Dopo un periodo di assestamento per uscire alla meno peggio dalle devastazioni della guerra, che tra l’altro aveva distrutto il suo stabilimento, l’Alfa Romeo nel 1950 è pronta a ripartire. Con un entusiasmo tale da far scommettere sul futuro del Portello e dell’automobile in generale; entusiasmo che porta a un cambio radicale nella produzione della Casa, fino a quel momento composta da modelli di altissima gamma. Proprio da questi erano derivate le auto dell’immediato dopoguerra: si doveva fare di necessità virtù e comunque, pur obsolete, quelle automobili erano di immenso fascino. La volontà di cambiamento nel rnnovamento porta alla 1900. Hanno un bel dire i lancisti che la loro vettura è più signorile, più silenziosa e più elastica: è vero, ma appare come una magra consolazione perché, ogni volta che su strada incontrano un’Alfa 1900 sono paghe sonore e mal digerite.
L’Alfa è consapevole che con la 1900 sta ponendo le basi della propria fama di costruttrice di vetture pratiche ma con “qualcosa in più” in termini prestazionali. In breve, presenta versioni ancora più potenti: inizia nel 1952 con la TI da 100 CV per 170 km/h (velocità stratosferica per una berlina di allora); e non è finita perché, appena un anno dopo (1953), procede all’aumento di cilindrata alla soglia dei due litri (dai 1.884 cc originari ai 1.975 cc) per una versione più “pastosa”, la Super da 90 CV, e per la combattente di famiglia: la TI Super con un motore ampiamente rivisto, dotato di doppia catena silenziosa per il comando della distribuzione e di due carburatori invertiti doppio corpo.Questo pregevole insieme sviluppa addirittura 115 CV per oltre 180 km/h ed è quello montato anche sulla versione per la Polizia Stradale: la Pantera che tutti conosciamo.
Per capire fino in fondo l’importanza storica della rivoluzione compiuta dall’Alfa Romeo con la 1900 basta pensare alla fine che hanno fatto le sue due maggiori concorrenti degli anni prima della guerra: la Delahaye e la Talbot Lago, marchi di grandissimo blasone ma entrambi travolti dall’incapacità di superare, data la mancanza di un modello adatto ai tempi, i magri anni ‘50. Pur con tutte queste energie orientate alla produzione in serie della nuova berlina (che comporta anche la rivoluzione industriale della catena di montaggio, con gli investimenti annessi), l’Alfa Romeo non intende trascurare la clientela tradizionale viziata da carrozzerie fuori serie e quindi, fin dal 1951, predispone il telaio tipo C (Carrozzieri) con passo accorciato a 2.500 mm (contro i 2.630 delle berline); su di esso si cimentano tutte le più importanti firme del tempo e nascono alcuni capolavori firmati solitamente da Pinifarina e Zagato.
Ma la parte del leone, forte di un rapporto privilegiato che risale agli anni ‘30, la recita Touring che allestisce le belle versioni sportive messe in listino direttamente dalla Casa madre.La prima 1900 Sprint è del 1951 e, accanto a un muso abbastanza simile a quello della berlina TI da cui deriva, presenta il padiglione e la coda evidentemente ispirati a quelli della già citata Villa d’Este; impostazione che sarà grosso modo mantenuta anche sulla successiva serie del 1954 e sulla prima Super Sprint allestita con meccanica della TI Super e dalla vita brevissima (il solo 1955). Su questi modelli la mano di Carlo Felice Bianchi Anderloni rimane quindi visibile mentre per l’edizione del 1956 l’autore esclusivo della linea diventa Federico Formenti, creatore delle più famose realizzazioni della Touring degli anni ‘60, che compie un passo avantimolto significativo facendo propri alcuni stilemi della neonata Giulietta Sprint (tanto che oggi alcuni la definiscono “Giuliettona”) in nome di un giusto “family feeling”.
Estremamente lineare, piacevole ed equilibrata è, oltretutto, offerta con una gamma colori accattivante che comprende il magnifico verde Oceano della vettura del servizio; oltre a favorirne il buon successo commerciale con 349 esemplari venduti in tre anni, il nuovo sobrio aspetto della Super Sprint consente alla Touring, e quindi anche alla committente Alfa Romeo, un buon risparmio nel costo di costruzione rispetto alle più movimentate scocche precedenti. La ridotta sezione frontale, l’assenza di fronzoli e il nuovo cambio a cinque marce con comando a leva centrale (finalmente!) che permette una maggiore distensione dei rapporti, porta la Super Sprint a superare i 190 km/h, un valore che non ha bisogno di commenti; tanta furia è tenuta sotto controllo da enormi freni a tamburo alettati che, belli anche da vedere, occhieggiano dietro i raggi delle ruote. Durante il secondo anno di produzione di questa serie, il 1957, l’Alfa Romeo richiede alla Carrozzeria milanese anche la versione spider; in questo caso la linea, come si può vedere dalle foto, da molto bella diventa mozzafiato e quindi, vista anche l’indiscutibile bontà della meccanica, non si riesce a capire come mai non sia poi stata prodotta in serie (l’unica ipotesi che ci viene in mente è il desiderio di concentrarsi sulla nuova Giulietta Spider, commercialmente più promettente).