14 October 2014

Lamborghini Miura

La Miura rappresenta un micidiale cocktail di proporzioni perfette, di design avveniristico e di prestazioni ancora oggi di primo livello (si parla di oltre 280 km/ora autentici) che ne fanno, oggi come...

Introduzione

La Miura rappresenta un micidiale cocktail di proporzioni perfette, di design avveniristico e di prestazioni ancora oggi di primo livello (si parla di oltre 280 km/ora veri autentici) che ne fanno, oggi come ieri, un oggetto di sogno che supera il tempo e le mode. Automobilismo d'Epoca ha messo assieme quattro esemplari doc che rappresentano, in un esclusivo meeting mai riuscito prima (raduni di marca a parte) a nessun altro giornale italiano del settore, tutte le tre serie in cui questo mito è stato prodotto.In realtà, la saga della Miura dovrebbe portare due date d’inizio. A quella ufficiale (marzo 1966, Salone Internazionale di Ginevra) occorrerebbe infatti aggiungerne un’altra, di poco antecedente: quella del Salone di Torino del novembre del 1965, dove il prototipo PT400 (Posteriore Trasversale 4 litri), presentato solo come nuda scocca e meccanica, aveva già impressionato tutti.

La PT400 si presentava come una monoscocca in acciaio, piena di grandi fori di alleggerimento, comprendente un largo trave centrale e due longheroni scatolati laterali uniti da elementi di rinforzo longitudinali e dal pavimento. La struttura centrale si estendeva anteriormente e posteriormente con bracci scatolati trapezoidali che terminavano all’altezza delle sospensioni. I due elementi più esterni erano raccordati longitudinalmente da tralicci in acciaio per garantire la massima rigidità strutturale. Il motore posteriore centrale, 12 cilindri, doppio albero a camme in testa per bancata, da quasi 4 litri e 320 Cv, derivava direttamente da quello montato (anteriormente) sulle Lamborghini 400 Gt di produzione, ma aveva il basamento che incorporava anche la campana del cambio in un’unica, elaborata, fusione.

Per la realizzazione di questo servizio, Automobilismo d’Epoca ringrazia il Lamborghini Club Italia e in particolare il suo presidente, Andrea Nicoletto.

Marcello Gandini

Era ovvio, a questo punto, che tutti i migliori stilisti dell’auto facessero di tutto per riuscire a vestire tanto ben di Dio. Ci riuscì un giovane Marcello Gandini, all’epoca 25enne disegnatore della Bertone, che, ricevuto l’incarico, con pochi tratti tracciò una linea unica che si dice abbia fatto esclamare a Ferruccio Lamborghini: “Questa mi piace, con questa entriamo nella leggenda!”. Il patron della Casa del Toro aveva la vista lunga…

La giovane età del progettista non deve sorprendere: tutto il team che ha sviluppato la Miura era composto da “under 30”. Il gruppo era composto da Gianpaolo Dallara (25 anni, ancora fresco di laurea in ingegneria) dedicato alla progettazione del telaio; da Bob Wallace (29 anni, neozelandese, meccanico specialista), promosso sul campo collaudatore (a lui si deve tutto lo sviluppo stradale della Miura); e da Paolo Stanzani (27 anni), ingegnere responsabile del reparto tecnico della giovanissima (3 anni) Casa di Sant’Agata. D’altronde, per riuscire a concepire un’auto come questa una certa dose di incoscienza giovanile ci voleva: l’idea del piccolo team, sbocciata e sviluppata nei ritagli di tempo, era di realizzare una vettura capace di portare il nome della Lamborghini sugli autodromi di tutto il mondo.

Il vero problema risiedeva nel presentare il progetto a Ferruccio Lamborghini, il quale si era fin dall’inizio dichiarato contrario all’eventualità che una qualunque delle sue vetture scendesse mai in pista (ricercando, anche in questo, una netta linea distinzione rispetto alla Ferrari). Timore fondato: una volta visto il progetto, infatti, il patron del Toro decise di non svilupparlo come auto da competizione, bensì come vettura da produrre in piccolissima serie, 50 esemplari al massimo, per i clienti più facoltosi e desiderosi di emozioni.

La Ford GT40…

D’altronde, alla metà degli anni 60, Ferruccio Lamborghini era a un punto di non ritorno nella sua sfida a Ferrari per la costruzione della più bella GT di sempre. Le prime esperienze automobilistiche della Casa di Sant’Agata, creata appena tre anni prima, avevano creato, con la 350 Gtv prima e la 400 poi, belle vetture, ma non erano riuscite a deviare il flusso di personaggi ricchi e influenti che per la propria supercar si recavano in quel di Maranello. Serviva qualcosa capace di far sognare, e Lamborghini lo sapeva.


