17 February 2023

Alfa Romeo 33

Al traguardo Il battesimo delle rinnovate 33 per la stagione 1968 avviene alla 24 Ore di Daytona. La trasferta è difficile e sofferta, ma conferma che la nuova 33/2 è una macchina veloce e affidabile, un netto passo avanti rispetto alla vettura dell’anno precedente. L’arrivo in parata voluto da Carlo Chiti è solo la premessa di un anno che si rivelerà di grandi soddisfazioni ...

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Il primo appuntamento del Campionato Internazionale Sport Prototipi 1968 è a Daytona, in Florida, per la tradizionale 24 Ore. È sabato 3 febbraio, e il panorama si presenta molto differente rispetto a quello visto l’anno precedente. I grossi prototipi fino a 7 litri di cilindrata infatti non ci sono più, banditi dal nuovo regolamento varato dalla CSI (Commission Sportive International, diventata FISA nel 1979, a sua volta scomparsa nel 1993 allorché le sue competenze sono passate direttamente alla FIA) che ha decretato la scomparsa di quei “mostri” che tanto avevano entusiasmato negli anni delle leggendarie battaglie Ferrari-Ford, delle prestazioni alate del terzo incomodo Chapparal, delle belle Lola di Eric Broadley.

Con la maratona di Daytona si inaugura l’era dei Prototipi fino a 3 litri e delle Sport fino a 5 litri. Un cambiamento che in realtà lascia perplessi gli addetti ai lavori, preoccupati per la temuta defezione del pubblico e per niente contenti di portare in gara delle macchine troppo simili a delle Formula 1 “matrimoniali”, secondo la definizione di Enzo Ferrari.

Inoltre le Sport da 5 litri secondo il nuovo regolamento devono essere prodotte in almeno 50 esemplari, uno sforzo finanziario in quel momento troppo oneroso per la maggior parte dei costruttori. Fatto sta che a Daytona lo scenario appare completamente rivoluzionato, e anche i contendenti sono cambiati. Inizia una nuova fase agonistica, con molti punti di interesse nonostante i pronostici sfavorevoli della vigilia.

L’incognita Campionato A Daytona dunque si va per conoscere da vicino i nuovi protagonisti e per capire come potrà evolvere un Campionato che fino all’anno prima aveva richiamato l’attenzione di moltissimi appassionati e persino della stampa generalista. Primo attore è la Porsche, di cui si vocifera essere pronto un nuovo Prototipo di 3.000 cc accreditato di una potenza massima intorno ai 370 CV.

Ma le attese sono deluse, perché lo squadrone tedesco si presenta con quattro coupé 907 2.200 cc, equipaggiate con la nuova unità a 8 cilindri accreditata di 270 CV a 8.600 giri per un peso totale di 600 kg. È una scelta strategica che premia la durata alla distanza, una dote proverbiale in casa Porsche a cui si vuole affidare la possibilità di vittoria.

Ci sono però anche le Alfa Romeo 33/2, che si presentano in una veste completamente rinnovata rispetto al 1967. Dopo un anno di esperienza con risultati altalenanti, l’ingegner Chiti ha sviluppato una vettura molto evoluta rispetto alla precedente, cercando di correggere le pecche evidenti che hanno impedito alla piccola sportiva milanese di prendere il comando nella classe 2.000, in cui le auto di Zuffenhausen dominano in maniera incontrastata.

Innovazioni profonde

Come è cambiata durante l’inverno la 33? Molto, anche grazie ad uno staff tecnico irrobustito dall’arrivo dell’ingegner Severi, fresco dell’esperienza in Porsche. Per quanto riguarda il telaio di differenze apprezzabili non ce ne sono, restano i grossi tubi a sezione ovale che costituiscono la struttura maestra del telaio ad H e che contengono i serbatoi, completati dalla doppia ossatura, anteriore e posteriore, con funzioni di ancoraggio per sospensioni e motore, ora in titanio anziché in magnesio.

Un telaio di ispirazione aeronautica su cui Chiti ha sempre avuto forti dubbi, ma che avendolo avuto in eredità diretta dall’Alfa Romeo lo ha costretto a innumerevoli sforzi per cercare di renderlo davvero adatto all’impiego agonistico. Ad un certo punto del suo controverso sviluppo è stato fatto addirittura un test comparativo, montando sul telaio della 33 un motore TZ2. I risultati sono stati disarmanti, perché la 33 spider così equipaggiata non riusciva a pareggiare i tempi della leggera coupé con telaio tubolare.

