04 January 2014

F1 epoca: Ferrari 312B, regina senza corona

Nelle varie evoluzioni fu per lunghi tratti la monoposto più veloce. Ma vari tipi di problemi, da quelli politico-industriali all’eccessivo impegno del Cavallino nei vari campionati, non le permisero di esserlo....

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Nell’autunno del 1969 una nuova monoposto gira all’Aerautodromo di Modena. Ha una sagoma bassa, filante, ma soprattutto alle spalle del pilota non c’è più l’intreccio di tubi di scarico che distingueva le Formula 1 Ferrari dal 1966. Anzi, osservandola bene, si nota che gli scarichi sono in basso, sotto ai tromboncini d’aspirazione. E il suono del motore non è quello di un V12 tradizionale. La monoposto si ferma, il pilota Chris Amon scambia qualche parola con l’ingegnere Mauro Forghieri e poi riparte per compiere giri su giri. E’ la Ferrari 312B, ormai definitiva nelle linee e nella configurazione tecnica, nuova monoposto su cui sono riposte le speranze di un immediato rilancio dopo l’esperienza negativa dell’anno prima. Ma perché a Maranello si è deciso di abbandonare il dodici cilindri a V di 60° a favore di una nuova geometria che prevede i cilindri contrapposti?

Tre gruppi di quattro cilindri

 

Le risposte sono molteplici, la prima delle quali è la ricerca di una maggiore competitività. Il V12 della precedente 312, pur sviluppato ed evoluto in configurazione a 48 valvole, resta un motore derivato dalla produzione stradale, quindi pesante e ingombrante per una F1. Al termine dello sviluppo è potente quanto i migliori Ford DFV, ma il V8 realizzato dalla Cosworth è nato per le corse, dunque molto più leggero ed efficiente; inoltre il V12 di Maranello con l’aumentare della potenza non è più affidabile come prima. C’è poi un aspetto squisitamente tecnico: la geometria a V di 180° abbassa il baricentro dell’auto, a vantaggio della tenuta di strada e maneggevolezza, e ne beneficia anche l’aerodinamica, che inizia a prendere piede, poiché si libera il flusso d’aria verso l’alettone posteriore. Ultimo motivo (ma non ultimo), la Franklin, costruttore americano di aerei, è alla ricerca di un motore piatto e compatto da inserire nelle ali dei suoi aeroplani.

 

E il nuovo dodici cilindri Ferrari è la soluzione ideale. La prospettiva di costruire un motore da F1, da vendere anche per altri scopi, sarebbe ideale per mettere d’accordo scelte tecniche e bilancio aziendale, anche dopo l’accordo con la Fiat. Ma la ditta americana fallisce e dell’impiego in aeronautica del V12 di 180° non se ne fa nulla. Tornando all’attività di progettazione in vista della stagione 1970, la Ferrari non parte con un nuovo progetto di motore senza prima averlo sperimentato. Il “boxer”, com’è anche impropriamente definito, è collaudato sulla 212 E, vettura Sport di due litri con la quale lo svizzero Peter Schetty, nel 1969, vince a mani basse il titolo Europeo della Montagna.

 

E l’ottimo comportamento di quel due litri induce all’ottimismo, anche perché il “fratello maggiore” di tre litri per la F1, con i suoi 145 kg, beneficia di una consistente riduzione di peso rispetto al vecchio V12. In più è un motore corto e compatto, con attriti interni ridotti, un risultato al quale Forghieri arriva montando l’albero a gomiti su soli quattro supporti di banco in luogo dei canonici sette, pur potendo aggiungerne un quinto se la rigidezza non si dimostrasse, all’atto pratico, sufficiente.

 

Subito tanti CV, ma Amon se ne va

 

In pratica il V 180° è formato da tre gruppi di quattro cilindri contrapposti, tra i quali sono interposti due supporti di banco, mentre gli altri due si trovano alle estremità.

 

L’idea finale (e risolutiva) è di interporre tra l’albero a gomiti e il volano un giunto di gomma speciale, appositamente realizzato dalla Pirelli, per smorzare le vibrazioni. Fatto il motore, bisogna alloggiarlo nella macchina. Per questo la monoscocca della 312 B è progettata con una trave posteriore che sostiene il motore (appeso) e l’alettone. In quegli anni la ricerca aerodinamica è volta a ridurre la sezione frontale della monoposto per diminuire la resistenza dell’aria, cercando contemporaneamente di mantenere elevato il carico dato dagli alettoni senza penalizzare troppo la velocità. La forma tipica delle F1 di quegli anni rivela questo tipo di approccio, mentre le gomme hanno la carcassa a tele incrociate e il battistrada scolpito. In qualche caso si era posto il problema di scaricare a terra tutta la potenza, tanto che si erano viste nel corso del 1969 alcune monoposto a quattro ruote motrici.

