06 December 2022

ABARTH 1000 BIALBERO, Emozioni uniche

È stata campionessa della sua categoria nei primi anni Sessanta grazie ad un felice matrimonio tra potenza e peso ridotto, e ancora oggi le linee affascinanti e il carattere grintoso della Bialbero sanno come sedurre. Vi raccontiamo come si guida questo bolide, basso, corto e velocissimo...

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Il tachimetro segna poco più di 80 km/h, ma stando a quanto riferitomi dalla camera car che ci segue ho appena fatto l’ultima curva a 115 km/h. L’indicatore del carburante rileva più benzina rispetto a 60 km fa e sto vivamente sperando che almeno l’ago della temperatura dell’acqua non mi stia mentendo.

Il termometro della temperatura interna invece segna 42 gradi celsius, e a malincuore so che è la verità. Le auto da corsa, piccole o grandi che siano, classiche o ultramoderne hanno tutte due cose in comune: sono tremendamente eccitanti da guidare e i loro abitacoli in estate somigliano più a fornaci per modellare il vetro. La piccola Abarth 1000 Bialbero non fa eccezione. Dentro non troverete aria condizionata né tantomeno flebili ventole, e i finestrini in plexiglass scorrono orizzontalmente per meno della loro metà, giusto per farvi sapere che nel mondo esterno esiste ancora della brezza. Sto lottando con ogni singolo componente della 1000 Bialbero e tra l’impegno fisico al volante e le temperature estive sono madido di sudore, quasi stessi conducendo la mia corsa personale.

Le dimensioni “da caramella” possono far sorridere, ma la Abarth 1000 Bialbero negli anni Sessanta è stata una fuoriclasse nella sua categoria – e non solo – andando ad arricchire il palmares delle sue antenate. Tutto è cominciato nel 1955 con la Abarth 750 Zagato, frutto del talento di Elio Zagato per le forme eleganti e funzionali e di quello di Karl Abarth per le preparazioni, un connubio perfetto.

Il designer italiano e l’imprenditore austriaco stipulano un accordo che compensa le carenze reciproche (nel caso di Abarth il non essere ancora costruttore e nel caso di Zagato la meccanica) sviluppando sul pianale di una Fiat 600 una vettura con carrozzeria in allumino e struttura tubolare d’acciaio, mossa da un 747 cc di cilindrata capace di erogare 44 CV per 535 kg.

È subito un successo, e dopo la tripletta di classe alla 1000 Miglia del 1957 partirà un filone che vedrà evolversi sia l’aerodinamica che le prestazioni, fino alla Abarth 1000 Bialbero, presentata nel 1961 al Salone di Torino.

Il propulsore da 1.0 litro (progettato anche grazie all’aiuto di Gioachino Colombo) oramai è in un altro ramo genealogico rispetto a quello ad aste e bilancieri della Fiat 600 dato che la stragrande maggioranza dei componenti è stata cambiata o elaborata. Testata con doppio albero a camme in testa, corsa e alesaggio incrementati, un maggior rapporto di compressione, camere di combustione emisferiche, due carburatori Weber da 36 mm, un cambio a cinque marce (con schema ad H rovesciata) e una potenza di ben 95 CV a muovere un peso intorno ai 570 kg.

Nel 1962 tuttavia, per uno screzio tra le due geniali menti, Abarth si rivolge alla Carrozzeria Beccaris che sviluppa ulteriormente il corpo in alluminio rispetto all’anno precedente: compare una bocca anteriore con radiatore frontale, i fari diventano carenati e l’aspetto è ancora più slanciato e aggressivo, mentre sulla fiancata si legge distintamente “Carrozzeria Abarth”.

La minuscola auto da corsa (meno di 3,5 metri!) è un distillato di prestazioni, con una velocità superiore ai 190 km/h – che in seguito diventeranno persino 210 km/h – e una miriade di vittorie di classe nella categoria 1.000 cc, con qualche frequente piazzamento nelle classifiche assolute.

