I tempi ormai erano maturi, nacque l’idea di una collezione Alfa Romeo e gli amici divennero sei. Amici e cultura. Già carismatico e promotore d’entusiasmi, a soli vent’anni Gippo Salvetti, insieme al fratello Stefano e agli altri amici di sempre, Guido delli Ponti, Claudio Bonfioli ed Emilio e Giorgio Garavaglia, è stato in grado di fondare proprio 50 anni fa, il 14 febbraio 1972, l’Alfa Blue Team, gettando così le basi di quella che sarebbe diventata una delle più straordinarie collezioni di Alfa Romeo, la più significativa perché spazia dalle auto ai veicoli commerciali, ai camion e ai pullman, ai singoli motori.
Perché solo del dopoguerra, gli chiedo: “Perché le Alfa dell’anteguerra erano l’eccellenza assoluta nel panorama mondiale dell’auto ma erano un altro mondo, lo sono ancora oggi da un punto di vista collezionistico, lontane da noi e dal nostro portafogli.”
La vostra generazione è forse l’ultima ad aver vissuto in pieno il mito dell’automobile. Cosa resta oggi di quel mito? Ben poco, a causa anche della massificazione delle auto moderne. Rimangono forse le supercar, interessanti per giovani e medio-giovani. Con una differenza: la supercar incuriosisce per la persona che la guida, l’auto d’epoca attira per il fascino che emana. Se passa una Giulietta Spider o una Giulia TI tutti la guardano.
Ma di quello che abbiamo sentito noi negli anni 70 rimane ben poco. A noi piaceva leggere il libretto di uso e manutenzione, fatto di 70 o 80 pagine, oggi quel libretto è di 400 pagine quasi tutte dedicate all’elettronica di bordo. Della meccanica non se ne parla più.
L’elettronica ha legato il valore dell’auto all’uso che se ne fa, come accade per una lavatrice.
Ti consideri ancora appassionato di automobili? Assolutamente sì, appassionato di belle automobili, che hanno una storia, un contenuto, una qualità, un significato che magari rischia di essere perso. Riesci ad immaginarti ventenne appassionato nel 2022?
Da quando cinque o sei anni fa abbiamo aperto l’Alfa Blue Team ad appassionati che vengono a farci visita da tutto il mondo, abbiamo notato che gli alfisti tedeschi, francesi, norvegesi, americani, australiani eccetera sono molto più alfisti degli alfisti italiani. Si avvicinano a questo marchio con quella che può essere considerata l’ultima vera Alfa Romeo, la 75, ma anche con la Mito, con la 147, con la 156 di cui sono orgogliosi proprietari, consapevoli del fatto che se la storia dell’Alfa-Alfa finisce dove inizia quella dell’Alfa-Fiat, non per questo si sia smesso di fare buone auto. Alla festa dei vostri 50 anni hai citato il verso di Pietro Ingrao: “Pensammo una torre, scavammo nella polvere”.
La torre voi l’avete costruita: ti piace o la vorresti diversa? La torre certamente mi piace, ma alla base ha un cartello enorme con la scritta “Lavori in corso”. Non è una torre finita, perché una collezione per sua definizione è sempre aperta, in divenire. I sogni li devi sempre avere, perché sognare non costa nulla: domani potresti anche aggiungere una 33 Stradale, chi può dirlo.
E’ una torre che abbiamo costruito col supporto di tanti amici e soci che sono rimasti con me fin dall’inizio e altri che si sono aggiunti con lo stesso spirito, di essere pochi e amici, di collaborare per il piacere di stare insieme. La differenza tra l’Alfa Blue Team e la maggioranza dei club di auto d’epoca è che da noi si cena insieme, e questo cenare insieme vuol dire essere compagni, nel senso etimologico latino: “cum panem”.
Condividere il pane vuol dire essere amici, conoscersi, vuol dire tessere un’amicizia tutti i giovedì sera, come noi facciamo, in mezzo alle nostre automobili. Non parliamo di automobili ma con le automobili, le vogliamo lì, a portata di voce, di passione, per creare una discussione e fare club. E’ una storia irripetibile quella dell’Alfa Blue Team? Abbiamo potuto recuperare tante auto così importanti solo in tempi fortunati. Inoltre oggi non sarebbe possibile costruire 1000 esemplari di un’auto come la Junior Zagato, che tra l’altro Ercole Spada considera il suo capolavoro.