 

La loro competitività era scarsa, ma sembra una strada tecnica plausibile per il futuro. Le cose vanno però diversamente perché le monoposto a trazione integrale saranno bandite dalla massima serie, ma quando Forghieri comincia il progetto della 312B questa decisione non è stata ancora ventilata. Così la nuova macchina è progettata tenendo conto anche della possibile applicazione di questo tipo di trasmissione. Nuovo telaio, nuovo motore, possibilità di applicazione della trazione integrale: con tante novità c’è bisogno di un intenso lavoro di svezzamento e di messa a punto, ma si vede subito che la competitività c’è. Oltretutto il nuovo 12 cilindri eroga fin dai primi collaudi 450 CV a 12.500 giri contro i circa 420 a 11.000 del precedente, e questo collocava la 312B un gradino sopra i migliori Ford. Fatta la macchina, c’è da fare la squadra. Chris Amon, stanco della Ferrari, cede alle lusinghe della neonata scuderia March; Pedro Rodriguez, ingaggiato nell’ultima parte della stagione 1969, firma per la BRM e così dalla Brabham torna Jacky Ickx.

1970

La Ferrari inizia il campionato 1970 con una sola vettura e le prime tre corse si concludono con un nulla di fatto. In Sudafrica Ickx si ritira per un guasto al motore, mentre in Spagna è urtato al primo giro dalla BRM di Jackie Oliver; le due macchine escono di strada e si incendiano. I piloti devono la salvezza alla breve esposizione al fuoco, alle tute ignifughe e al fatto che c’è nelle monoposto un impianto di estinzione che inonda l’abitacolo di schiuma proteggendoli. Ickx ha la peggio, ma se la cava con qualche ustione che non gli impedisce di essere presente all’appuntamento successivo.

 

Si dice che la fortuna sia cieca, ma che la jella ci veda benissimo: a Montecarlo Ickx constata la veridicità di questo detto popolare quando passa con una ruota posteriore giusto sopra a una bottiglietta che rotola in pista. Il sobbalzo fa cedere il semiasse ed è un altro ritiro. A questo punto bisogna anche pensare a un secondo pilota che porti punti per la Coppa Costruttori, trofeo al quale Enzo Ferrari tiene moltissimo. Ci sono due candidati in lizza, l’italiano Ignazio Giunti e lo svizzero del Canton Ticino Gian Claudio (detto Clay) Regazzoni. Enzo Ferrari fa disputare un GP a ciascuno di loro, a turno. In Belgio tocca a Giunti che chiude quarto, in Olanda a Regazzoni che termina con uguale risultato. Alla fine la scelta ricadrà su Regazzoni. La 312 B, superati i malanni di gioventù, si dimostra veloce, affidabile e competitiva. La prima vittoria potrebbe arrivare già al GP di Germania a Hockenheim ma Ickx, in testa, si fa sorprendere da Rindt che lo supera con una staccata da brivido all’ultima chicane.

 

L’arrivo è concluso in volata con Rindt che precede Ickx per sì e no un metro. Il ferrarista, a fine gara, ammetterà di essere stato colto di sorpresa perché pensava che l’austriaco fosse più lontano. La vittoria è però nell’aria e giunge a Zeltweg, al GP d’Austria, dove la Ferrari fa una doppietta con Ickx e Regazzoni. Il bis arriva tre settimane dopo, a Monza, con Regazzoni; la folla è in delirio, del tutto dimentica che il giorno prima, nelle prove, è morto il primo rivale di Maranello quell’anno, Jochen Rindt. L’austriaco sarà campione del mondo postumo. Ma la 312 B ormai è l’auto più competitiva del lotto, come dimostrano due doppiette e due pole position ottenute negli ultimi tre GP della stagione nella trasferta americana, tanto che Ickx, autore di due vittorie su tre, avrebbe potuto addirittura superare Rindt. Tuttavia il campionato è stato perso dal belga con lo sciagurato arrivo di Hockenheim. Nella classifica piloti i due ferraristi conquistano le piazze d’onore, mentre in quella Costruttori solo sette punti dividono la Scuderia di Maranello dalla vincitrice Lotus.

