16 August 2014

Fiat 1500 GT Ghia, puzzle di stili

Un piccolo alone di mistero avvolge la produzione della Fiat 1500 GT Ghia. Con una produzione pianificata inizialmente in circa duemila unità, poi ridotte a millecinquecento, infine meno di mille costruite...

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Un piccolo alone di mistero avvolge la produzione della Fiat 1500 GT Ghia. Con una produzione pianificata inizialmente in circa duemila unità, poi ridotte a millecinquecento, infine meno di mille costruite. I numeri di produzione reali non sono però noti: alcune fonti parlano di 925 esemplari, mentre la stessa Ghia, in una lettera a un cliente datata 26 febbraio 1976, ne dichiara 846 costruiti al ritmo di cinque al giorno, di cui trentasei esportati negli Stati Uniti attraverso la Krim Car Import Company di Detroit. Non si hanno notizie certe nemmeno sul motivo di questo improvviso arresto; le ipotesi spaziano da un repentino calo delle vendite (la vettura non fu mai venduta dalla rete commerciale Fiat, bensì da Ghia), a una possibile variazione da parte di Fiat delle condizioni di vendita dei componenti meccanici, non accettata da Ghia, infine al timore da parte della stessa Fiat che la GT oscurasse alcuni suoi modelli. Per contro, tra il 1962 e il 1967, con la 1500 GT, Fiat ebbe un’ottima chance per dimostrare al mondo, ancora una volta, di essere un Costruttore capace di produrre non soltanto utilitarie ma anche berlinette sportive estremamente raffinate.

Copia d’autore
Prodotta sulla nota meccanica Fiat 1500, la coupé Ghia può vantare un telaio misto (scatolato Fiat con traliccio tubolare all’anteriore) progettato e realizzato espressamente dalla milanese Gilco Autotelai, nota per le realizzazioni nella categoria Sport, e una linea nata dalla matita di Sergio Sartorelli, eclettico designer formatosi presso la celebre carrozzeria di Mario Felice Boano e poi approdato in Ghia, dove firma molti dei più grandi successi della carrozzeria torinese. Data la mancanza di una motorizzazione specifica, lo stile è l’elemento di maggior appeal della vettura; sono evidenti i richiami alle berlinette sportive dell’epoca, Ferrari e Lancia in testa, e questo è stato da sempre un aspetto molto discusso. Il lungo cofano e i sinuosi parafanghi copiano fedelmente le curve della Ferrari 250 GT SWB, tanto che il paraurti anteriore cromato, “travestito” da cornice decorativa della calandra, sembra voler camuffare una somiglianza eccessiva. Anche il paraurti quadrangolare non è una novità assoluta, ma ripreso da alcune proposte di Virgil Exner e Raymond Loewy. Scorrendo la fiancata, il taglio sfuggente del padiglione e il finestrino posteriore trapezoidale sono un chiaro richiamo alla GT italiana per eccellenza, la Lancia Aurelia B20, mentre la coda tronca e spiovente con i due fanalini circolari alle estremità ha molto delle Ferrari 275.

MOTORE

Executive per due
Per contro non mancano spunti originali, come i doppi sfoghi d’aria sulle fiancate e il cofano motore dal taglio “scantonato”, il tutto sapientemente miscelato e condito da elementi di estrema raffinatezza, come le fiancate pulite (mancano perfino le maniglie), il leggerissimo paraurti posteriore “a baffo” e i cerchi bimetallici Borrani specifici per questo modello (le cui finestre ricalcano la forma delle uscite d’aria sui parafanghi). Il risultato è armonioso ed elegantemente grintoso. L’aspetto esterno è ancora valorizzato, in questo caso, dalla rara quanto elegante livrea nera, proposta all’epoca su richiesta assieme al blu scuro e al giallo mentre, curiosamente, non era previsto un sovrapprezzo per le tinte metallizzate (azzurro, beige e argento) che si aggiungevano ai colori pastello di base, bianco latte, rosso corsa e verde scuro. Tutte le tinte esterne erano abbinate al medesimo allestimento interno, che di base prevedeva il rivestimento di sedili, pannelli e parte superiore della plancia in similpelle nera.

