11 May 2011

Tecnica: La guerra ai chili di troppo

Ibridi, motori evoluti, cambi intelligenti, carburanti alternativi. Il tutto, spesso, per consumare come le versioni di 25 anni fa. Ma che succede alle nostre auto? Fondamentalmente, sono ingrassate....

Introduzione


Ibridi, motori evoluti, cambi intelligenti, carburanti alternativi. Il tutto, spesso, per consumare come le versioni di 25 anni fa. Ma che succede alle nostre auto? Fondamentalmente, che sono ingrassate.  E pare arrivato il momento di metterle a dieta.


La bilancia, da che mondo è mondo, è fonte di frustrazioni: e non è da escludere che proprio all’inoppugnabilità dei suoi referti sia legata l’avversione di molti di noi alle misure, e alla crudezza del numero. Ma le misure e i numeri, spesso, permettono di fare delle scoperte. Come quella che il diffuso benessere sta avendo effetti non solo sui nostri corpi, ma anche su quella speciale estensione che ne sono le automobili. Bastano pochi esempi: la Fiat Bravo 1.9 Diesel ha preso 165 kg (+14%) passando in 10 anni da 1.155 kg (1997) a 1.320 (2007); la Volkswagen Golf 1.8 è passata dai 970 kg del 1987 ai 1.280 del 1997 (+32%) e ai 1.418 del 2007 (+46%) e la Bmw 320i dai 1.145 kg del 1987 ai 1.300 del 1997 (+14%) e infine ai 1.445 del 2008 (+26%).

Grasso che cola



E’ certo singolare che in questi anni si sia fatto così poco per contrastare le tendenze bulimiche delle automobili.
Anche chi aveva dichiarato guerra al peso, come Audi che ha intrapreso con decisione la strada della carrozzeria in alluminio, ha poi fatto sostanzialmente marcia indietro, passando dalla coraggiosa A2, tutta in alluminio e con tante soluzioni rivoluzionarie, al colossale Suv Q7, che ne è più o meno la negazione.

A onor del vero, la fortuna non ha aiutato molto gli audaci: la A2 è stata commercialmente deludente, così come la Smart con carrozzeria in plastica che è piaciuta quasi solo in Italia; mentre all’estremo opposto delle gamme cresceva a dismisura la richiesta di vetture grandi, opulente e ben più redditizie per le Case.
Sono soprattutto i costruttori tedeschi e americani ad aver inseguito una idea del prestigio coniugata anche in senso dimensionale; italiani e francesi, con gamme meno ambiziose, hanno avuto meno problemi di gigantismo. I giapponesi fanno di tutto: dalle compatte super-ecologiche per il mercato interno ai pick up per gli USA.

Il caso più rilevante è certamente quello tedesco. Le Case tedesche, che pure non sono seconde a nessuno in termini di sensibilità ambientale, sono state le principali responsabili dell’aumento delle dimensioni e dei consumi delle vetture. E ora che la scure dei 120 g/km sembra doversi abbattere senza tanti complimenti, si trovano a mal partito. Questa soglia, pari ad un consumo nel ciclo ECE di 5,2 l/100 km (benzina) o 4,5 l/100 km (diesel), sarà relativa non alla singola vettura, ma alla media di tutte quelle vendute di ogni Casa. La difficoltà di rientrare nel limite ha però reso evidente come le misure su motore e trasmissione non siano da sole sufficienti a rientrare nei parametri stabiliti dalla Commissione europea.

Influenze della Massa



Sembra quindi ormai indispensabile tornare a ridurre la massa delle vetture. Il motivo è facile da comprendere. La massa è un fattore moltiplicativo dell’energia richiesta per vincere sia gli effetti gravitazionali (quando si avanza in salita) sia, soprattutto, gli effetti inerziali, che intervengono ogni volta che si varia la velocità del veicolo: in particolare, è direttamente proporzionale all’energia richiesta al motore quando si accelera – un evento talmente ordinario che non ci si fa nemmeno più caso.


La massa interviene anche in frenata
(è proporzionale all’energia cinetica da smaltire) ed è legata anche al livello di attrito del veicolo a terra, quindi interferisce con gli sforzi che si stanno compiendo per ridurre l’attrito di rotolamento. Il pneumatico deve infatti fare la sua parte nella guerra ai consumi, per quanto limitata: una riduzione dell’attrito di rotolamento del 15%, pari a quella avvenuta negli ultimi 15 anni grazie alla diffusione delle mescole ricche di silice e a nuovi criteri di progettazione delle carcasse, comporta una riduzione dei consumi dell’ordine dell’1%.