1971

Problemi al retrotreno Il 1970 si è concluso con un crescendo di prestazioni che fa ben sperare per il 1971. La 312 B è stata veloce e affidabile e il V 12 di 180° è più potente, anche se più assetato, dei V8 Cosworth. La stampa è concorde nel pronosticare in Jacky Ickx il vincitore del mondiale 1971, ipotesi avvalorata dalle indiscrezioni sulla nuova 312 B2 che si dice abbia innovazioni significative. La vittoria di Mario Andretti al primo GP, in Sudafrica, ripetuta a breve distanza da un’altra in una gara non valida per il mondiale, il Questor Gran Prix sul circuito californiano di Ontario, pare confermare l’ipotesi. Ma la macchina vincente è ancora la 312 B del 1970, perché la nuova B2, portata in gara in Sudafrica da Clay Regazzoni, non ha mostrato il proprio potenziale per un incidente. Rispetto alla B, la B2 ha una linea a cuneo più accentuata, una carenatura dietro il roll-bar con funzione aerodinamica, e nuove sospensioni posteriori, con gli ammortizzatori in posizione superiore e orizzontale. Lo sviluppo del motore d’altro canto ha portato la potenza a 465 CV.

 

Per rivedere in pista la B2 bisogna attendere Montecarlo, perché an- che Maranello è colpita dagli scioperi dei metalmeccanici. L’inizio comunque è buono: Ickx nel Principato parte in prima fila a fianco di Jackie Stewart e giunge al traguardo al terzo posto. Al GP d’Olanda, a Zandvoort, il belga fa “hat-trick”: pole, vittoria e giro più veloce. La 312 B2 sembra mantenere le promesse, ma non andrebbe sottovalutato il fatto che si è corso sotto la pioggia e Ickx è specialista della guida con l’acqua, al pari delle gomme Firestone, che in queste condizioni si comportano assai meglio delle Goodyear. Proprio le gomme sono il punto dolente del 1971. E’ l’anno dei cambiamenti: le ruote posteriori passano da quindici a tredici pollici di diametro; inoltre si introducono le gomme lisce con fianco ribassato. Sono novità importanti, che generano uno squilibrio tra chi monta le gomme GoodYear e chi le Firestone, come la Ferrari.

 

Sulla 312 B2 si manifestano, con le slick, forti vibrazioni al posteriore che pregiudicano le prestazioni della macchina e rendono difficile ed affaticante la guida. Il fenomeno è comune, anche se meno marcato, ad altre monoposto gommate Firestone, mentre chi monta le GoodYear non ha di questi problemi. Si cerca la causa negli ammortizzatori, ma senza risultato. Dopo la vittoria di Zandvoort inizia un cammino difficile per la Ferrari, che non riesce ad esprimere quel potenziale che ci si attende da una vettura come la B2. C’è chi punta il dito contro il nuovo schema di sospensioni posteriori, chi propende per l’adozione delle gomme GoodYear, mentre altri ancora affermano che sarebbe stato più opportuno continuare con la collaudata e ancora competitiva 312 B del 1970, proseguendone sì lo sviluppo, ma senza cambiarne l’impostazione. A ciò si aggiungono problemi al motore, che in Francia cede sulla macchina di Ickx e in Inghilterra su entrambe.

 

La B2 non è però una macchina sbagliata, tutt’altro! E lo dimostra in Germania, con Ickx che conquista la prima fila accanto a Stewart. Ma perché si era sentita l’esigenza di cambiare lo schema delle sospensioni posteriori che non avevano mai manifestato problemi? La prima ragione era il legittimo miglioramento che tutti i progettisti cercano. La nuova sospensione, in teoria, era un passo avanti, tant’è vero che fu adottata, anni dopo, da molte monoposto della massima formula. Forse era all’epoca troppo avanzata per la qualità degli ammortizzatori e delle mescole degli pneumatici, ma di sicuro sbagliata non era. L’altro motivo era la necessità di unificare il motore per la F1 e per la Sport 312 PB. E questo comportava alcune modifiche, tra cui quella alla sospensione. Al Nürbürgring Ickx si ritira al secondo giro per uscita di pista, ma Regazzoni, partito terzo, sale sul podio dopo le Tyrrell del solito Stewart (che nel ’71 bisserà l’iride del ’69) e di Francois Cévert.

 

L’ultima parte della stagione è avara di soddisfazioni per gli appassionati del Cavallino Rampante. A Monza Ickx è in prima fila, ma è Regazzoni ad incantare gli spettatori con una partenza delle sue che lo porta, dalla quarta fila, a chiudere il primo giro in testa. Entrambi i ferraristi sono però destinati a non vedere la bandiera a scacchi per rottura del motore. Le due trasferte oltreoceano non offrono risultati concreti, salvo un acuto di Ickx con la vecchia 312 B (il belga si era rifiutato di pilotare la B2) che quasi vince a Watkins Glen: diciamo “quasi” perché Ickx deve abbandonare a dieci giri dal termine a causa del distacco dell’alternatore. A fine stagione si tirano le somme: dopo aver provato le gomme GoodYear, si decide di tornare per la stagione 1972 al collaudato schema di sospensioni della 312 B.

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