Montecarlo: agli appassionati dell’automobile questo nome evoca soprattutto il ricordo di epici duelli tra gli assi del volante. Ma è anche il nome che la Lancia scelse per la nuova sportiva della serie Beta, proprio per sottolineare i successi ottenuti dalle sue vetture lungo le strette ed irte strade del rally più famoso del mondo. E pensare che a far nascere quest’affascinante vettura con lo scudetto della Lancia non furono sofisticate analisi di mercato, ma l’azione combinata delle mani e dei piedi di Gianni Agnelli, Sergio Pininfarina e dell’allora direttore del Centro Stile Pininfarina, Renzo Carli.
Costoro, in un sabato d’inizio 1975, presero una calandra Lancia e con l’intuizione del momento la adattarono, sovrapponendola, a quella della nuova Fiat X1/20. Il risultato piacque e fu così che il coupe' di Torino, ormai definitivo e pronto per la produzione, cambiò il marchio del Lingotto con quello di Chivasso. Con ciò non soltanto si evitava una sia pur relativa sovrapposizione con la Fiat X1/9 di Bertone (diversa cilindrata ma uguale schema meccanico), ma si completava la gamma Lancia nella classe due litri, con un modello di decisa sportività che affiancava la Beta coupé 1800. La vicenda di questa Fiat, che divenne Lancia all’ultimo momento, era iniziata nel 1969 sotto la sigla X1/8, quando la Pininfarina avviò lo studio di un’auto sportiva con la meccanica tutto avanti della Fiat 128. Battezzata con il nome provvisorio “Sport-giovane”, doveva essere un’auto divertente da guidare, innovativa nel design e poco costosa, adatta anche alla clientela giovanile e in generale a chi amava la sportività con pochi compromessi.
Motore a corsa lunga
Mentre già circolavano i primi bozzetti di un coupé con il motore anteriore, un improvviso cambiamento di rotta, dettato forse dal dubbio che una sportiva di media gamma a trazione anteriore potesse essere accolta male dai clienti, spostò gli studi verso una vettura con il motore sì trasversale, ma centrale-posteriore anziché davanti: il progetto X1/20. La circostanza fece piacere ai designer della Pininfarina, che si trovarono con ciò maggiormente liberi di esprimere la propria creatività. Le linee essenziali della nuova auto furono definite nel luglio 1970 e, attraverso successivi affinamenti, arrivarono alla soluzione definitiva dopo una serie di prove nella modernissima galleria del vento di Pininfarina che fu inaugurata proprio da questo modello. Che può vantare anche di essere il primo progettato e assemblato interamente nello stabilimento del carrozziere torinese.
Quando le linee generali erano ormai definitive, fu varato lo studio della versione spider, con un’interessante novità, in linea con la tradizione innovativa Lancia. Il tetto in tela si apre mediante un sistema brevettato dalla Pininfarina: la capote è avvolta e riposta in un’apposita sede ricavata nella struttura del roll-bar, presente peraltro anche sul coupé. Altra innovazione importante, pur se meno visibile, fu il parabrezza incollato a filo della carrozzeria senza moulure di contorno, la cui funzione fu sostituita da una fascia opaca interposta fra i due strati del vetro accoppiato. Con tale soluzione, poi adottata da tutti i costruttori, si ottennero contemporaneamente una semplificazione costruttiva e un miglioramento estetico. Presentata nelle versioni coupé e spider al Salone di Ginevra del 1975, la Beta Montecarlo si propose come la sportiva al vertice della Casa di Chivasso.
Motore centrale, trazione posteriore e due posti secchi erano la ricetta giusta per uscire dalla tenaglia anche psicologica della prima crisi energetica, per ritrovare quel gusto di guidare che sembrava appannato dopo la fatidica data dell’ottobre 1973. Con un layout meccanico da supersportiva e la linea che ha tratti comuni alla contemporanea Ferrari BB, la Beta Montecarlo mostrò prestazioni degne delle aspettative, con il vantaggio di una meccanica di grande serie, quindi facile ed economica da gestire. Il motore derivava da quello della Beta 1.8: un nuovo albero motore aumentò la corsa da 79,2 a 90 mm per arrivare, inalterato l’alesaggio a 84 mm, alla soglia dei due litri. Per l’esattezza 1.995 cc: la potenza di 118 CV (120 per la seconda serie) non era eccezionale, ma faceva parte del gioco. La nuova macchina infatti doveva dare buone prestazioni senza intimorire né per la difficoltà di guida né per l’affidabilità. E la coppia massima a un regime contenuto (16,8 kgm a 3.500 giri) permetteva una guida piacevole e disimpegnata, cosa che si sposava soprattutto con la spider.