Non va molto meglio sul fronte della resistenza aerodinamica: è vero che moltissimi modelli hanno ormai coefficienti di penetrazione aerodinamica inferiori a 0,30; ma questi coefficienti vanno applicati a sezioni frontali cresciute nel frattempo anche del 20÷30% a causa dell’aumento in larghezza e soprattutto in altezza dei veicoli.
L’effetto netto è così, nel migliore dei casi, trascurabile. Ridurre masse e dimensioni sta quindi diventando un imperativo sempre più difficile da trascurare. Qualunque progettista sa che il singolo effetto più importante nella lotta ai consumi e alle emissioni è proprio la riduzione delle masse, per cui quando si presenta una vettura-laboratorio che punta sulle prestazioni in termini ecologici, difficilmente si tratta di un grosso SUV. Più facilmente, invece, avrà le forme amichevoli e la stazza modesta della Fiat Panda Aria o della Volkswagen up!

Strade diverse



La lotta al peso è più evidente nell’alto di gamma, dove è possibile spendere per soluzioni tecnologicamente raffinate: la Audi A8 (1994) ha inaugurato la via dei telai in alluminio con schema space frame
(un reticolo di estrusi e fusioni con funzione portante su cui si innestano i pannelli della carrozzeria), seguita da Jaguar con le XJ (2002) e XK (2004) a scocca portante. Anche Bmw fa largo uso di leghe di alluminio e magnesio nell’avantreno della Serie 5 e Serie 6, soprattutto per ottenere una maggior reattività di guida.

Ma è sulle vetture di larga diffusione che si dovrà giocare la vera partita.
I due migliori esempi dell’ultimo decennio sono stati la Audi A2 (1999) e la Smart (1998). La prima ha rivoluzionato il modo di concepire una vettura “di volume”: space frame in alluminio e lavorazioni innovative. Ne sono state prodotto oltre 175.000, di cui circa 7.000 1.2 TDI dall’ eccezionale consumo medio di 2,99 l/100 km. La seconda, con le dimensioni ultra-ridotte, i due soli posti, il piccolo motore turbo, il cambio automatico, la cellula in acciaio ad alta resistenza e la carrozzeria in plastica è stata un vero e proprio esercizio su tutto quello che è possibile fare per ridurre i consumi, tutt’ora da record.

Fortunatamente, segnali piuttosto convincenti si sono visti da parte di più di un Costruttore, e non solo nei prototipi, come la leggerissima Fiat Panda Aria da 69 g/km di CO2 o la C-Cactus
, con cui Citroën ha mostrato come una intelligente semplificazione dei componenti sia all’interno che nella struttura del veicolo permetta di risparmiare peso e costi (da reimpiegare, nel caso specifico, in un propulsore ibrido).

Produzione di serie



Anche nella produzione di serie qualcosa si muove: su tutti, è da segnalare l’impegno di Mazda
nel seguire la strategia, tipicamente giapponese, della meticolosità assoluta. I suoi ingegneri, non potendo spendere in leghe costose per una citycar, si sono messi ad analizzare tutta la vettura per individuare aree di miglioramento anche solo di pochi grammi.

Il telaio, riprogettato con acciai ad alta ed altissima resistenza nelle zone più sollecitate, ha consentito di risparmiare 22 kg. Altri 13 kg sono stati levati dalla struttura delle sospensioni, 3 dal sistema elettrico, 1 dagli altoparlanti e via dicendo, fino ai complessivi 100 kg che fanno della Mazda 2 1.3, con i suoi 955 kg, la più leggera della sua classe. La stessa strategia è stata applicata alla più grande Mazda 6
: se si considera che una riduzione del peso di 100 kg consente di risparmiare circa 0,3 litri of carburante per 100 km, vale a dire ridurre le emissioni di CO2 di circa 10 g/km, si capisce come questa strada sia persino conveniente per le Case costruttrici rispetto allo sviluppo di nuove tecnologie per motore e trasmissione.
Curiosamente Fiat, che ha a lungo riconosciuto ai suoi fornitori un “premio” per ogni grammo risparmiato anche sui componenti più piccoli (raccordi, pompa freno, radiatori, eccetera), ha interrotto questa prassi a metà degli anni Novanta.
Speriamo che l’aria che tira porti anche Torino a riprendere le buone abitudini, anche se a onor del vero la ricerca sui materiali e le lavorazioni (fusione in stato semisolido, formatura incrementale, idroformatura, eccetera) da parte della Casa di corso Agnelli non si è mai arrestata.

