07 January 2014

Signoretti: “Non avremo più lo Schumacher di una volta”

Abbiamo intervistato il Dott. Stefano Signoretti Coordinatore sezione Neurotraumatologia Cranica per la Società Italiana di Neurochirurgia (S.Camillo Forlanini, Roma): “il rischio è anche uno stato vegetativo permanente”

Signoretti: “non avremo più lo schumacher di una volta”

Da un paio di giorni non vengono più diffusi bollettini medici sulle condizioni di Michael Schumacher, a seguito dell’incidente sugli sci che gli ha provocato un trauma cranico grave. Perciò abbiamo voluto indagare per capire meglio quali siano i rischi ed i tempi in cui si capirà il vero stato di salute del pilota. Ci ha aiutato Stefano Signoretti, esperto in neurotraumatologia.

 

D.      Sabine Kehm, la portavoce storica di Schumacher ha confermato le condizioni stabili del campione tedesco. Questa stabilità come deve essere interpretata?

R.      Il concetto di stabilità del paziente dopo trauma cranico è legato alla costanza di alcuni parametri: condizioni neurologiche e pressione intracranica.  Il fatto che i parametri rimangano stabili è chiaramente una buona notizia, ma, di per sé, non indica assolutamente un quadro di miglioramento complessivo.

D.      Un altro specialista italiano di fama come il Dott. Acciarri ha ipotizzato due tipologie di lesioni: ematoma sottodurale acuto associato a lacerazioni celebrali.

R.      E' necessario essere molto chiari: il cervello è racchiuso in tre membrane concentriche che sono le meningi e ha delle vene che scaricano il sangue dentro la meninge. Queste vene si chiamano "a ponte" perché il cervello non occupa tutto il volume della scatola cranica ma è immerso in un liquido. Questo determina che i momenti inerziali della testa e del cervello siano diversi. Se la testa sbatte improvvisamente, questa si ferma, ma il cervello continua fino ad impattare contro il tavolato interno dell’osso. Ecco il meccanismo che determina le contusioni cerebrali (focolai lacero contusivi). L’altro problema è che queste vene a ponte si strappano, determinando il sanguinamento fuori dal cervello e comportando la formazione, appunto, dell’ematoma sottodurale acuto (sotto la “dura madre”, cioè sotto la prima meninge). Una lesione che ha una altissima mortalità, non tanto per l’ematoma, che può essere evacuato, ma perché il danno vero è interno. La forte accelerazione del cervello ha lacerato i neuroni. Al danno focale, l’ematoma, è associato un danno diffuso che noi non vediamo. Tutto questo si chiama “danno primario”. Attualmente la prognosi è legata a questo danno, cioè a quanti neuroni sono morti al momento dell’impatto. La sfida è quella di evitare il danno secondario, cioè le reazioni a catena provocate dal trauma. Ecco perché la prima cosa è stata la riduzione della ipertensione endocranica che ha permesso, alla pressione arteriosa, di irrorare correttamente il cervello, evitando così anche un danno ischemico. Ma quello che è successo è che questi sanguinamenti sembrano aver pervaso tutto il cervello, focolai contusivi multipli che fanno parte del danno cerebrale diffuso, di cui i colleghi hanno parlato, e che impediscono al chirurgo di intervenire in maniera definitiva.

 

>> Qui gli aggiornamenti su Michael Schumacher

 

D.    In queste ore sta girando sulla rete una grafica della France Presse dove vengono descritte le lesioni alla testa subite da Schumacher e il tipo di interventi.

R.      Si l’ho vista e si evince anche una craniectomia decompressiva. Mi spiego: se gli ematomi sono multipli in tutto l’encefalo, il chirurgo, per combattere efficacemente l’aumento di pressione, non può che togliere l’osso rendendo la testa una struttura non più inestensibile e permettendo al cervello di gonfiarsi, che è la sua prima reazione quando viene sottoposto ad una offesa. Ma anche in questo caso occorre essere chiari: se questo intervento è stato fatto è perché il paziente aveva una pressione intracranica talmente alta da non poterla gestire con i farmaci. Ma una craniectomia, per avere un vero effetto decompressivo, deve essere di almeno 100 centimetri quadrati, che vuol dire un lembo 10cm. x 10cm. In breve smontare la testa, levare un pezzo d’osso grosso come una mano, è chirurgia disperata, è sconfitta della terapia medica. Il rischio più grosso che si corre è che il paziente non muoia ma può rimanere in stato vegetativo persistente.

