05 November 2014

Ferrari Pinin 1980, opera compiuta

Il più esplicito fu Luca Cordero di Montezemolo: alla presentazione ufficiale della Ferrari Pinin, Salone dell’Automobile di Torino del 1980, dichiarò che si trattava....

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Il più esplicito fu Luca Cordero di Montezemolo: alla presentazione ufficiale della Ferrari Pinin, Salone dell’Automobile di Torino del 1980, dichiarò che si trattava della più bella auto che avesse mai visto. Dopo trent’anni, l'ex presidente della Ferrari avrà apprezzato molte altre auto. Ma non si può negare che, ancor oggi, la Pinin riesca ad emozionare e impressionare gli sguardi che hanno la fortuna di posarsi su di lei. La prima Ferrari a quattro porte.Una vettura straordinaria, che fece scalpore all’esposizione torinese. E dire che nello stand Pininfarina - dov’era esposta - era attorniata da altre bellezze di indubbia caratura: una Lancia Astura del 1937, una Cisitalia 202 del 1947, una Lancia Aurelia B20 del 1951, un’Alfa Romeo Giulietta del 1954 e una Ferrari 250 GT del 1961. Non a caso, cinque automobili. Un numero che all’epoca doveva richiamare le cinque decadi di attività che la carrozzeria Pininfarina festeggiava proprio in quel mese di maggio del 1980. La sua fondazione, infatti, risale precisamente al 22 maggio del 1930, con la ditta “Società Anonima Carrozzeria Pinin Farina”.

La Ferrari Pinin si presentava, quindi, come uno speciale omaggio che l’allora presidente della Carrozzeria, Sergio Pininfarina, intendeva dedicare al padre Battista “Pinin”. “E’ stata concepita -si leggeva in una nota diffusa all’epoca da Sergio Pininfarina- con l’intenzione di esprimere l’essenza delle caratteristiche per le quali ci siamo affermati: la semplicità, il senso delle proporzioni, la rigorosa coerenza delle soluzioni tecniche adottate. Presenta e promuove molti nuovi studi tecnici, specie nel campo dell’elettronica. E’ lo sviluppo di un tema diverso da quelli che abbiamo in corso per i costruttori e per noi stessi e che sono suscettibili di entrare in produzione in futuro.

E’ certamente la realizzazione più rappresentativa che potessimo concepire per questa occasione per noi così eccezionale. Crediamo di aver conseguito un risultato fedele alla nostra tradizione ed alla passione che sentiamo per l’automobile”. “L’abbiamo battezzata Pinin -conclude la memoria di Sergio Pininfarina- in ricordo e in omaggio al fondatore della nostra società. Ci auguriamo che questa Ferrari Pinin piaccia al grande Enzo Ferrari e che sappia portare nel mondo un altro messaggio della perfezione meccanica e del design italiano”. Già, il Commendatore… Lui era assolutamente contrario alle automobili marchiate Ferrari che avessero più di due porte. Non voleva mischiarsi con i costruttori di berline ad alte prestazioni. Le sue vetture dovevano essere sempre e solo delle sportive o granturismo “2+2”. Certo, anche il Drake aveva dimostrato ammirazione per lo stile e l’audacia inconfutabili della Pinin. Ma tra il dire e il fare, quel mare è sempre rimasto troppo vasto.

“Boxer” anteriore

Quella della Pinin è stata quindi un’iniziativa autonoma del carrozziere di Cambiano, realizzata con il benestare di Maranello che ha fornito i gruppi meccanici. Ecco, quindi, che dopo la sua prima, scintillante apparizione la Ferrari Pinin è scomparsa per sempre dietro le quinte. Nemmeno più un ruolo da comparsa, se non al successivo Motorshow statunitense di Los Angeles del 1980 e ad un evento californiano intitolato “Carrozzeria italiana”, organizzato a Pasadena nel 1981. Da lì è tornata al Centro Studi e Ricerche Pininfarina, fino a quando, una decina d’anni più tardi, è passata nelle mani dell’importatore Ferrari per il Belgio Jacques Swaters (Garage Francorchamps). Ora la Pinin è tornata in Italia e ha anche cominciato una nuova vita da quando la sua meccanica è stata resa completamente funzionante permettendo al prototipo di viaggiare. Non è molto frequente imbattersi in una vettura creata in toto da un carrozziere. Di solito queste aziende sono specializzate nel “rivestire” un’automobile adottando basi meccaniche complete già esistenti.