Lavorazioni



Negli ultimi anni l’incidenza degli acciai speciali e delle leghe leggere (alluminio, magnesio) è andata crescendo per tutti.
Per queste ultime, il futuro delle lavorazioni sembra andare verso la riduzione delle operazioni di lavorazione. Grazie al passaggio dalla colata in conchiglia al metodo lost foam in cui un’anima in polistirolo evapora lasciando il posto alla colata di alluminio, e a tecniche innovative come lo squeeze casting, uno stampaggio con il materiale riscaldato allo stato semisolido, si arriva a tolleranze finali bassissime (principio del Near Net Shape, forma vicina a quella finale) che semplificano molto le successive fasi di lavorazione (la sgrossatura praticamente scompare).

Sull’alluminio, ma anche sull’acciaio, si sta diffondendo l’idroformatura, variante dello stampaggio che anziché stampo e controstampo o punzone adotta un solo semistampo da un lato e un fluido idraulico dall’altro.
È una tecnica che risolve molti dei problemi dello stampaggio, perché l’azione del fluido sulla lamiera è uniforme per definizione, come pure le sollecitazioni da essa indotte. Si evitano così disomogeneità nello stato tensionale e si riesce a plasticizzare il materiale anche per angoli di piega prossimi allo zero, in modo da ottenere senza difficoltà qualunque tipo di bombatura.

L’idroformatura è imbattibile nella deformazione di tubi: consente di prendere un solo tubo tondo e ottenere molte sezioni diverse lungo l’ asse
, realizzando in un colpo solo parti tradizionalmente costituite da sei o anche otto spezzoni saldati. Inoltre in qualche caso consente di integrare più operazioni: certe forature e frangiature: si recuperano così tempo di lavorazione, costo e rigidezza (non ci sono giunzioni).

Alluminio e Magnesio



In generale, la disponibilità degli strumenti moderni di calcolo, con le simulazioni numeriche dei processi di colata e di stampaggio, permette oggi di spingersi ai limiti fisici dei materiali, mentre prima si dovevano necessariamente mantenere margini di sicurezza più alti
: questo aiuta, nell’ottica di dover limare al grammo i pesi, più del ricorso a leghe esotiche, spesso sbandierate più che altro a fini pubblicitari. Per esempio il magnesio, al di là degli usi “nobili” in campo strutturale su qualche supersportiva, ha spazio soprattutto dove si vogliano ottenere forme complesse con pochi pezzi, ed è già ad esempio largamente impiegato – dai sedili al sottoplancia – sulle recenti Fiat, Alfa e Lancia. Ha prestazioni meccaniche inferiori all’alluminio, ma ottimizzando le forme si riesce comunque ad avere un risparmio in massa del 30%., soprattutto se non ha funzione portante.

Si tratta comunque per solito di risparmi limitati: la Jaguar XJ di settima generazione, per esempio, usa il  magnesio solo in pochi dettagli come i supporti dei sedili, ma ricorrendo massicciamente all’alluminio ha perso ben 200 kg rispetto alla generazione precedente.
In lega di alluminio sono realizzate moltissime altre parti, dagli attacchi e alcuni bracci delle sospensioni al sistema di sterzatura. A differenza di Audi, Jaguar ha optato per una costruzione monoscocca di tipo tradizionale, che offre miglior resistenza strutturale rispetto allo space frame. Sulla XK, questa scelta ha prodotto, a dispetto dell’aumento delle dotazioni, un risparmio medio di 130 kg e un aumento di rigidezza del 20%, grazie anche all’impiego di tecnologie allo stato dell’arte: l’alluminio consente infatti di ottenere forme complesse già di fusione, ma è molto difficile da saldare. Di conseguenza si devono utilizzare poche parti di forma complessa: il loro numero è sceso del 25%, mentre il numero di giunzioni è diminuito di oltre il 50% rispetto al modello precedente in acciaio.