D.     Supponiamo che le condizioni di Michael si assestino a stabili nel medio periodo. Quanto tempo ci vuole per dichiararlo fuori pericolo? Questa incertezza è legata alla scelta di non fare più comunicazioni ufficiali?

R.      Certamente sì. I traumi cranici sono classificati in lievi, moderati e gravi. Quello di Schumacher è un trauma grave. Il 50% dei traumatizzati cranici gravi muore nelle prime 24 ore. All’inizio è battaglia incessante, poi, nel momento in cui riesci a prevenire la morte per edema celebrale maligno, entri in una fase di stabilità. Una fase in cui si monitorizzano tutti i parametri con il paziente mantenuto in coma farmacologico e che è impossibile prevedere quanto duri. I volumi intracranici si risistemano, i parametri vitali sono stabili e piano piano bisogna aspettare solo che si risvegli. Per cercare di ipotizzare una tempistica congrua, sempre sperando che non insorgano complicazioni, e possibile ipotizzare la conclusione della fase acuta tra due settimane, un progressivo distacco del monitoraggio multiparametrico e l’attesa del risveglio. In queste due settimane il paziente è ancora in serio pericolo di vita, per quanto riguarda il trauma stesso. Passato questo tempo il pericolo di vita rimane, ma per altri motivi. Tipo complicanze respiratorie, trombosi da allettamento, ecc. In quel caso conterà molto lo stato fisico generale e sappiamo che Schumacher è un atleta estremamente performante. Nel caso dovesse aver subito questa craniectomia decompressiva, l’osso dovrà riposizionarsi entro tre mesi e, comunque, nelle migliori condizioni sistemiche possibili. Quindi un paziente che, comunque, deve stare a letto.

D.     Andiamo avanti con le ipotesi che più ci piacciono.  Supponiamo che la situazione di stabilità continui ad evolversi al meglio, si tolgono i monitoraggi, eccetera. Dopo quanto tempo si possono quantificare i danni?

 R.    Bella domanda. La quantificazione del danno è piuttosto difficile e in genere si fa con le risonanze magnetiche. La prima prognosi, cioè ipotizzare come andrà a finire, si farà a sei mesi per poi essere abbastanza vicini alla verità dopo un anno e poi nell’anno successivo. E’ chiaro che finita la tempesta, quando diventerà stabile, dovrà iniziare una riabilitazione passiva per non fargli perdere schemi motori e anchilosare le articolazioni. Ma per capire i danni permanenti bisognerà vedere le risonanze. Il problema grosso di Schumacher è che ha avuto, da quanto emerso, un danno diffuso e in questo caso viene danneggiato il network. Più che le singole aree, viene danneggiata l’intercomunicazione tra queste aree. Questo è il danno più temibile. C’è poco da essere ottimisti. Ecco perché la prognosi è riservatissima. Arrivo a dirti di più: Schumacher, dal punto di vista cerebrale/intellettivo, non è un uomo qualunque, ma è un super atleta. Una definizione prevista nella letteratura scientifica. Sono cervelli superiori soprattutto per quanto riguarda i processi cognitivi elaborati dalla cosiddetta: “working memory” localizzata nella corteccia frontale, sede frequente dei focolai lacero-contusivi. Queste persone hanno una capacità di prendere una informazione, elaborarla e dare una risposta che è dieci volte superiore rispetto alla norma, ma, di contro, sono cervelli estremamente più delicati. Più il sistema è complesso, più è delicato, perché si posiziona ad un livello di prestazioni più alto.

D.     Non avremo più il Michael di una volta?

R.     Io penso di no

 

Intervista di Marco Della Monica

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