19 July 2014

Epoca, la Volvo P 1800

Un coupé era quello che serviva alla Casa svedese per smarcarsi dal cliché delle auto robuste ma poco affascinanti. In produzione per oltre un decennio ...

Epoca, la volvo p 1800

Al Salone di Bruxelles, nel gennaio 1960, la Volvo presentò il coupé granturismo P 1800. Il fatto destò curiosità perché la Casa svedese, poco avvezza alle auto sportive, aveva già esplorato quel mercato con la sfortunata spider P 1900. Ma la Casa voleva rinfrescarsi l’immagine, fatta di auto robuste, affidabili, ben curate nel montaggio e nell’attenzione alla qualità del viaggiare, ma certo non eccitanti da guidare. E in un mercato in espansione, la mancanza di sportività iniziava a farsi sentire. Quando, nel 1956, Gunnar Engellau divenne amministratore delegato, uno dei suoi obbiettivi fu di orientare il lavoro in questa direzione.

E qui veniva il difficile, perché una sportiva non può prescindere da una linea che ne dichiari le prestazioni. Il primo passo fu individuare il carrozziere al quale rivolgersi non soltanto per disegnare la vettura, ma anche per costruirla, dato che gli stabilimenti svedesi erano saturi. Dapprima fu interpellato Vignale, poi toccò a Ghia, che però era troppo legato alla Volkswagen. Helmer Petterson, un consulente della Volvo, aveva un figlio di nome Pelle (che sarebbe divenuto famoso come designer di scafi da regata) che aveva studiato come stilista in America e al quale il padre propose di dare forma alla futura sportiva. Quando sul tavolo di Engellau giunsero i bozzetti della carrozzeria Frua (nel frattempo interpellata) e quella di Pelle Petterson, Engellau preferì la seconda. Che fu comqunque rielaborata da Frua e divenne la P 1800 che i visitatori ammirarono al Salone di Bruxelles.

In Inghilterra

Scelto lo stile, restava da individuare il sito produttivo, dato che un nuovo stabilimento svedese era lungi dall’essere completato. La soluzione, visti anche i favorevoli dazi doganali, fu trovata in Scozia presso la Pressed Steel Co. Ltd, che sembrava ben attrezzata per produrre i lamierati. L’accordo con la britannica Jensen Motor Ltd, che si trovava in Inghilterra a West Bromwich, risolse il problema dell’assemblaggio e della verniciatura della P 1800, che così diventava più “inglese” che svedese (e fu un argomento pubblicitario per il mercato inglese) poiché altri importanti componenti erano fabbricati lì, come l’impianto elettrico Lucas, i cuscinetti di banco Vandervell, i carburatori S.U., l’overdrive Laycock de Normanville, che completava il cambio a quattro rapporti, i cerchi ruota Sankey e i freni Girling, anteriori a disco e servoassistiti.

L’avvio della produzione presso la Jensen (gli organi meccanici provenivano dalla Volvo), fu preceduto dalla costruzione di tre prototipi presso la Carrozzeria Frua, il primo dei quali, quello visto a Bruxelles, era stato visionato a Torino dallo stesso Engellau per essere spedito, nel mese di aprile del 1960, all’International Auto Show di New York. Con l’occasione il nome P 1800 divenne ufficiale, laddove la lettera P stava per “personvagn” (vettura ad uso privato) e 1800 la cilindrata (1780 cc per 100 Cv-SAE di potenza). Le dimensioni del quattro cilindri, tutto nuovo, erano assai generose, soprattutto nell’impianto di lubrificazione con radiatore -montato tra il filtro olio e il monoblocco- e nei cuscinetti di banco, adatti a un motore di cubatura doppia.

La stessa Volvo sottolineava nei comunicati stampa come il progetto avesse preso avvio pensando alle maggiori sollecitazioni dovute all’impiego sportivo e come il motore avesse superato con ottimi risultati le più impegnative prove di fatica. La prima P 1800 uscita dalla Jensen giunse in Svezia nel marzo del 1960, destinata a un’esposizione, seguita da un lotto di 250 esemplari. In questa fase emersero alcuni problemi qualitativi riguardanti l’assemblaggio delle lamiere e la verniciatura. Significava che il metro di giudizio dei controllori svedesi era più severo di quello in uso alla Pressed Steel e alla Jensen. Su questo punto il contenzioso con gli inglesi non fu mai del tutto risolto, tanto che la dirigenza Volvo, per prevenire un fiasco come quellodella P 1900, inviò stabilmente in Inghilterra un proprio ispettore. Intanto in Svezia fu aperto un primo reparto di produzione, ciò che permise di trasferire nel 1963 l’assemblaggio delle P 1800, pur conservando la Pressed Steel la produzione del lamierato. La Volvo, che si era impegnata a produrre presso la Jensen diecimila vetture, preferì rescindere il contratto pagando una penale, anche se finì comunque per mantenere a West Bromwich la produzione di alcuni componenti.

Stile italiano
La P 1800, intanto, iniziava a piacere. Piaceva agli americani che la premiarono per il design, anche se la Casa, nel comunicato stampa datato 17 maggio 1961, tacque l’apporto di Pelle Petterson e sottolineò invece l’opera di Frua, perché si sapeva che lo stile italiano era apprezzato e ciò dava un vantaggio in più. Piaceva per le doti stradali, tanto che fu impiegata come “pace-car” nel 1963 e 1964 all’autodromo di Sebring. Piaceva al mondo del cinema, in particolare a Roger Moore che se ne servì nella fortunata serie televisiva “Il Santo”. E fu la pubblicità più efficace.