Nel 1962 la Abarth 1000 vince la 500 km del Nürburgring, domina la sua classe nel Campionato Italiano e conquista anche il titolo mondiale Costruttori per la Divisione 1 (fino a 1.000 cc) Gran Turismo sbaragliando la concorrenza. Risultati enormi per una vettura che pare un modellino. Il nostro esemplare è del 1962, restaurato di recente e con un passato sportivo generoso. Fu acquistato inizialmente da Sebastiano Andolina, siculo, che lo vendette l’anno dopo a Francesco Patané, intenzionato ad usarlo per svariate corse locali. Partecipò tra i tanti eventi alla Trapani-Monte Erice, alla 3 Ore di Siracusa, alla Coppa Nissena e lo stesso prese parte un paio di volte alla Targa Florio, la seconda proprio al volante di una Abarth 1000 Bialbero però “codatronca”. Il salone dove ci troviamo è pieno di rari tesori d’epoca, eppure la Bialbero riesce a farsi notare senza sforzo.

Dal vivo è ancora più minuta – mi arriva poco sopra la vita – e davvero bella, specialmente di tre quarti anteriore. Lo sguardo scivola sulla carrozzeria seguendo prima la curvatura delle carene dei fari, il tetto fluido e discendente giungendo fino al posteriore, così acquattato e teso da sembrare in accelerazione anche da fermo. I cerchi Campagnolo sono stupendi e i passaruota gonfi li drappeggiano talmente bene che la carrozzeria pare un abito da sera cucito su misura per Alica Schmidt (una campionessa di atletica, e sì, è un incanto). Controlliamo che tutto sia al suo posto e che la batteria non si sia scaricata, riempiamo parzialmente il serbatoio anteriore e siamo pronti ad accendere quel quattro cilindri che con il suo litro di cilindrata ha fatto la storia.

La cubatura sarà anche la stessa di una Fiat Uno 45 F.i.r.e. ma il bialbero si risveglia subito con maleducazione. Le candele incendiano benzina e aria, le valvole si aprono e tutti i gas residui si precipitano all’esterno attraverso lo scarico a sbalzo realizzato da Abarth, con un sound molto più maturo e rumoroso del previsto. Poi c’è la questione dell’ingresso nell’abitacolo. Per quanto robusto sono contenuto in 176 cm e ancora giovane, chi invece si avvicina al metro e ottantacinque o più… meglio sia cresciuto a pane e ginnastica. L’interno è ancora più sacrificato dell’esterno, ricordandomi la Lotus Elise S1: calarvi sui sedili non è tragico agli stessi livelli (se mai ci siete riusciti conservando la dignità fateci sapere) ma non ci andiamo tanto lontani.

Io e Cristiano ci incastriamo nella Bialbero e con lui alla guida ci avviamo verso la Franciacorta, la location scelta per gli scatti, relativamente tranquilla, con dei panorami molto piacevoli e vicina a noi per evitare una maratona a questa classica del ‘62. In movimento, al fragore dello scarico si uniscono i fischi del cambio a cinque marce e tutti gli scossoni derivati dalle rigidissime sospensioni, un costante richiamo alla sua indole corsaiola. Ci passa accanto un VW Maggiolone moderno, ed è come se ci avesse superato un Defender 110 rialzato per fuoristrada; ci si sente proprio piccoli qui dentro, e appiccicati all’asfalto.

Visitiamo diversi angoli cosparsi di vigneti, campi e cantine e la Abarth seppur fuori dal suo elemento (non le piace star ferma) porta pazienza, sono più io in realtà che fremo dal riporre la Canon per prendere in mano il suo vissuto volante da corsa. Terminiamo gli scatti con gente che spesso e volentieri ci saluta e alza i pollici in direzione della Bialbero, e finalmente posso nuovamente contorcermi nella fornace di alluminio e plexiglass per conoscere a fondo questo capolavoro in scala 1:2.

La chiave d’accensione (a destra del volante) va contro intuito girata a sinistra per far scattare la pompa benzina, poi si preme il pulsante di avviamento alla nostra sinistra ed ecco che il quattro cilindri a doppio albero a camme in testa torna a fare la voce grossa. Le auto da corsa sono rudi e la Bialbero non vuole sforzarsi molto per semplificarvi la vita.