Nel caso della Pinin, invece, l’argomento è stato affrontato in maniera insolita, ovvero adattando (o provando a farlo) parti meccaniche a un suo progetto. Infatti, l’impostazione generale del telaio e la disposizione delle parti meccaniche di questa Ferrari a quattro porte rappresentano una proposta specifica della Pininfarina. L’atelier torinese, quindi, sistema il motore 12 cilindri boxer della Ferrari BB 512 sull’asse anteriore del prototipo (come già aveva fatto nel 1974 con la concept car CR25) integrandolo con altre parti meccaniche Ferrari, come cambio, frizione e sospensioni. La scelta del V12 di 180° è dettata da precise ragioni stilistiche e aerodinamiche. Anzi, è proprio questo motore - compatto, leggero e con caratteristiche architettoniche ideali - che ispira e caratterizza il tema svolto dalla Pininfarina. Stilisticamente, nella parte anteriore la Pinin valorizza la classica calandra Ferrari a maglie rettangolari. Una grande “bocca” che ricorda quella utilizzata sui vecchi modelli sportivi come la 166. Per dare slancio e leggerezza alla fiancata si utilizzano vetri fumé montati in modo da mascherare telarini e montanti. Il risultato ottenuto è quello di un’unica superficie vetrata che avvolge l’intera parte superiore dell’automobile.

La linea generale dell’auto è morbida e arrotondata. Caratteristiche ideali sia per il senso estetico, sia per l’effetto aerodinamico messo a punto direttamente dalla Pininfarina nella sua galleria del vento inaugurata nel 1972. Tra le altre peculiarità tecniche, sulla Pinin sono installati i proiettori anteriori pluriparabolici e i fari ad alto contrasto, entrambi messi a punto con la collaborazione delle aziende specializzate Lucas e Carello. I primi hanno superfici multiriflettenti e lenti molto inclinate che permettono la realizzazione di un faro dal profilo molto basso, che ben si integra con lo stile della vettura; i secondi, montati al posteriore, si mimetizzano nella carrozzeria perché in tinta con essa.

Il futuro sulla carta

Gli allestimenti interni, dotati di componenti elettronici all’avanguardia, nascono dalla partnership con la Veglia-Borletti. L’impostazione generale della strumentazione è dettata dall’idea di sistemare solo gli strumenti essenziali per la marcia davanti al guidatore e di sistemare tutti gli altri nella consolle. Il tachimetro, il contagiri, le spie e la grande luce rosse di allarme -attivata in caso di anomalia di un qualsiasi organo di servizio- sono raccolti in uno schermo scuro di fronte al guidatore. L’intero pannello si illumina azionando la chiave di avviamento. Essendo rimasta pressoché allo stadio di prototipo o “show car”, molti accessori non sono stati realizzati, ma il progetto originario prevedeva una ricca dote di altre sofisticherie tecnologiche. Oggi rientrate quasi nello standard, ma alla fine degli anni Settanta rappresentavano qualcosa di straordinario.

E allora ecco un fiorire di display digitali a led sui quali leggere le informazioni sul percorso effettuato dalla vettura e quelle provenienti dal calcolatore di bordo, o ancora gli avvisi per la manutenzione da effettuare e quelli per le anomalie. Tramite una apposita tastiera si potrebbe interrogare il computer di bordo per conoscere la velocità media, i consumi, i chilometri percorsi, eccetera. Una seconda tastiera è poi sistemata sulla console tra i sedili posteriori ed è a disposizione dei passeggeri per il loro coinvolgimento nel viaggio. Per i sedili anteriori è prevista la regolazione elettrica, comandata tramite pulsanti posizionati sul padiglione. Anche la climatizzazione è automatica: peccato che tutti questi accessori siano rimasti sulla carta.

Altri elementi unici sono i cerchi ruota in lega leggera che utilizzano il disegno classico della stella Ferrari, ma quelli della Pinin hanno i bracci della stella svergolati verso l’interno come pale di un’elica in modo da ottenere un effetto autoventilante sui freni. I tergicristalli, infine, sono completamente nascosti alla vista quando sono in posizione di riposo. Si trovano in un apposito alloggiamento dotato di sportello che, quando si trova in posizione sollevata, alimenta la presa d’aria per l’abitacolo.

È sempre difficile realizzare la cosa giusta al momento giusto. Lo è sempre stato. Forse non fa eccezione nemmeno la Ferrari Pinin. All’epoca non esisteva una vettura a quattro porte sportiva e di lusso costruita in Italia. E alla Ferrari la proposta della Pinin non sembrava neanche troppo fuori dagli schemi. Allo stesso Commendatore aveva suscitato impressioni positive, ma la sua eventuale approvazione non sarebbe stata sufficiente per avviarne la produzione. C’era già la Fiat di mezzo, che aveva appena chiamato Vittorio Ghidella a capo della divisione auto.

La missione del manager era quella di rilanciare l’azienda per arrivare alla stabilità economica, e in occasione dell’annuale consiglio di amministrazione Ferrari tenuto nel 1980, Ghidella non aveva esternato parere favorevole nei confronti della Pinin. A quel punto, per evitare incidenti diplomatici e per mantenere saldi i rapporti “politici” con Torino, anche Enzo Ferrari si vedeva costretto a mettere la Pinin nel cassetto. Con il senno di poi e considerando quel che ha fatto la Porsche con la Panamera (ma anche BMW e Mercedes con le berline ad altissime prestazioni) viene da pensare che una Ferrari Pinin “vera” oggi avrebbe il suo perché.