Ora però con la nuova vettura la situazione si dimostra molto migliorata. La modifica più appariscente è lo spostamento dei radiatori acqua e olio sulle fiancate, rispettivamente a destra e a sinistra, immediatamente prima dei passaruota posteriori. La fisionomia della macchina dunque è decisamente mutata, perché ha consentito un disegno del muso più snello e una profilatura aerodinamica complessiva molto più efficiente.

È scomparso il voluminoso snorkel sopra il cofano motore, indispensabile nella prima versione per alimentare d’aria l’aspirazione, e tutto appare più attuale ed intonato al livello prestazionale ricercato. Sia in configurazione chiusa che aperta, trasformazione possibile con la semplice asportazione del tettuccio in fibra di vetro, anche l’estetica ne ha guadagnato essendo più aderente ai canoni correnti di un’auto da competizione.

Le sospensioni sono state semplificate ed alleggerite, con uno schema posteriore molto simile a quello in uso sulle Formula 1, per consentire un centro di rollio più basso e l’aggiunta di una barra antirollio facilmente regolabile.

Aggiornato anche l’impianto frenante, con pinze e dischi freno maggiorati, raffreddati posteriormente grazie ad una presa d’aria laterale e ad una doppia canalizzazione che porta aria fresca nella zona cambio-differenziale. I cerchi Campagnolo mantengono il disegno tradizionale ma sono più larghi, 10x13” all’anteriore e 12x13” al posteriore. Cambio ad imbocchi facilitati, a sei marce.

Verso i 3 litri
Il motore invece, un progetto originale di Chiti, è rimasto il noto 8 cilindri a V di 1.995 cc, a doppia accensione e iniezione indiretta, accreditato in versione Daytona di circa 260 CV a 9.000 giri. Un’unità molto ben concepita, che ha raggiunto un buon livello di maturità e che tuttavia deve ancora dimostrare di mantenere integra la sua efficienza per tutto l’arco delle 24 ore di gara.

È comprensibile però che a causa delle variazioni regolamentari il limite dei 2.000 cc vada troppo stretto anche all’Alfa Romeo. Per puntare all’assoluto occorre infatti arrivare ai 3.000 cc consentiti per i Prototipi, unica chance per combattere con speranza di vittoria sia le Sport da 5.000 cc sia le future Porsche, che si dice stiano collaudando un 8 cilindri da 2.650 cc (in pratica il vecchio motore della Carrera 6 cui sono stati aggiunti due cilindri) in attesa di rendere competitivo e affidabile il tre litri già in fase di sviluppo.

In realtà Chiti avrebbe la possibilità di utilizzare il suo 8 cilindri in versione 2.500 cc, verosimilmente lo stesso motore che ha venduto a Frank Gardner per le gare della Tasman Cup e che ha garantito ottime prestazioni. Ma l’opzione è rimandata, la si vedrà più in là nel corso della stagione, perché anche in Autodelta si sta già lavorando alla versione 3 litri. Comunque pur così equipaggiata la 33 Daytona, come verrà universalmente chiamata, ha tutte le possibilità di ben figurare, grazie anche al peso contenuto in poco più di 630 kg e ad una tenuta di strada che nei test preliminari del dopo-Natale si è rivelata molto buona.

Arrivare in fondo L’avvio dell’avventura americana è però difficile per l’Alfa Romeo. Un suo pilota di punta, proprio quello che stava facendo registrare i migliori tempi sul giro dell’intero squadrone di quattro macchine, il “romanino” Ignazio Giunti ha avuto un brutto incidente in prova.

A causa del fondo bagnato, o forse per l’improvviso afflosciamento di un pneumatico, all’imbocco della sopraelevata la sua 33 è andata in testacoda per poi sbattere contro il muretto, perdere una ruota e innestare una violenta carambola capovolgendosi. Si è temuto molto per Ignazio, ma per fortuna i danni fisici si sono limitati ad una forte abrasione al braccio destro e al volto, causata dalla lunga strisciata sull’asfalto.

Le conseguenze tuttavia sono la distruzione della vettura e l’immobilizzo di Giunti, oltre naturalmente all’appiedamento del suo partner designato, Nanni Galli, rimasto solo. Alla partenza si presentano dunque tre macchine e tre equipaggi: Nino Vaccarella-Udo Schutz, Mario Andretti-Lucien Bianchi, Mario Casoni-Giampiero Biscaldi. Tutti piloti veloci e di provata esperienza, con due inserimenti inaspettati: Udo Schutz, proveniente dalla Porsche insieme all’ingegner Severi, e Mario Andretti, una icona per il pubblico americano e ammiratissimo anche in Europa perché estremamente efficace su ogni genere di vettura.

