Linea personale, meccanica ultra raffinata, prestazioni eccellenti: l’Alfetta è da considerarsi l’ultima Alfa Romeo nata da un progetto coraggioso e ambizioso delle migliori menti della Casa milanese. La tradizione della berlina sportiva è parte integrante della storia dell’Alfa Romeo, ne costituisce l’asse portante fin dai primordi.
È naturale dunque che quando si è trattato di fare un passo più in là rispetto alla fortunatissima Giulia, che della berlina sportiva è stata la perfetta rappresentazione per tutti gli anni ‘60, in Alfa si sia pensato di proporre quanto di meglio si potesse, in considerazione sia delle esperienze passate, sia di quello che la tecnologia del momento rendeva possibile.
La scommessa era mantenere quella supremazia rispetto alla diretta concorrenza che fino a quel momento la Casa del Biscione aveva saputo sostenere in maniera netta e indiscutibile. Basta fare un rapido confronto con quello che offrivano gli altri costruttori per rendersene conto. Quando alla fine del 1967 fu deciso di dare il via al “Progetto 116”, come era chiamato lo studio che portò alla nascita dell’Alfetta, si cercò subito di capire cosa c’era di meglio e di ancora non usato nella produzione di serie, nascosto nei cassetti dei progettisti e nei prototipi abbandonati.
Subito si mettono in azione i due maître à penser di casa, Giuseppe Busso per la parte meccanica e Ivo Colucci per la carrozzeria, le colonne portanti del Reparto Progettazione Alfa Romeo, diretto all’epoca dall’Ingegner Satta Puliga. Come è naturale per tutte le case automobilistiche che si sono impegnate a lungo e con successo nelle competizioni, è dalle esperienze sportive che si cerca di trarre l’ispirazione.
Ancora fresche sono in quegli anni le soddisfazioni raccolte con le Alfetta 158 e 159, vincitrici dei primi due Campionati del Mondo di Formula 1, nel 1950 e ’51. Sulla nuova 116 dunque vengono trasferite le soluzioni tecniche dimostratesi vincenti, ulteriormente riviste con la 6C 3000 CM Sport del ‘52/’53, una vettura peraltro piuttosto sfortunata che è arrivata seconda alla Mille Miglia del ’53 e ha colto l’unica sua vittoria ufficiale al GP Supercortemaggiore, a Merano, entrambe le volte con Fangio.
Si tratta essenzialmente del cambio sull’asse posteriore in blocco col differenziale e del ponte posteriore De Dion con freni entrobordo. Il ponte De Dion era stato adottato con qualche modifica anche sulla 2000 Sportiva del 1954, bellissima nella versione coupé disegnata da Franco Scaglione, pensata per essere realizzata in pochi esemplari per i clienti sportivi montando il motore della 1900 a carter secco su un telaio a traliccio, ma mai entrata in produzione perché giudicata troppo costosa.
Dai collaudi su strada si era però dimostrata estremamente efficace, e prove successive effettuate con moderni pneumatici radiali ne avevano confermato la validità. Anche da lì dunque si decide di attingere le basi progettuali di una berlina che si ponga immediatamente ai vertici della grande produzione di serie.
Con queste premesse il risultato non può che essere estremamente brillante, anche se la messa a punto di alcuni particolari creerà non pochi problemi e tempi più lunghi del previsto. L’unico elemento preso pari pari dalla produzione esistente è il motore. Il bel bialbero Alfa, nato nel lontano 1954 come 1300 cc per equipaggiare la Giulietta, in versione 1750 cc continua ad essere il migliore della sua categoria, perfettamente in linea con le esigenze di mercato del momento, potente e robusto e anche abbastanza sobrio in rapporto alle prestazioni. Con qualche ritocco ai collettori di scarico e alla coppa dell’olio raggiunge un livello di messa a punto davvero ottimale, tale da poter tranquillamente tenere alto il nome Alfa Romeo.
Tutto nuovo invece è il resto. Come detto, la soluzione tecnica più rivoluzionaria è la sistemazione del gruppo cambio-frizione al retrotreno, in blocco col differenziale. La si era già vista in passato per esempio in casa Lancia, ma si trattava dell’Aurelia dei primi anni ‘50, un’auto d’élite che per forza di cose non ha mai conosciuto una larga diffusione.
Ora invece viene adottata su un’auto di fascia media, destinata ad essere prodotta in centinaia di migliaia di esemplari su una catena di montaggio già semi-robotizzata. Il vantaggio funzionale più notevole è la favorevole ripartizione dei pesi, ma con uno scotto non indifferente da pagare perché richiede una più difficoltosa messa a punto di tutto il complesso della trasmissione.
Questo sarà infatti il problema maggiore da superare. Il lungo albero di trasmissione, pur diviso in due sezioni, si trova a ruotare allo stesso regime del motore, innescando dei fenomeni di vibrazione che solo poco prima dell’inizio delle consegne, a metà 1972, viene risolto con l’interposizione di un giunto realizzato con una gomma molto particolare tra le due metà.
Non scompariranno invece mai del tutto né i problemi di manovrabilità del comando del cambio, a causa del lungo sistema di rinvii, né una fastidiosa inerzia della frizione, le uniche pecche rimaste irrisolte. Sospensioni d’autore Una scelta determinante è l’adozione del ponte De Dion, che consente la riduzione delle masse non sospese perché il complesso frizione-cambio-differenziale, cui si aggiungono i freni a disco entrobordo, è ancorato direttamente alla scocca. Il ponte è costituito da una struttura tubolare a triangolo, col vertice collegato alla scocca attraverso un perno e le ruote poste quasi all’estremità degli altri due vertici.
Gli scuotimenti trasversali sono controllati da un parallelogramma di Watt. Barra antirollio, molle elicoidali e ammortizzatori telescopici completano il tutto. Non meno raffinata è la sospensione anteriore. È a ruote indipendenti, con triangoli inferiori e bracci trasversali superiori, in mezzo ai quali agiscono gli ammortizzatori telescopici, e barra antirollio. In questo caso gli elementi elastici sono costituiti da due barre di torsione longitudinali.
La tenuta di strada così assicurata è ai massimi livelli possibili al tempo, con un retrotreno sempre perfettamente parallelo al suolo e un’aderenza ottimale. L’avantreno dal canto suo lavora egregiamente in inserimento di curva, facilitato dalla grande precisione dello sterzo a cremagliera, che ha soppiantato i sistemi a vite e rullo ed a circolazione di sfere. I freni a disco a doppio circuito idraulico, con servofreno e regolatore di frenata al retrotreno completano un pacchetto estremamente raffinato ed esclusivo, mai visto prima in una vettura di classe media.