Era il 1981, avevo dieci anni. Un giorno un amico di famiglia ci venne a trovare con un’Alfetta 2000 L. Vidi mio padre girare con attenzione intorno all’auto: la stava esaminando nei minimi particolari. Trascorsero alcuni mesi e si ripeté la stessa scena, soltanto che questa volta mio padre era al volante! Quell’Alfetta era la nostra, la 2.0 ritratta in queste pagine. In quel momento decisi che quella macchina sarebbe rimasta sempre con noi». Gianluigi Passuello, di Marostica in provincia di Vicenza, ha mantenuto fede alla promessa fatta con se stesso quarant’anni fa, nonostante di recente il destino gli abbia messo di traverso, sulla strada, un bell’ostacolo da superare: «Era settembre 2019. Mi trovavo con amici a San Marino per seguire RallyLegend quando mi telefona mio fratello Mirko:

“Abbiamo fatto un incidente con l’Alfetta! Mamma era alla guida ma sta bene, però la macchina è malmessa”. Superato lo shock e verificata l’entità dei danni, ingenti, cercai pareri sul da farsi. Alcuni mi suggerivano di demolirla… Non potevo, c’erano troppi ricordi in ballo. Decisi di ripararla, pur sapendo che non sarebbe stato facile. E non lo è stato, infatti. Per fortuna ho trovato persone competenti, come Corrado Patella, che mi hanno aiutato. Oltre a mia madre e mio fratello Mirko, ovviamente».

Par di capire che per la vostra famiglia quest’automobile rappresenta molto, come mai? «L’Alfetta è l’auto di famiglia, la macchina che non ti abbandona mai - risponde prontamente Gianluigi -. Più che un’automobile è un album dei ricordi: il rombo del motore annunciava l’arrivo di mio padre all’ora di pranzo, il bagagliaio che si apriva prometteva un regalo dei nostri genitori. L’Alfetta era molto amata da nostro padre ed era l’auto che ci portava in gita nei fine settimana».

Cosa apprezzava suo padre soprattutto di questa Alfetta? «Lui era un grande appassionato di meccanica e di automobili. La sua prima auto fu una Fiat 500 Giardiniera. Prima dell’Alfetta ebbe una Giulia Super che tenne fino alla Pasqua del 1982; e, prima ancora, una Giulia TI.

Due auto che hanno fatto nascere in me la passione per le Alfa Romeo e per le automobili, che disegnavo immaginando di diventare un progettista. Poi le strade della vita mi hanno fatto prendere un’altra direzione». Dieci anni avanti L’Alfetta, modello cardine nella produzione Alfa Romeo, viene presentata a Trieste nella primavera del 1972.

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L’impressione è che sarà un modello destinato a restare a lungo sulla breccia. Il motivo? La linea, opera del Centro Stile Alfa Romeo, pur mantenendo stilemi in uso ad Arese in quegli anni contiene spunti nuovi come il volume di coda rialzato e le fiancate con finestrini ricurvi. Poi c’è la disposizione degli organi meccanici che, pur con schema classico a motore anteriore e trazione posteriore, presenta il cambio spostato al retrotreno.

È un blocco che contiene frizione, cambio di velocità e differenziale ed è sistemato subito prima dell’asse posteriore. Ma non basta: nuova è anche la sospensione dietro a ponte De Dion, uno schema utilizzato in Alfa Romeo nelle monoposto 158 e 159 soprannominate “Alfetta”, che vinsero i campionati del mondo di Formula 1 nel 1950 e 1951.

Nell’Alfetta, il cui nome nasce per sottolineare la parentela con le monoposto, il ponte posteriore è guidato da un parallelogramma di Watt che mantiene le ruote motrici costantemente perpendicolari al terreno, permettendo di sfruttare completamente l’impronta al suolo del pneumatico al variare delle condizioni di carico. I giornalisti che la provano rimangono impressionati dalla grande tenuta di strada, dall’ottima maneggevolezza e dalla prontezza di inserimento in curva che non ha riscontro nelle concorrenti. Merito anche dell’equilibrata ripartizione dei pesi, uguale sui due assi. Il motore è il conosciuto bialbero a quattro cilindri in linea di 1779 cc per 122 Cv-DIN, con alimentazione singola.

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Deriva da quello della 1750 - che l’Alfetta sostituisce - di cui si apprezza la notevole potenza ed elasticità che permettono una pronta ripresa anche nel rapporto superiore. Insomma, linea nuova, schema meccanico e doti stradali, completano il quadro di un’auto che viene definita dalla stampa specializzata “avanti di dieci anni”.

Da una base meccanica così raffinata non può che derivare una gamma, che, dopo il coupé Alfetta Gt e la berlina 1.6, è completata nel 1977 con la presentazione della 2.0 sulla quale focalizziamo la nostra attenzione.

L’Alfetta 2000 presenta numerose modifiche, visibili nel frontale a fari rettangolari, nei nuovi paraurti, nelle diverse maniglie porta e nei nuovi gruppi ottici posteriori più grandi e prominenti. Spariscono i deflettori ai finestrini anteriori, la griglia di uscita dell’aria viziata dell’abitacolo è di nuovo disegno e viene rinnovato anche l’interno, dove la modifica più visibile è nella plancia, ridisegnata e decorata con un inserto color alluminio con la scritta “2000”.

Nuovi sono anche il cruscotto e il volante e ci sono modifiche all’impianto di climatizzazione. Altra novità è l’inversione del senso di apertura del cofano anteriore mentre le prese d’aria per l’abitacolo sono sottolineate da griglie in plastica. Nuovi anche i cerchi ruota dalle finestrelle trapezoidali. Con 122 Cv-DIN l’Alfetta 2000 riprende la potenza della prima versione 1800, con il beneficio della maggiore coppia motrice.

