Fare il giornalista a fine anni Sessanta metteva di fronte a numerosi eventi complicati e in generale il clima in Italia andava peggiorando, fino a farsi cupo. Il 12 dicembre 1969 è il giorno della bomba a piazza Fontana a Milano, 17 morti e 88 feriti; sono passati sette mesi dalla presentazione della 128. L’Italia è sgomenta, disorientata.
Un anno dopo esatto sarà la volta del Golpe Borghese, in un crescendo continuo di eventi terroristici: a luglio del 1970 c’era stata la strage di Gioia Tauro, sei morti causati da un attentato dinamitardo che fece deragliare il “Treno del Sole” Siracusa-Torino. La televisione trasmette immagini i cui anche le Alfa Romeo, Giulia soprattutto, sono protagoniste in quanto veicoli delle forze dell’ordine.
Il Mario giornalista ha il suo bel daffare quindi, mentre l’appassionato di automobilismo ha soddisfazioni relative: la Ferrari non vince in F1 dal 1964, a Le Mans il suo dominio è cessato causa Ford prima e Porsche poi; le lotte sindacali si fanno sentire anche a Maranello causando problemi continui anche al reparto corse. In compenso, le Alfa Romeo Giulia GTA hanno vinto due volte il Campionato europeo, nel 1966 e nel 1967.
E mentre la 128 passa più tempo in officina che in garage, nel 1970 nasce il terzo figlio. Potrebbe servire ancora più spazio in macchina. Verso fine anno sulle riviste specializzate si inizia a parlare di una possibile nuova Alfa Romeo, una berlina sportiva che potrebbe sostituire la Giulia o la 1750 o entrambe, chissà.
La politica industriale e commerciale del Portello è piuttosto confusa: c’è in ballo anche l’Alfasud che sta per essere presentata ed è di gran lunga la novità del momento considerando anche i risvolti socio-politici che riguardano la sua produzione; nel 1971, per non farsi mancare nulla, esce la “2000”.
Avanti dieci anni
E insomma a maggio del 1972 è finalmente presentata, con un ritardo di circa sei mesi sul previsto, l’Alfetta, la nuova berlina del Biscione che porta nel nome l’esperienza e la tecnica della monoposto che ha vinto i primi due mondiali di Formula 1 della storia, nel 1950 con Nino Farina e nel 1951 con Juan Manuel Fangio.
La Tipo 158/159 era stata soprannominata da appassionati e addetti ai lavori “Alfetta” perché era di cilindrata 1.5: negli anni prima della guerra, a cui il progetto risaliva, era ufficialmente una “Voiturette”.
E nascendo a soli vent’anni di distanza da quelle imprese sportive, la forza evocativa è dirompente; tanto più che della macchina da competizione riprende anche numerose soluzioni, prima tra tutte la disposizione “transaxle” della meccanica, con cambio frizione e differenziale al posteriore, sostenuti da ponte de Dion e parallelogramma di Watt, e i dischi freno all’uscita del differenziale; mentre all’avantreno ci sono ruote indipendenti con molle a barra di torsione.
Un netto passo avanti rispetto alle Giulia e derivate, tanto da far dire a molti osservatori ed alla stampa specializzata che la nuova Alfetta è “avanti dieci anni” rispetto alle concorrenti; incollata alla strada come una monoposto, ha anche grande motricità. Concorrenti che si chiamano Audi 100, BMW 2002, Fiat 132, Peugeot 504: con tutto il rispetto, non c’è partita. Il motore poi, ça va sans dire, è eccezionale: 1779 cc, quattro cilindri in linea tutto in lega leggera.
È potente, 140 Cv-SAE (omologazione preferita all’epoca), ma anche ricco di coppia in virtù della corsa lunga; è affidabile grazie alla lunghissima esperienza nelle corse, che sono il campo di collaudo principe all’epoca: ha le valvole di scarico al sodio, le canne cilindro in ghisa asportabili, l’albero motore su 5 supporti di banco con 8 contrappesi cuscinetti a guscio sottile in lega di rame-piombo-indio con antivibratore torsionale.