La frizione è pesantissima, specialmente ad inizio corsa, e il cambio ad H rovesciata è fluido dalla seconda in su, la prima invece sembra ricavata direttamente dal cemento. Dovete premere il raffinato pomello verso il basso e spostarlo (con forza) dove normalmente vi aspettereste la seconda, aspettate un sonoro “clunk” e solo allora potete partire.

Sollevo quel macigno di frizione e scorro rapidamente le marce per prendere confidenza con la trasmissione: la seconda richiede attenzione, terza, quarta e quinta scivolano via agili con la giusta dose di grazia e forza; è un cambio rude che richiede abilità, ma come un genitore severo sa come ricompensarvi.

La rapportatura peraltro sembra quella di una moto, devo costantemente cambiare marcia mentre il quattro cilindri si invola in un baleno sopra i 7.000 giri. In scalata è comunque meglio fare il punta-tacco o la doppietta, anche per non gravare troppo su sessant’anni di componentistica.

Mi aspettavo persino di più da quasi 100 CV per meno di 600 kg, può sembrare una potenza irrisoria fintanto che non fate un rapido calcolo e scoprite che questa adorabile vettura da corsa degli anni 60 ha un rapporto CV/tonnellata parecchio superiore ad una Grande Punto Abarth Essesse moderna. Il quattro cilindri è impaziente di prendere giri, brama di lavorare sempre sopra i 4.500 giri e non avrebbe problemi a passare gli 8.000, anche se per oggi ci accontentiamo di stare attorno ai 7.000.

Peccato che la messa a punto non sia ancora ottima e che i doppi Weber carburino a singhiozzi a 4.000 giri generando un leggero vuoto, che si ripercuote anche a fondo scala. Detto ciò, non vuol dire che la 1000 Bialbero sia lenta.

Mi sono volutamente infilato su strade secondarie poco trafficate che collegano sperduti paesini della Franciacorta cercando di estrapolare il meglio (nei limiti del ragionevole) dalla Abarth, il cui grintoso motore romba alle mie spalle. Chilometro dopo chilometro resto colpito dalla verve e dalla tenuta di questa creazione, ancor più quando scopro che il tachimetro segna – quando va bene – 20 km/h in meno del reale!

Lo sterzo è una vera lotta, tende ad andare da tutte le parti e ha un grosso punto morto centrale, non esiste secondo senza che dobbiate girarlo di qua e di là per correggere l’indisciplinata Abarth; tra le marce ravvicinate e il volante devo muovermi talmente tanto che se avessi i polsi attaccati ad una dinamo potrei ricaricare un paio di batterie da 6V. Sotto sotto però è preciso e trasparente, e soprattutto dà sufficiente fiducia per capire che le vecchie gomme da 13’’ e il telaio nato per cronoscalate e gare internazionali producono una tenuta laterale elevatissima, tanto più in rapporto alle dimensioni “da saponetta”.

Mi lancio in una curva a destra dopo una rapida doppietta, i tromboncini di aspirazione (che goduria) ruggiscono e tutto il telaio si sforza per mantenere la traiettoria stabilita, facendomi uscire come un proiettile sparato da una pistola giocattolo; la relazione con la Abarth è a due vie, dovete dare tutto voi stessi e lei vi ricompenserà di conseguenza. Trattatela con pochi riguardi o ancor peggio con poca abilità e saranno disastri.

Lo sterzo è lunatico, l’abitacolo è scomodo e torrido e le sospensioni sono talmente rigide che mi riprometto di verificare che le molle non siano state rubate la notte prima, eppure la 1000 Bialbero non resta indietro in quanto ad emozioni. Dopotutto è una purosangue da corsa in una classe dove dimostrò di poter dominare grazie al suo design scolpito e al motore all’avanguardia, ed è un vero piacere poter avere a che fare con il suo carattere scorbutico e sincero.

Non smussa i suoi metaforici angoli per voi, siete voi che dovete impegnarvi per accettare e gestire tutta quella fisicità al volante, scoprendone qualità innate. Terminato il servizio fotografico e la prova sono tornato a casa in condizioni pietose e agognando una doccia, capace di lavare via tutto il sudore causato dalla Abarth 1000, ma di certo non le sue emozioni uniche. Un ringraziamento a Cristiano Luzzago per averci messo a disposizione la 1000 Bialbero.

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