Per di più oriundo italiano. La consegna per tutti è una sola: arrivare comunque al traguardo, ovviamente nella miglior posizione possibile, per dimostrare la trovata affidabilità a fronte delle prestazioni migliorate dopo la difficile esperienza del 1967. Per completare la presenza della Casa milanese si aggiungono altri due equipaggi iscritti nella categoria Turismo con le GTA, Leo Cella-Teodoro Zeccoli e Enrico Pinto-Spartaco Dini. Lotta impari Al “pronti, via!” succede esattamente quello che era stato pronosticato.

Le redivive Ford GT 40, ex-Mirage già Prototipo nel 1967 ora misteriosamente riconvertite e omologate come Sport, prendono subito il sopravvento, favorite dalla cura di John Wyer che le ha fatte dimagrire di ben 200 kg e crescere fino a 4.700 cc dotandole pure di testate Gurney-Welake: la potenza ottenuta è di circa 410 CV. L’astro nascente Jacky Ickx e l’esperto Paul Hawkins balzano al comando, dopo aver segnato i due migliori tempi in prova.

Sembra di essere tornati indietro nel tempo, ma d’altra parte le GT 40 in questo inizio di campionato possono contare su un vantaggio di potenza davvero enorme. Persino le grosse Gran Turismo americane come le Corvette e le Trans-Am, e cioè le Turismo preparate come le Camaro, con i loro enormi motori da 5 o 7 litri sono più prestanti dei leggeri prototipi Porsche e Alfa Romeo, anche se in quanto a tenuta di strada e frenata fanno la classica figura di elefanti in una cristalleria.

Gli organizzatori le hanno volute per fare numero, e d’altra parte la pista di Daytona ben si presta al gioco. È un classico ovale con le curve sopraelevate cui si aggiunge una breve parte mista secondaria, abbastanza impegnativa e che richiede una buona maneggevolezza. La messa a punto ideale è dunque una sorta di compromesso, che consenta ottime prestazioni velocistiche ma che non pregiudichi la tenuta di strada sul misto.

Le auto americane privilegiano tradizionalmente le punte velocistiche, mentre gli europei cercano la soluzione intermedia. Questa volta però la Porsche ha scelto per le sue 907 una configurazione a coda lunga, tipo Le Mans, e di fatti sul misto le vetture tedesche dimostrano di non essere a proprio agio. Al contrario delle 33/2, che proprio lì riescono ad avvantaggiarsi. Ma le auto tutte muscoli non reggono la fatica, e poco alla volta si ritirano dalla gara con cambi polverizzati e motori stracotti.

Lo stesso Ickx è tra i primi a mollare, dopo un paio d’ore in testa e con Hawkins già attardato. A metà gara le Porsche 907 sono saldamente in testa: i 200 cc in più rispetto alle 33/2 si fanno sentire e trasformano le macchine tedesche in rulli compressori che con una corsa regolare distanziano i coupé milanesi. Ma Chiti ai suoi l’ha detto chiaro e tondo: non forzate, conquistiamo la classe 2.000 cc Prototipi e soprattutto arriviamo in fondo.

E così è, avanti dunque con giudizio, se possibile, combattendo come al solito con la sfortuna che pare proprio tentarle tutte per far fallire il piano. L’evento più drammatico accade alla quarta ora, quando ad una Mustang esplode il motore con conseguente inondazione d’olio sulla pista; ci capita sopra Gerhard Mitter con la Porsche 907 di testa, sbanda centrando il muretto di delimitazione della pista e subito la macchina si cappotta rovinosamente.

Lo stava seguendo Lucien Bianchi con la 33/2: il pilota italo-belga si avvede improvvisamente del pericolo, riesce a frenare indenne ed a evitare l’ostacolo, ma viene tamponato dalla Porsche di Spoerry e spinto lontano dal disastro, in cui finisce anche la Ferrari Le Mans di Masten Gregory.

La 33/2 così si salva e prosegue, ma la carrozzeria deve essere rattoppata più volte con parecchio nastro adesivo per farla stare insieme, finché al box si decide di sostituire integralmente il cofano posteriore. Reagire alla sfortuna Ventiquattr’ore di gara sono lunghe, tutto può succedere, la resistenza meccanica e quella dei piloti è messa a dura prova da una serie infinita di piccoli imprevisti o da veri colpi di sfortuna.