Oggi si può fare una serie speciale di 1000 pezzi di un modello costruito in decine o centinaia di migliaia di esemplari, ma non avrà mai un senso storico. Da questo punto di vista sì, la storia dell’Alfa Blue Team appare irripetibile. Sei Presidente dell’Alfa Blue Team dalla fondazione, ma ad un certo punto, nel 2005, hai dato le dimissioni: uno shock per tutti, anche se poi sei stato rieletto.
Perché e cosa è cambiato? Non è cambiato moltissimo, ma è stata una scossa utile. Sono stato consigliere del RIAR (Registro Italiano Alfa Romeo) quando alla presidenza c’era Giovanni Lurani, personaggio di grande cultura, di grande tratto, di grande competenza; poi c’è stata la fase che mi ha allontanato, quella con la presidenza di Stefano d’Amico con cui non mi trovavo d’accordo su molti punti.
Una cosa che mi ha sempre dato molto fastidio sono le conferme del Presidente uscente per acclamazione, perché vuol dire trasformare il presidente in un imperatore, e questo non va bene. In Alfa Blue Team fino al 2005 è sempre stato così, e allora ho scatenato lo tsunami. I soci si sono resi conto che bisognava rendere tutto un pochino più serio. Sono stato rieletto, ma con una votazione, non più così alla buona, abbiamo definito meglio le attività e ora va tutto molto meglio. Però siamo sempre un club ristretto, ma non per spirito d’élite: perché tutto funzioni bisogna essere in pochi e soprattutto amici.
L’Alfa Blue Team non è soltanto 1900, Giulietta e Giulia: è anche veicoli commerciali, pullman e camion: quando è iniziata la raccolta e a che punto è? La raccolta dei veicoli commerciali leggeri è cominciata quarant’anni fa, col riconoscimento dell’A12 carro attrezzi Scattolini con cui il nostro meccanico di allora aveva recuperato per noi auto un po’ in tutta Italia. Vennero poi i Romeo e gli F12 che, con motore Giulietta, stavano perfettamente in una collezione alfista. Vent’anni fa ne avevamo già più di una ventina, poi ci siamo indirizzati anche sugli autocarri pesanti e addirittura sui pullman e sugli autobus.
Oggi si possono ancora acquistare bene perché poco “attenzionati” come si dice, ma tra una decina d’anni saranno del tutto introvabili perché molti verranno eliminati. Non avranno mai un grande valore monetario, ma storico sì, e noi vogliamo conservarlo. E’ già una raccolta molto importante, anche numericamente, ma richiede molto spazio.
E poi raccogliamo motori d’aereo, statici, per la nautica, oppure motori per generatori di corrente: tutte cose che appartengono all’attività industriale Alfa Romeo e che rappresentano un pezzo di storia importantissimo.
Avete raccolto delle auto meravigliose e avete conosciuto molti degli uomini che le hanno rese possibili: cosa vi hanno lasciato?
Ci hanno lasciato una firma sul nostro libro degli ospiti: questo vuol dire molto, perché dietro quelle firme c’è stata una presenza, c’è stato un racconto, c’è stata una condivisione, c’è stato un aumento di conoscenza, e la conoscenza, come testimoniato anche dagli oltre 8.000 volumi della nostra biblioteca, è fondamentale perché va di pari passo col concetto stesso di collezione. Quanto ci trovi di tipicamente italiano nel fenomeno Alfa Romeo? Ci trovo l’ingegno e la fantasia, il coraggio di percorrere strade nuove, difficili, di rischiare, di perdere come successe all’ing. Nicola Romeo, di cadere e di rialzarsi.
Ci vedo anche molto della laboriosità milanese, nonostante Romeo fosse di origine lucana. L’epilogo invece è legato purtroppo al prevalere della finanza sul prodotto. Come vedi il futuro dell’Alfa Blue Team? Come quello di una fondazione, portata avanti dai miei figli e dai soci giovani. Quello che abbiamo creato va mantenuto. Ai giovani possiamo passare la nostra passione perché alfisti non si nasce, si diventa.