La velocità massima, dichiarata in “oltre 185 km/h”, è al vertice della categoria ma i clienti, anche se le prestazioni restano di primo livello, si aspettano qualcosa di più. Che arriva nel 1978, quando il motore torna agli originali 130 Cv della vecchia berlina 2000.

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Non cambia la dichiarazione della velocità massima, però ora l’Alfetta 2000, con il suffisso “L” per sottolineare il motore, è tornata al vertice del segmento per potenza. Pochi dettagli la distinguono dalla versione precedente: il più immediato è l’inserto sulla plancia che diventa tipo legno.

Nata come berlina da famiglia intonata alla sportività, l’Alfetta, in versione 2000 L, ha acquistato una connotazione da berlina di rappresentanza, da auto aziendale, un modello che a fine anni Settanta continua a essere tra i preferiti dal pubblico in tutte le sue cilindrate.

La 2000 L diventa addirittura la due litri più venduta in Italia e tra le più vendute in Europa, cosa che induce l’Alfa Romeo a unificare la carrozzeria della 1.6 e 1.8 a quella della sorella maggiore. Il restyling è del 1981 ed è il modello qui fotografato, dove le versioni di minore cilindrata si distinguono per alcuni allestimenti semplificati. Con l’occasione, si rivedono i rapporti del cambio e l’assetto.

L’Alfetta ha ora marce più lunghe con quinta di riposo e un assetto più morbido. Lo scopo è diminuire ulteriormente i consumi e rendere la vettura più confortevole. Immutate invece le caratteristiche dei motori.

A richiesta si può avere il tetto apribile, il differenziale autobloccante, l’aria condizionata, mentre l’antenna radio è incorporata nel parabrezza. Sono passi che adeguano la vettura, ormai nel pieno della maturità, agli standard presentati dalle nuove concorrenti. Il 1981 è anche l’anno di ingresso della Turbo Diesel 2000 da 82 CV e della 2.0 LI America, versione italiana del modello 2000 esportato negli USA.

La 2.0 LI America, che ha l’iniezione Spica, ha lo scopo di testare la reazione del mercato verso un’Alfa Romeo alimentata a iniezione invece che con i consueti carburatori. Passa un anno ed entra in listino una versione speciale della 2000 detta “Quadrifoglio”, con doppi fari circolari, cerchi in lega leggera di serie, calandra, fasce laterali e paraurti di colore marrone e check-system per il controllo delle funzioni principali della vettura. Le prestazioni sono invariate anche se il motore, a carburatori, perde 2 Cv.

In quegli anni ad Arese lo studio dell’elettronica di controllo del motore fa passi da gigante. E si concretizza nella 2000 Quadrifoglio Oro del 1983, dove l’elettronica, per mezzo di un microprocessore, controlla l’accensione, la fasatura delle valvole di aspirazione e l’iniezione di benzina, con il vantaggio di avere un motore più potente ed elastico ai regimi intermedi.

E anche più economico, visto che i consumi, a parità di potenza che torna a 130 Cv, si riducono del 7-8%. Questa versione completa l’aggiornamento della gamma Alfetta che, dopo un ultimo, leggero restyling che rivede alcuni dettagli, ora ha anche la chiusura centralizzata.

Altri aggiornamenti si vedono all’interno. Parallelamente entra in listino la versione 2.4 turbodiesel da 95 CV il cui allestimento è simile alla Quadrifoglio Oro, salvo i fari anteriori rettangolari invece della coppia di fari circolari e i coprimozzo color alluminio su cerchi in acciaio come nelle versioni 1.6, 1.8, 2.0 e 2.0 turbodiesel.

E non è finita perché l’Alfetta diventa laboratorio sperimentale con il sistema CEM, frutto di un lavoro volto alla continua ricerca dell’ottimizzazione dei consumi. Il progetto consiste nel far funzionare il motore della 2000 a due o a quattro cilindri in relazione al carico, seguendo la logica di mettere il motore nelle condizioni di erogare la potenza richiesta con il massimo del rendimento.

Il passaggio da due a quattro cilindri è gestito da una centralina elettronica e viene appena avvertito da chi guida. Il progetto, partito nel 1976 all’interno del C.N.R. con il nome di “Progetto Finalizzato Energetica” e svolto in collaborazione con l’Università di Genova, si concretizza in dieci Alfetta CEM allestite con la carrozzeria della versione 2000 LI America, date in prova ad altrettanti taxisti di Milano. Altre, su base Alfetta unificata modello 1981, vengono date agli ispettori della Casa e qualche centinaio vendute, per una produzione di circa mille vetture.

È un progetto di assoluto rilievo, che non ha però seguito commerciale, anche per le avvisaglie della crisi che avrebbe portato, nel 1987, la Casa del Portello nell’orbita Fiat. Nel 1984 il modello Alfetta, dopo dodici anni di onorata carriera, entra nei libri di storia. Ma non quella della famiglia Passuello, che è ancora in ottima forma, trentanove anni dopo, nonostante sia passata attraverso uno schianto che ne avrebbe potuto compromettere la vita di magnifica “uni proprietario”.

Merito di Gianluigi, per il quale l’Alfetta è una di famiglia: «Sull’Alfetta ci stavamo tutti, e con tutti i bagagli!», dice, con trasporto. Ma se gli chiedi cosa gli piace di più, la risposta è quasi scontata, per un alfista: «Il motore generoso, che non dice mai di no. È sempre pronto. E poi la macchina è stabile, precisa; e fai una manovra sbagliata, ti toglie dai guai, esattamente come diceva la pubblicità: “Un’Alfa Romeo perdona tutto”.

Ma soprattutto, mi piace il rumore del motore, una vera sinfonia!».

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