Piaceva in Europa per l’abitacolo ricco ed elegante, per la bella linea, che finalmente prendeva le distanze dagli austeri canoni scandinavi, e per la strumentazione da sportiva che comprende tachimetro, contagiri, indicatore livello carburante, orologio, termometro acqua e olio e manometro olio. E c’erano pure le cinture di sicurezza, accessorio assai raro in quegli anni. Le doti stradali erano un riuscito compromesso tra le prestazioni richieste ad un coupé granturismo (la velocità massima si attestava tra i 155 e i 160 km/h, con accelerazione sui 400 metri in poco più di 18”) e il comfort che l’acquirente della P 1800 esigeva da una Volvo. La versione definitiva presentava alcune differenze rispetto ai prototipi di Frua. Erano stati eliminati i coprimozzo con finti raggi e il motivo a V al centro della calandra. I finestrini posteriori non erano più apribili, forse per i costi di industrializzazione ed erano stati modificati i paraurti. Altre modifiche erano visibili nell’arredamento interno.

MOTORE
L’obiettivo di produzione era di 7500 vetture l’anno, cifra raggiunta però soltanto tra il 1963 e il 1964 nello stabilimento di Göteborg. L’avvio della produzione in patria fu sottolineato con l’aggiunta della lettera S di Svezia alla sigla. Sul piano estetico si notavano alcuni aggiornamenti: nuovi coprimozzo mutuati dalla berlina Amazon e indicatori di direzione anteriori di colore arancione. All’interno i pannelli porta erano stati ridisegnati e i sedili rivestiti in finta pelle.

La vernice era ora del tipo sintetico e alcune varianti sul piano meccanico, tra le quali il nuovo albero a camme e il rapporto di compressione portato a 10:1, innalzavano la potenza a 108 Cv-SAE. Il regime di rotazione più elevato fu evidenziato con l’innalzamento della zona rossa del contagiri da 6000 a 6500. Nel tempo furono apportati altri aggiornamenti: ruote, calandra e paraurti privati dei caratteristici risvolti vero l’alto per diventare diritti e protetti da una fascia in gomma (quello posteriore meno avvolgente sui lati), sigla identificativa senza la lettera P, sedili anteriori e schienale posteriore abbattibile, diversa posizione del comando overdrive -spostato dal cruscotto al piantone di guida- e clacson più potente. Nel 1965 il motore, grazie a nuovi collettori, aumenta la potenza fino a 115 Cv-SAE per rispondere agli attacchi della concorrenza che puntava all’innalzamento delle prestazioni. La sicurezza e il comportamento stradale migliorano con il montaggio di un limitatore di frenata al retrotreno e di una nuova taratura delle sospensioni posteriori, dotate (come le anteriori) di snodi for-life.

AFFINAMENTI
A metà anni ‘60 la 1800 era un modello maturo. Le vendite erano in linea con le previsioni della Casa, nel 1966 la produzione totale superò quota 25.000, metà delle quali vendute oltreoceano. Adesso bisognava mantenere l’interesse sul modello: perciò, fu interessata la Carrozzeria Fissore per la realizzazione di una versione con coda fast-back, soluzione che negli Stati Uniti stava prendendo piede. La proposta di Fissore fu presentata al Salone di Torino del 1965 ma poi accantonata. Ci si limitò, nel 1967, a un semplice restyling, visibile nel nuovo profilo cromato lungo la fiancata, ora lineare e prolungato più indietro mentre prima era curvato verso l’alto all’altezza del finestrino posteriore. Per il mercato americano, che domandava più potenza, fu reso disponibile un kit comprendente una testa con rapporto di compressione di 11,1:1 e valvole più grandi con relativo albero a camme, per ricavare 135 Cv-SAE. Era un modo per assecondare le richieste dei clienti più sportivi, che usavano la 1800 anche in gara. Qualche soddisfazione era arrivata, come confermato dal secondo posto di classe alla 24 Ore di Daytona del 1967. Di qui in avanti, con qualche costante affinamento visibile nelle nuove maniglie porta esterne, nel nuovo volante con tre razze, nel piantone dello sterzo sdoppiato e in alcune migliorie interne, si arriva alla vera novità del motore due litri adottato nel ‘68, con 118 Cv-SAE e maggiore souplesse di marcia; la sigla del modello rimase inalterata e soltanto il logo “B20” sulla calandra dichiarava l’accresciuta cilindrata.

Questa due litri presentava importanti aggiornamenti. C’era il circuito frenante sdoppiato (in caso d’avaria la frenata era garantita su tre ruote), un ventilatore di raffreddamento del motore più silenzioso, una nuova frizione, un cambio rinforzato, un diverso rapporto al ponte e un carburatore Zenith-Stromberg, sostituito nell’agosto ’69 dall’iniezione elettronica Bosch (motore B 20 E), più adatta alle previste norme anti-inquinamento americane che avrebbero comportato, per le sole vetture destinate a quel mercato, una riduzione della potenza massima a 112 Cv-SAE (motore B 20 F). La modifica fu resa palese sostituendo la S finale della targhetta identificativa con una E, dal tedesco “Einspritz” che significa iniezione. Questa modifica comportò l’adozione di un nuovo albero a camme, di valvole di aspirazione più grandi e fu aumentato il rapporto di compressione a 10.5:1. Altre novità furono i freni a disco su tutte le ruote, ora con cerchi più larghi e in alluminio, i nuovi strumenti sul cruscotto con sedi meno profonde, la plancia rivestita in finto legno e le migliorie all’impianto di climatizzazione.

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