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Tutti ne sono vittima, chi più chi meno. La stagione e le condizioni della pista di Daytona poi collaborano ulteriormente a complicare la situazione. Durante la notte il clima invernale e tuttavia mite della Florida si fa più freddo, già in alcune passate edizioni della gara la temperatura aveva raggiunto lo “zero” se non addirittura qualche grado sotto di esso.

Gli sbalzi termici e l’abrasione continua dei grossi pneumatici da corsa sgretolano l’asfalto. Inoltre di notte le traiettorie si fanno meno precise, spesso i piloti mettono le ruote leggermente fuori pista e sollevano sabbia, brecciolino e piccoli sassi, che vengono scagliati contro le macchine che seguono. I primi a farne le spese sono proprio i pneumatici, che difatti hanno vita breve un po’ su tutte le macchine.

Vaccarella con la sua 33/2 è però particolarmente sfortunato, perché subisce anche parecchie forature. Andretti e Casoni invece devono ricorrere alle cure del box per i loro radiatori, che sulle 33/2 come detto sono sulle fiancate e particolarmente esposti, perché il mitragliamento frequente causa piccole lesioni con pericolosa fuoriuscita di liquido. Casoni poi arriva anche con un faro frantumato da un sasso più grosso degli altri, perdendo ulteriore tempo per una riparazione non rapidissima. Gli uomini dell’Alfa Romeo sono sottoposti ad un lavoro incessante non certo per rimediare a problemi di affidabilità e di tenuta alla distanza, quanto piuttosto per cercare di contrapporsi ai tiri mancini della sorte che sembra accanirsi contro di loro.

Ma si resiste, sia in pista che al box, perché l’obiettivo è lì a portata di mano e bisogna a tutti i costi agguantarlo.

Con l’avvicinarsi dello scadere della 24a ora, le tribune sul rettilineo d’arrivo si vanno sempre più affollando. L’attesa per il gran finale è fremente, tutte le squadre hanno tirato i remi in barca, le posizioni sono acquisite e nessuno è più disposto a rischiare nulla visto che ormai gli spazi di manovra sono quasi inesistenti. Solo Mario Casoni si concede un ultimo guizzo e riesce a superare la Ferrari 250 Le Mans degli argentini Ortega-Merello, conquistando così la settima posizione, subito dietro le vetture gemelle di Vaccarella-Schutz e Andretti-Bianchi.

Ai primi tre posti ci sono le tre Porsche 907 rimaste in gara, che hanno dato ulteriore prova della loro teutonica indistruttibilità oltre che delle brillanti prestazioni. Non fosse per il quarto incomodo, la grossa Ford Mustang di Titus-Bucknum, subito dietro di loro ci sarebbero le tre Alfa Romeo, rispettando così in pieno la gerarchia delle forze in campo, vista la sparizione delle GT 40 e di quasi tutte le superdotate da 5 e 7 litri.

L’ingegner Chiti, ben spalleggiato da Severi, e tutti i componenti del team del quadrifoglio sono visibilmente felici del risultato che sta per concretizzarsi: le tre 33/2 partite stanno tutte arrivando in fondo, ferite ma in piena efficienza, per conquistare i primi tre posti della categoria Prototipi fino a 2.000 cc lasciando alle Porsche 2.200 cc la vittoria assoluta. Peccato per quella Mustang, ma non importa, si può e si deve festeggiare lo stesso.

La decisione è presa: sarà un arrivo in parata, esattamente come quello dell’anno precedente con le tre Ferrari, due P4 e una P3/4, che per volere dell’allora direttore sportivo di Maranello, Franco Lini, stupirono il pubblico americano lavando l’onta Ford di Le Mans ’66. Quando la bandiera a scacchi del direttore di gara si abbassa alle 15,00 del 4 febbraio 1968, sul traguardo passano in parata le tre Porsche 907 vincitrici e le tre Alfa Romeo 33/2 prime di categoria e ai posti d’onore, seguite dalla GTA superstite di Cella-Zeccoli.

Una pennellata bianca e una rossa sull’asfalto di Daytona a celebrare in terra americana l’orgoglio sportivo della tecnologia dell’automobile europea. E un trampolino di lancio per la 33/2, che proprio quell’anno, ripetendosi alla 24 Ore di Le Mans, vincerà il Campionato Mondiale Sport Prototipi classe 2 litri.

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