Ed è brillante nel comportamento, con i due carburatori doppio corpo Weber. Insomma, è un raffinatissimo mulo con temperamento da purosangue. L’Alfetta “fa” i 180 e accelera da 0 a 100 km/h ampiamente sotto i 10”, dentro ci sta comoda tutta la famiglia (anche se il “quinto” deve fare i conti con lo spazio di cambio e differenziale in mezzo alle gambe) e il bagaglio è capiente quasi quanto quello di una giardinetta.
Anche la linea è piacevole e moderna, disegnata dal Centro Stile Alfa Romeo guidato da Giuseppe Scarnati, con linee tese e la caratteristica coda alta: tutto il contrario della Giulia. In poche parole, l’Alfetta è l’auto dei sogni. Targa MI TO Cosa può volere di più un appassionato di automobili?
Una migliore manovrabilità del cambio, di certo: i lunghi leveraggi dovuti alla trasmissione posteriore impongono cautela nelle cambiate per evitare sonore “grattate”. Ma la disponibilità del bialbero Alfa mitiga ampiamente questo difetto, limitando al minimo la necessità di usare il cambio, perfino a pieno carico.
“Che motore!” pensa Mario, e tantissimi come lui, quando ritira la sua Alfetta, direttamente al Portello, nel luglio 1973. L’esemplare, con targa quadrata “MI TO”, è prodotto in fabbrica il giorno 2, venduto il 10 e immatricolato l’11. Non c’è tempo da perdere!
Per i molti italiani che possono permettersi questa nuova berlina di avanguardia, che alla presentazione costa 2.245.000 lire, l’Alfetta è anche simbolo di un certo status. Mario, che quando acquista l’Alfetta ha 35 anni, è stato assunto da qualche anno al Corriere d’Informazione, il quotidiano della sera della Rizzoli. Un tipo di giornale molto in voga in quegli anni, che puntava molto sulla cronaca, quasi in tempo reale, tanto che se ne potevano avere anche più edizioni in un solo pomeriggio.
E in quegli anni l’esigenza della “ultimissima” capitava spesso. Si facevano sempre più frequenti attenti sempre più gravi: il più eclatante, proprio nel maggio 1972, l’uccisione del commissario Calabresi a Milano.
Al nostro è affidata proprio la cronaca giudiziaria: saranno anni di corsa e di tensione, consumando le scarpe avanti e indietro tra tribunale di Milano e redazione del giornale. E l’Alfetta diventa protagonista, suo malgrado, delle cronache dell’epoca, auto preferita da Polizia e carabinieri.
L’immagine più eclatante, quella di via Fani, marzo 1978: il rapimento di Aldo Moro, la berlina bianca della scorta del presidente della DC. Compagna di viaggio Per la famiglia del nostro l’Alfetta blu (anche dentro, stranamente: nella gamma colori ufficiale l’abbinamento previsto era con il colore beige) diventa compagna stabile di viaggio ed elemento di famiglia per anni. Tutte le volte che si ipotizza di cambiarla, si trovano validi motivi per rimandare, finché l’auto diventa storica, poi d’epoca, tra decine di avventure, compreso qualche giro di pista turistico (con intera famiglia a bordo!) dell’Autodromo di Monza.
Sotto i nubifragi, la canicola o la neve, l’Alfetta non tradisce mai e pian piano diventa testimone del tempo automobilistico che fu, e di un’Alfa Romeo che non esiste più, dopo gli ultimi sussulti sportivi del 1975 e 1977, con le vittorie nel mondiale Marche. In famiglia passano altre auto, la Ferrari “figlia” dell’Alfa Romeo torna finalmente a vincere in F1 con Niki Lauda (che diventerà a sua volta pilota Alfa con la Brabham) e passeranno finalmente gli anni di piombo.
Oggi la “nostra” Alfetta è una splendida auto usata, più ancora che conservata, tenuta con affetto. Una vecchia automobile senza lifting, con tutti i segni del tempo passato, e nemmeno tanti chilometri: poco più di 150mila. Ha una meravigliosa patina che racconta della sua vita, forse si potrebbe fare un giro dal carrozziere, chissà ma di certo il suo cuore, il favoloso bialbero, è ancora in ottima forma.
Di Francesco Pelizzari - Foto Luca Danilo Orsi