Per superare l’ostacolo dei costi elevati delle costruzioni in alluminio, Audi sta sperimentando strutture miste alluminio-acciaio, come sull’ultima TT sulla quale l’alluminio costituisce il 69% in peso del telaio.
Anche Mercedes ha mostrato una strada interessante per il telaio in alluminio sul suo prototipo Bionic Car, dotata di telaio progettato con il metodo di ottimizzazione iterativa Soft Kill Option, la versione matematica del processo di accrescimento delle ossa che porta ad una struttura in cui lo sforzo, sotto i carichi previsti, è quasi uniforme. Ciò consente di irrigidire solo dove serve e ridurre altrove, impiegando la minima quantità di materiale.

I Compositi e la Fusione



Molto ci si aspettava anche dai materiali compositi, che però al momento restano frenati da un enorme svantaggio: il loro processo di lavorazione è intrinsecamente di tipo più artigianale che industriale
. Questo introduce limiti evidenti alla loro diffusione, ostacolata anche dalla ritrovata competitività di tecnologie che erano state un po’ sbrigativamente bollate come primitive, prime fra tutte la fusione in conchiglia.

La fusione, come si diceva, ha in generale grandi prospettive. La vera soluzione sarebbe comunque quella di usare lo spazio solo dove serve. Questo decennio è anche quello che ha dimostrato come il pubblico mostri di non curarsi più di tanto delle dimensioni, se gli si offre un prodotto adeguato a livello di stile, prestazioni e dotazioni.

L’incredibile successo delle “piccole ammiraglie” come la Mini, la Lancia Ypsilon o la Fiat 500 dimostrano come, quando la capacità di carico non è indispensabile, ci si può spostare anche senza muovere un monolocale. Visti i tempi che corrono, sarà meglio abituarsi in fretta all’idea.

Ferrari MilleChili



Se per i costruttori di vetture di massa la strada verso la riduzione delle emissioni inquinanti è adeguatamente avviata e sufficientemente consolidata, i produttori di vetture ad alte prestazioni stanno invece battendo altre vie, considerate le problematiche radicalmente diverse che si trovano ad affrontare.
L’esempio della Ferrari è senz’altro tra i più interessanti e indicativi di quanto ci riserverà il futuro per quanto riguarda le supercar.

Negli ultimi mesi del 2007 è stato presentato un prototipo statico, derivato dalla Enzo, che contiene in sé numerose innovazioni che probabilmente vedremo entro pochi anni sulle vetture di Maranello. Già il nome, MilleChili, definisce una linea di sviluppo che prevede una riduzione di peso media di circa 300 kg per ogni modello
che significa, considerando i valori attuali, oltre un 20% in meno della massa a vuoto. La strada è già tracciata: per le scocche e le strutture del telaio l’impiego esteso di materiali derivati dalla Formula 1 e caratterizzati da una maggiore rigidità a parità di massa rispetto ai materiali tradizionali consentirà di ottenere le stesse resistenze torsionali e ai test di collisione diminuendo le dimensioni e quindi le resistenze aerodinamiche: carbonio e alluminio verranno ampiamente utilizzati per combinare i benefici di leggerezza e rigidità di entrambi in una struttura altrettanto efficiente ma decisamente più compatta e leggera.

Discorso analogo per sospensioni e freni
, che grazie all’impiego di materiali più leggeri potranno essere realizzati con dimensioni inferiori migliorando nel contempo anche la maneggevolezza grazie alla riduzione delle masse non sospese. Un ulteriore affinamento aerodinamico verrà da un inedito sistema di regolazione del posto di guida, che prevedrà un sedile fisso con i dispositivi accessori (essenzialmente pedaliera e volante multifunzione) modificabili nella loro posizione in modo da adattarsi alle diverse corporature del pilota.

Il motivo di questa innovazione è presto detto: un sedile regolabile, oltre ad aggiungere peso alla vettura per la sua maggiore complessità, impone di ricavare il necessario spazio per la testa anche con riferimento alla deformabilità delle strutture del tetto in caso di incidente. Rinunciando alla regolazione in altezza si può ridurre l’altezza del tetto, diminuendo così nel contempo la sezione maestra del veicolo e, in ultima analisi, la sua resistenza aerodinamica. A proposito di aerodinamica, sono allo studio anche dispositivi mobili presenti sia sulla carrozzeria sia nel sottoscocca allo scopo di migliorare la penetrazione in velocità e l’efficienza in frenata, mentre è certa l’adozione di pneumatici a bassa resistenza di rotolamento per contenere ulteriormente consumi ed emissioni.

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