Le due Signore (hanno circa 50 anni), di indole tedesca ma naturalizzate italiane (entrambe con targa “Roma”), si sono date appuntamento in campo neutro. La rossa (codice 6407 Signal Red) è una 356 e proviene da Ravenna. Quella blu invece (codice 6603 Golf Bleu) è una 912 e viene da Carpi. Hanno scelto per misurarsi un terreno significativo: l’autodromo di Modena, il luogo ideale dove si scatenano le auto sportive, e qui siamo di fronte a due “Gran Turismo” degli anni ‘60.
Da fuori, le linee sono molto diverse: la 356 è un’auto d’epoca a tutti gli effetti, con abbondanti cromature, curve morbide, interni “a bomboniera”. La 912 invece ha lo stesso “appeal” moderno della 911, linee più tese e spioventi, interni razionali. Eppure, hanno la stessa meccanica. Forse per questo la 912 è stata considerata, quasi da sempre, la parente povera della 911 piuttosto che la figlia ricca della 356. Invece, per certi versi in quel momento, anno di grazie 1965, era perfino superiore alla coupé che sarebbe divenuta icona della cavallina di Stoccarda. I pregi della 912 sono molto maggiori del “difetto” di avere due cilindri in meno.
E oggi che le 911 hanno raggiunto quotazioni stellari, qualcuno se n’è accorto. È giunto quindi il momento di valutarla come merita, e per fare ciò l’abbiamo messa a confronto con l’apprezzatissima 356, nella sua maggiore evoluzione di serie.
EVOLUZIONE
Nel 1963 la Porsche 356 è un’auto ormai “datata”, figlia degli anni ‘50 (il primo prototipo, la 356-001, è addirittura del 1948 ma soltanto nel 1950 comincerà la vera commercializzazione). Alla Porsche si discute da tempo del progetto che dovrà sostituirla e che avrà una moderna scocca autoportante. Ma con quale linea? Ferry Porsche si guarda in giro e affida il design della nuova vettura, quella che dovrà rimpiazzare l’enorme successo commerciale della 356, al conte Goertz, padre della BMW 507. I
l suo disegno è però considerato troppo distante dagli stilemi che devono permettere a tutti di riconoscere da subito una Porsche come tale: sportiva ma comoda, moderna ma classica, grintosa ma con classe. Ferry allora “ripiega” sulle energie che ha in azienda ed affida il progetto a uno dei suoi figli, diplomato all’Accademia di Design di Ulm, il giovane Ferdinand Alexander detto “Butzi”.
Dalla sua matita nascerà una linea intramontabile, che Porsche non ha più abbandonato da allora, e che ancora oggi la identifica tra tutte le altre: sportiva, 2 posti veri e 2 di “fortuna”, coda “fastback”. Nel 1963, il 12 settembre, la nuova auto, la “911”, viene presentata al Salone Internazionale dell’Automobile di Francoforte.
PENSIONE
Per la 356 però non è ancora arrivato il momento di andare in pensione. Nello stesso anno, infatti, esce l’ultimo “aggiornamento” della 356, il modello “C” (1963-1965). La novità più importante rispetto al precedente modello “B” è data dai 4 freni a disco ATE (prodotti su licenza della Dunlop) che sostituiscono i vecchi tamburi, nascosti da nuovi cerchi con borchie piatte e logo non smaltato. La “C” è disponibile con due varianti del motore di 1600 cc: da 75 CV e 95 CV; quest’ultima caratterizzata dalla sigla “SC”.
È questo il massimo sviluppo raggiunto dal 4 cilindri boxer raffreddato ad aria, che di evoluzione in evoluzione arriverà in gran forma fino al 1965, quando sarà del tutto pensionato dopo 76.000 esemplari prodotti.
PREZZO
Ma non tutto fila liscio dopo il lancio della 911 a settembre 1963: quella presentata in colore giallo chiaro al Salone di Francoforte è poco più di un prototipo (infatti non ha il motore montato sotto il cofano). E nel 1964, tra messe a punto e collaudi vari, la produzione non è ancora partita (sarà avviata per davvero nel 1965). Inoltre, quella linea così nuova, così moderna, non è subito apprezzata, e gli estimatori della vecchia 356 continuano a essere tanti. C’è poi il problema del prezzo: la 911 costa parecchio. Se in Italia una 356 costa tre milioni di lire, che sono già una gran bella cifra, ne servono addirittura quasi 4 per acquistare una 911. Anche il motore 2 litri a 6 cilindri per alcuni è un problema, in un mercato in cui le “duemila” sono considerate delle automobili di grossa cilindrata.