IDEA VINCENTE
L’idea vincente, nella sua mente, era quella di precorrere i tempi, e la coraggiosa proposta presentata a Torino, ancora priva di qualsiasi abito, colpiva in pieno nel segno. I telaisti britannici avevano da poco portato la rivoluzione nel mondo delle corse con le loro vetture a motore posteriore, e persino un colosso come la Ford era sceso in campo per battere la Ferrari con una bellissima Sport (la GT 40) sviluppata in Inghilterra, presso la Lola di Eric Broadley, attorno all’idea del motore posteriore (un potente ma voluminoso 8V longitudinale).

La PT400 andava persino oltre la vettura da corsa della Ford (che, per inciso, di lì a non molto avrebbe rubato al Cavallino il titolo mondiale per Marche): la sua sigla stava appunto a sottolineare il posizionamento del motore che, per rimanere compreso all’interno del passo, è non solo posteriore, ma anche posizionato in trasversale. Il risultato è un propulsore attaccato, nel senso letterale del termine, alla schiena di chi si trova a bordo: a separare la bancata anteriore e i carburatori dalla testa degli occupanti, infatti, ci sono solo pochissimi centimetri occupati da un plexiglas con funzione di paratia antirumore e anticalore.

SOSPENSIONI
Due funzioni che, giusto per essere chiari, vengono assolutamente disattese... Un layout del genere poneva poi un altro problema: quello del posizionamento del gruppo frizione-cambio che, sempre per consentire di mantenere l’intero gruppo motopropulsore all’interno del passo della vettura, finì per trovare posto direttamente all’interno del blocco motore, racchiuso in una propria elaborata fusione realizzata in blocco con quella del basamento. Anche le sospensioni sono da auto da corsa del periodo: doppi triangoli all’avantreno con barra antirollio e quadrilateri al posteriore, anche qui con barra antirollio.

Abitacolo

Piuttosto sorprendentemente, anche nelle prime Miura di produzione lo spazio per i passeggeri è invece accettabile, almeno considerando il tipo di vettura di cui si tratta: Bob Wallace, di notevole statura, era riuscito infatti a ottenere un abitacolo adatto anche a piloti più alti della media. L’unico inconveniente è che per riuscire nell’intento aveva posizionato il volante molto in alto, rendendolo meno comodo per chi è di statua normale. Un ampio tunnel centrale occupa lo spazio tra i due sedili, mentre il passeggero ha a disposizione una maniglia e un appoggiapiedi per mantenersi in posizione mentre il pilota si diverte.


La visibilità anteriore è ottima e, a dispetto delle apparenze, anche quella posteriore è discreta: attraverso la “veneziana” che ricopre il vano motore, infatti, si riesce a vedere piuttosto bene dove termina la vettura e che cosa succede dietro. Completamente invisibili in manovra, invece, le porzioni posteriori delle fiancate, dove neppure i piccoli specchietti esterni riescono ad arrivare. Nell’abitacolo la disposizione della pulsanteria è tutt’altro che ergonomica, con comandi sparsi su ogni superficie utile e perfino sul tettuccio. Nei rari esemplari con l’aria condizionata la manopola di regolazione è posizionata esattamente davanti al passeggero...

Tecnica

Sono tre le serie della Miura che si succederanno dal 1966 al 1972: mantenendo alla vettura un’estetica all’apparenza molto simile, ma in realtà con importanti modifiche tra l’una e l’altra.La prima a nascere è la P400, prodotta in 475 esemplari tra il 1966 e il 1968. A parte il primo esemplare, esposto a Ginevra, che utilizza una copertura in plexiglas chiaro, tutte le Miura successive verranno dotate delle “veneziane” di colore nero a coprire il vano motore. Sui primi tre esemplari il motore, visto da sinistra, ruota in senso antiorario e la frizione è una Borg & Beck a triplo disco: dal quarto telaio (il primo a essere messo in vendita nel 1967) in poi il senso di rotazione del propulsore viene invertito e la frizione diventa a disco singolo, mentre il tetto viene rialzato di 10 mm e i sedili abbassati di 9 mm. Il cambio del senso di rotazione del propulsore è dovuto a Dallara in persona, che si era reso conto di come, così facendo, il motore girasse in modo più omogeneo. La vettura del salone, inoltre, adotta gli alzacristalli manuali e la selleria in tessuto. Rispetto al prototipo PT400 la Miura definitiva cambia di poco, adottando un passo leggermente accorciato (2.504 mm al posto di 2.560) e il radiatore dell’acqua all’anteriore così come la batteria e la ruota di scorta.



MOTORE
Il motore a 12 cilindri, di 3.929 cc, è alimentato da 4 carburatori a triplo corpo Weber 40 IDA 30, alimentati da una doppia pompa della benzina Bendix. Sviluppa 350 Cv a 7.000 giri e ha un rapporto di compressione di 9,5:1. Le prestazioni sono ancora oggi stupefacenti, ma per l’epoca praticamente spaziali: con una coppia massima di 38,5 kgm a 5.000 giri/min. e una velocità massima dichiarata di 280 km/h, la Miura è l’auto di serie più veloce del mondo. I parafanghi posteriori non sporgono dalla carrozzeria e i pneumatici posteriori, Pirelli 205VR15 montati su cerchi in magnesio da 15”, ne sfiorano appena il bordo esterno. I fari posteriori sono in un pezzo unico, mentre gli anteriori sono circondati dalle famose “ciglia” che, solo sui primi tre esemplari, si sollevano insieme con il groppo ottico all’accensione dei fari, mentre successivamente restano fisse sul cofano.

