30 June 2015

ROLLS ROYCE PHANTOM DROPHEAD COUPÉ, la nostra prova

Guidare nel relax più assoluto, coccolati da sospensioni morbidissime e dal ronzio di un V12 che gira regolare come un orologio svizzero. Questo ed altro ancora è la Drophead, un’auto da sogno che isola talmente bene dal mondo esterno da non invogliare quasi ad aprire il tetto....

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Con la diffusione delle auto elettriche e ibride ci stiamo lentamente abituando a muoverci nel silenzio più assoluto, ma quando non capisci se il motore sia in moto o meno e sei perfettamente conscio del fatto che sotto l’interminabile cofano si trovi un V12 di 6.750 cc non puoi che restare esterrefatto. In realtà, al volante di una cabriolet lunga come un transatlantico e costosa quanto un immobile, di aspetti sorprendenti ce ne sono un’infinità e la questione più intricata è riordinare le idee, mantenendo un minimo di lucidità dopo essere stati letteralmente travolti da una tempesta di emozioni.Prima cosa devi sempre tener ben presente che stai guidando un oggetto che costa quasi mezzo milione di euro, ma contemporaneamente la tua mente è in gran parte assorta nel difficile intento di familiarizzare con una vettura con la quale non è affatto scontato entrare in sintonia.

NOBILDONNA
Del resto una nobildonna non si concede certo al primo venuto e, per conquistare la sua fiducia, devi quantomeno esplorare con calma e tatto anche le più piccole sfumature del suo animo, possibilmente decifrandone i suoi lati più oscuri. Le porte non si aprono come in qualsiasi altra automobile, sono incernierate nella parte posteriore per rendere più comodo l’accesso al sontuoso abitacolo. Giusto, ma una volta seduto al posto di guida faresti fatica a raggiungerle per richiuderle, ma mai e poi mai a chi sale su una vettura con in punta di cofano l’inossidabile “Spirit of Ecstasy” verrebbe richiesto uno sforzo fisico.

Ecco perché basta premere un pulsante e le porte si chiudono da sole, anzi, si accostano alle battute, perché a sigillarle completamente provvede un sistema che le appoggia delicatamente alle spesse guarnizioni, per poi stringerle con fermezza finché non arrivano a finecorsa. Poi scopri che il tasto per avviare il motore è sulla sinistra, come del resto è consuetudine in Casa Rolls, per regolare il sedile devi aprire lo sportellino sotto il morbido poggiabraccio, mentre la gestione del cambio è affidata a una semplice levetta a destra del piantone di sterzo.

Di pulsanti per selezionare i vari programmi di guida neanche l’ombra, così come l’impiego manuale del cambio automatico non è neppure contemplato. Del resto è giusto che sia così, perché Rolls Royce è sinonimo di lusso e comodità, punto e basta. E sfido chiunque a trovare una vettura che ti isoli così bene dal mondo esterno, sembra quasi di viaggiare su un tappeto volante tanto spessa e netta è la linea di demarcazione tra pneumatici e strada; qualsiasi sconnessione dell’asfalto viene digerita con un aplomb che sembra quasi trascendere dal mondo terreno, così come l’intonata melodia generata dai pistoni che scorrono con la regolarità di un orologio svizzero nei 12 cilindri è talmente soffusa da non poter neanche lontanamente essere assimilata al volgare concetto di rumore.

Casomai si potrebbe parlare di un soffuso ronzio che tende ad affievolirsi in corrispondenza degli impercettibili cambi di marcia. E’ infatti quasi impossibile notare il calo di giri tra i vari rapporti innestati delicatamente dalla trasmissione, anche perché il contagiri non esiste, sarebbe stato troppo banale e scontato informare il guidatore del regime di rotazione del motore; a bordo di una Rolls Royce è più appropriato sapere quanta sia la percentuale di potenza disponibile, ma in genere l’ago difficilmente si sposta verso lo zero.

LUSSO

Perché la Phantom ti invoglia alla guida dolce, la sfida è coccolare come merita chi sta seduto sui sedili rivestiti con la pelle più pregiata che ci sia, comodi come le poltrone di casa e rifiniti con una cura il cui apice è costituito dalla perfezione assoluta con cui sono ricamati i loghi RR sui poggiatesta. Trovare un pezzo di plastica è come mettersi alla ricerca di un ago in un pagliaio all’interno di un abitacolo tempestato di pelle e radica, intervallate da cornici cromate, inserti in madreperla e tappetini talmente spessi e soffici che quasi quasi ti senti in difetto mentre li calpesti con i piedi. In un ambiente così classico e raffinato sarebbe quasi blasfemo inserire elementi troppo moderni, ecco perché basta premere un pulsante per far ruotare lo schermo a colori del navigatore satellitare a favore di un più consono orologio analogico, così come il controller per spostarsi tra i vari menù del sistema di infotainment è celato da un portello che si apre al tocco. Anche il comando per aprire la capote non è a vista, e i precisissimi movimenti dell’enorme tetto in tela possono avvenire solo a vettura ferma.

Però è quasi un peccato viaggiare a cielo aperto, perché questa condizione segnerebbe la fine di una sorta di idillio che isola i passeggeri dalla concretezza del mondo esterno, ma la capote della Drophead non va certo aperta in città. Bisogna trovare il contesto giusto e il momento opportuno per farlo, magari per stabilire un contatto diretto con i profumi più intensi della natura, oppure sul lungomare, meglio se all’imbrunire, quando il sole lascia lentamente il posto a quell’atmosfera ovattata in cui diviene quasi mistico immergersi. Godersi il deciso ma soffice incedere della cabriolet anglosassone significa però anche esserne consapevoli dei suoi limiti, che essenzialmente derivano da una massa superiore ai 2.600 kg. In curva la Drophead va quindi accompagnata, non bisogna mai forzarla a fare quello per cui non è nata, di conseguenza il sottile volante va sempre accarezzato, l’inserimento in traiettoria deve essere progressivo, dopo si deve pazientare un attimo prima che il morbidissimo assetto trovi l’appoggio, per poi accelerare con la stessa gradualità con cui il raffinato 12 cilindri replica alle pressioni sul pedale destro.

Pur se i freddi numeri parlano di 460 Cv e 720 Nm – ahimè, anche l’anticonformismo anglosassone si è dovuto piegare all’usanza di dichiarare le prestazioni dei propri motori – le reazioni del muscoloso 6,75 litri sono sempre composte e progressive, proprio per intonarsi con l’indole di una vettura che vuole essere tutto fuorché irruente. Ma alle volte il traffico o le circostanze costringono a violarne l’imperturbabile equilibrio con decisi affondi sul gas, e lei rispondere sempre con la medesima cortesia: non ti incolla certo allo schienale del sedile, ma ti dimostra che quando vuole è capace di farsi rispettare, raggiungendo rapidamente prestazioni precluse a buona parte delle normali vetture che circolano su strada. E’ anche l’occasione buona per vedere la lancetta dello strumento che indica la percentuale di potenza spostarsi delicatamente a sinistra verso lo zero, per poi spostare lo sguardo a destra e apprendere che, dopo aver percorso quasi 300 km, il livello della benzina che era partito dal massimo è precipitato quasi a zero. Poco male, non tanto per il sottoscritto che ha strabuzzato gli occhi dopo aver incrociato mentalmente i chilometri percorsi con la benzina consumata, quanto per il fortunato proprietario di una delle automobili più affascinanti al mondo. Beato lui...

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