A richiesta era disponibile la selleria mista stoffa/pelle come nella vettura del servizio, o totalmente in pelle, sempre in nero. I sedili anteriori si presentano curati e solidi, ma non molto contenitivi, data la vocazione turistica della vettura, mentre dietro, dove spiccano i piccoli finestrini apribili a compasso, non è presente alcuna imbottitura ma soltanto un rivestimento in moquette, a significare che la panchetta è vista come semplice ampliamento del vano di carico posteriore, peraltro molto regolare e sufficiente per una coupé. La plancia, di pregevole fattura, è in tinta con la carrozzeria e rivestita nella parte sopra in similpelle (o pelle) nera; la strumentazione, che vede da sinistra livello benzina, contagiri, pressione olio, tachimetro/contachilometri totale e parziale, temperatura acqua, è concentrata davanti al guidatore assieme alle spie e agli interruttori principali. A centro plancia troviamo gli interruttori secondari, il blocchetto di accensione, la plafoniera e l’alloggiamento per la radio, che il proprietario della vettura ha posizionato sotto il cruscotto per mantenere il coperchio personalizzato Ghia presente sulle vetture sprovviste di impianto audio. Chiude all’estrema destra il vano portaguanti con sportello, mentre un altro logo della carrozzeria torinese campeggia sulla fascia imbottita inferiore, in corrispondenza del pomello del cambio, dalla bella leva corta. Il volante a tre razze lucide, splendido, porta al centro l’ennesima firma Ghia ed ha la corona rivestita in bachelite nera; a richiesta era disponibile un Nardi con corona in legno. Ulteriori accessori disponibili erano le cinture di sicurezza, il clacson tritonale, la radio con antenna (anche elettrica), il doppio scarico posteriore, l’overdrive “Bianchi” e il già citato interno in pelle. Ultimo dettaglio degno di nota, i pannelli porta caratterizzati dai lunghi maniglioni realizzati in tubolare cromato (reminiscenze delle varie “spiaggine” Ghia, sempre opera di Sartorelli) e arricchiti da un piccolo cuscino, dal quale spunta la maniglia di apertura che incorpora anche il meccanismo della sicurezza.

Anteriore centrale
Aprendo il cofano anteriore scopriamo un’altra caratteristica saliente della GT Ghia. Il motore, classico quattro cilindri in linea montato in longitudinale, appartenente alla famiglia Fiat 1500, qui è collocato all’interno dell’asse anteriore, a ridosso dell’abitacolo, e lascia vuota la porzione anteriore del vano per quasi un terzo. Ciò doveva garantire un ottimo bilanciamento, quindi una tenuta di strada esemplare, a livello di ben altre prestazioni rispetto a quelle espresse dal propulsore Fiat di 1481cc (tipo 115.005) che, seppur non all’avanguardia, era comunque abbastanza brillante, grazie al rapporto di compressione di 8.8:1, al carburatore Weber 28-32 e al peso inferiore alla tonnellata. La potenza è di 82 CV SAE (72 DIN) a 5.200 giri, dato il otore tipo “C” montato a partire dal 1964, per una velocità massima di circa 170 km/h.

La trasmissione rispetto alla serie ha rapporti più corti; l’impianto frenante è misto, con dischi all’anteriore, con una piacevole modulabilità grazie anche al servofreno a depressione. L’esemplare fotografato, costruito nel 1964 e immatricolato a Roma nel 1967, con ancora le targhe originali, è di proprietà di Alessandro Cacciotti, collezionista noto per i suoi trascorsi lavorativi in Nissan, di cui è stato per anni direttore commerciale per l’Italia. Nel 1997, per poco meno di sette milioni di lire, Cacciotti ha acquistato 1500 GT dal suo unico precedente proprietario, che l’aveva fermata verso la fine degli anni ‘80. L’ha poi spedita a Brescia, per un restauro integrale da Volpi, specialista in fuoriserie, del quale ha seguito personalmente alcune disavventure, come ad esempio la realizzazione di un nuovo parabrezza sagomato (il ricambio è introvabile) inviandone alla ditta incaricata di Trieste l’intera cornice. Il restauro, lungo (circa sette anni) e doloroso (più o meno trentamila euro) ha portato alla fine i risultati sperati.

Dopo il ripristino la vettura ha percorso circa 4000 km ed è utilizzata solo nelle manifestazioni “importanti”; data la difficoltà di eventuali riparazioni il suo proprietario difficilmente si avventura nel congestionato traffico romano. Oggi è difficile valutare una vettura del genere che, col senno di poi, può essere considerata il canto del cigno di una produzione prestigiosa, raffinata e contraddistinta da tratti tipicamente italiani, quella della carrozzeria Ghia, prima dell’entrata nell’orbita Ford nel 1970. Fondata da Giacinto Ghia nel lontano 1915, l’azienda, come molte altre carrozzerie, col tempo ha visto il proprio stile, sempre personale e riconoscibile, sopraffatto dalle logiche dei grandi numeri e dai design “generalisti” delle grandi Case, e si sono chiusi per sempre i tempi, rimpianti dai più, delle fuoriserie. Vetture a parte, Ghia ha lasciato in eredità talenti indiscussi quali, oltre Sartorelli, il sommo Giorgetto Giugiaro che proprio nella carrozzeria torinese, tra il ‘65 e il ‘68, ha mosso i suoi primi passi in quel mondo di cui è ancora oggi uno straordinario interprete.

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