All’interno, troviamo due sedili baquet con l’appoggiatesta applicato direttamente al divisorio del vano motore e una bassa maniglia di tenuta per il passeggero, posizionata al limitare del tunnel della trasmissione. I pulsanti Lucas dei vari azionamenti elettrici trovano posto sul cruscotto e sul tetto. Il sistema di apertura dei cofani è piuttosto macchinoso e comprende una serie di manopole da tirare.La Miura P400 resta in produzione senza sostanziali modifiche eccetto il passaggio, alla fine del 1967, a lamiere da 10/10 di mm di spessore rispetto agli originali 8/10 per migliorare la rigidità dell’insieme.

Nel 1968 arriva la S

Nella primavera del 1968, in occasione del Salone di Torino, Lamborghini presenta la Miura P400 S, che verrà costruita fino al 1971 in 140 esemplari. Il motore, grazie a un rapporto di compressione aumentato a 10,4: 1, a una camera di combustione rivista, a carburatori Weber 40 IDL 3L con condotti di immissione maggiorati (da 28 a 30 mm) e a un nuovo disegno degli alberi a camme, raggiunge i 370 Cv a 7.700 giri/min., con una coppia massima di 39,5 kgm a 5.500 giri/min. A partire dal 1970 la S adotterà freni a disco autoventilanti.


L’esterno, fatta eccezione per l’aggiunta della S maiuscola sulla coda, accanto alla scritta Miura, cambia di poco, con pneumatici leggermente ribassati (Pirelli GR70 VR15HS) e le cornici dei fari anteriori, dei vetri laterali e del parabrezza cromate. Nella S è l’interno la parte più modificata: cambia la pulsanteria, non più a levette e meglio disposta, senza più interruttori sul soffitto. Gli alzacristallo sono elettrici, i sedili più confortevoli e con appoggiatesta integrato, la maniglia per il passeggero viene ingrandita e rialzata per facilitarne l’impugnatura. Viene aggiunto un cassetto portaoggetti chiudibile e il volante guadagna l’impugnatura in pelle al posto di quella in legno, mentre anche i pannelli porta vengono modificati.

Il baule posteriore, in virtù di un impianto di scarico di muovo disegno e riposizionato, diventa più grande. Con la S si può richiedere come optional l’aria condizionata. Cambia anche il dispositivo di sgancio dei cofani, con l’adozione di un sistema a vite e gancio sempre laborioso, ma meno delicato del predecessore. Aumenta di 60 chili il peso, che arriva a 1.040 chili a vuoto.

La P400 SV

Nel 1971, in marzo, al Salone di Ginevra, ecco l’ultima evoluzione della Miura, la P400 SV (Veloce) che verrà costruita fino al 1972 in 150 esemplari. Non sostituisce la S, ma la affianca: il motore adotta la lubrificazione separata per il cambio e vede aumentare la potenza a 385 Cv a 7.850 giri/min. grazie a un rapporto di compressione portato a 10,7: 1. La coppia arriva a 40,7 kgm a 5.750 giri/min. e il peso a vuoto sale a 1.245 kg. L’esterno subisce modifiche più importanti, con l’allargamento dei parafanghi posteriori per poter ospitare pneumatici Pirelli 235/60 FR 15, mentre all’avantreno si adottano i 215/65 FR 15, con la larghezza della carreggiata posteriore che cresce di quasi 13 cm.


Cambiano anche i gruppi ottici posteriori, ora in 3 elementi, e la forma degli scarichi. Compare, naturalmente, il logo SV sulla parte posteriore. I supporti per la targa posteriore vengono trasferiti sulla griglia posteriore di sfogo dell’aria calda. All’anteriore, invece, si ingrandiscono le luci di posizione sotto il paraurti e sui parafanghi compaiono piccole frecce ripetitrici mentre viene ingrandita anche la presa d’aria anteriore. Spariscono le “ciglia” a contorno dei fari. Nella vista laterale si nota l’ingrandimento della presa d’aria inferiore. All’interno viene ancora rivista la disposizione delle pulsantiere e i sedili ricevono un’imbottitura maggiore.


Nel 1972, all’improvviso, dopo una produzione totale di 765 esemplari la Miura esce di scena. La Casa ha presentato la Countach: anche questa vettura entrerà nella leggenda, ma la sua progenitrice resterà nel cuore e nella mente anche di coloro che normalmente non distinguerebbero una Ferrari da un tram. Le ultime Miura lasciano le linee nel 1973: l’ultima Miura a essere consegnata (nella primavera di quell’anno) è la SV n. di telaio 5108.

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