Fioravanti

All’epoca della realizzazione della Ferrari Pinin, l’ingegnere Leonardo Fioravanti era direttore del Centro Studi & Ricerche Pininfarina. Chi meglio di lui può ricordare le vicende di questa automobile?

“La Pinin mi è rimasta impressa nella memoria -conferma Fioravanti- perché nacque proprio nel reparto che dirigevo io. Quello di una Ferrari a quattro porte è sempre stato un sogno di Battista Farina, per questo in occasione dei 50 anni dell’azienda suo figlio Sergio ha voluto costruire la Pinin”. Nel corso della sua lunga carriera di designer, Fioravanti ha disegnato personalmente 11 modelli Ferrari e ha gestito altri 18 progetti legati al marchio del Cavallino.

“Ovviamente la Pinin è tra le vetture che non si dimenticano. All’epoca ebbe un grande successo, di pubblico e di critica. Nacque in stretta collaborazione con i tecnici Ferrari: il telaio è derivato da quello della 412 (modello, tra l’altro, che ho disegnato personalmente) con il passo allungato, le carreggiate modificate e la parte anteriore modificata per ospitare il motore 12 cilindri boxer”. Quali sono state le varie fasi del progetto? “Fatti i primi disegni -ricorda Fioravanti- insieme a Sergio Pininfarina fu scelto quello firmato da Diego Ottina. Quindi passammo allo studio aerodinamico, poi alla realizzazione del modello in scala 1:1 e infine alla costruzione del prototipo”.

Lei era alla direzione del dipartimento, ma sulla Pinin c’è anche la sua mano di designer?

“Sì -conferma Fioravanti- realizzai il pannello plurifunzione sul padiglione dallo specchio al lunotto. Poi, insieme alla Lucas, ho realizzato l’idea dei fanali posteriori in tinta con la carrozzeria”. Alla presentazione la Pinin ebbe ottima critica. E poi? “Effettivamente si tratta di una vettura ancora oggi molto gradevole: lo stile è pulito e rigoroso, di quelli che durano nel tempo. Infatti, all’epoca, anche in Ferrari c’era chi la guardava favorevolmente. Addirittura, in seguito alla presentazione, ha iniziato ha girare tra i dealer Ferrari anche all’estero per carpire le reazioni. Era un bell’omaggio, ma comunque non bisognava farla”.

Perché?

“L’opinione diffusa -spiega ancora Fioravanti- era che la Ferrari si distingueva per le doti sportive delle sue vetture, che a volte sopperivano a qualche pecca qualitativa. Ma per fare una berlina di lusso e confrontarsi con competitor specializzati in questo genere di vetture non era pensabile trascurare i dettagli. Poi sarebbero sorti non pochi problemi per la sua produzione in serie: l’industrializzazione di un modello del genere avrebbe assorbito energie di cui la Ferrari in quel periodo non disponeva”.

Forghieri

Non uno qualunque. Ma “Furia” in persona -al secolo l’ingegner Mauro Forghieri - ha contribuito a dare vita a questa sorta di Frankenstein automobilistico che è oggi la Ferrari Pinin. “Ha presente come sia fatta una vettura da salone?”, esordisce l’ex-direttore tecnico del reparto corse Ferrari ricordando il lavoro fatto dalla Oral Engineering sulla Pinin per metterla in condizioni di muoversi.

“E’ poco più che un manichino -prosegue- e nel caso specifico della Pinin posso dire che di macchina c’era ben poco. Il motore era tagliato, il cambio era messo lì in qualche modo. La vettura è molto bassa e così abbiamo rivisto il 12 cilindri Ferrari (progettato dallo stesso Forghieri, ndr) con una nuova coppa dell’olio. Abbiamo lavorato molto sulle sospensioni autolivellanti, così come sulla trasmissione. E poi tutta l’impiantistica per acqua e lubrificazione. Ci siamo dovuti anche inventare un posto per il serbatoio della benzina (che è dietro i sedili posteriori, ndr), ma dopo un anno di lavoro siamo riusciti a dire: eppur gira”.

Forghieri non è solo soddisfatto per aver portato a termine una missione quasi impossibile:

“Mi ha fatto molto piacere lavorare su questa vettura. Conoscevo Pinin (Battista Farina, ndr) e ho sempre apprezzato questo particolare prototipo voluto da suo figlio Sergio”. Più nel dettaglio, per mettere in movimento la Pinin è stato adattato il motore 12 cilindri a V di 180° della 512 BB utilizzando alcune parti derivate dalla 400 GT. Sempre della Ferrari 400 GT è il cambio montato nella parte posteriore del moore creando anche lo spazio per la frizione e ridisegnando l’impianto di lubrificazione.

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