28 October 2015

Epoca: Innocenti Mini 90 N - 500 LS

Meccanica inglese, nuova “pelle” firmata Bertone. Questa, a metà anni ‘70 è l’interpretazione italiana della “scatola magica” di Issigonis. De Tomaso poi sposa la filosofia giapponese nei motori ...

Epoca: innocenti mini 90 n - 500 ls

Il Salone di Torino del 1974, dove è presentata la Mini disegnata da Bertone, è per la Innocenti il completamento di un percorso iniziato negli anni ’60, quando si fece l’accordo di licenza tra la fabbrica italiana e la britannica BMC per produrre a Lambrate la Morris Mini. All’inizio tutto era andato a gonfie vele, ma con il tempo e l’arrivo nel 1969 dell’Autobianchi A 112, si avvertiva l’esigenza di rinfrescare il modello che da dieci anni era sul mercato.

Luigi Innocenti (figlio del fondatore Ferdinando scomparso nel 1966), preso atto della situazione, nel 1969 incarica Bertone e Michelotti di studiare una nuova proposta. Due anni dopo, però, Luigi Innocenti decide di lasciare e cede il pacchetto azionario alla BMC divenuta nel frattempo British Leyland. Dall’Inghilterra parte per Lambrate Geoffrey Robinson, a cui la proposta di Bertone piace. Ma bisogna fare i conti con le risorse disponibili e così Robinson accantona lo studio italiano per un motore da 750 cc e un nuovo telaio, ideati per svincolarsi dalla meccanica inglese. La nuova Mini nasce perciò (la progettazione ha inizio nel 1972) sulla base della vecchia, modificata in qualche particolare e vestita con la carrozzeria proposta da Bertone. Le proporzioni sono le stesse del vecchio modello al pari delle prerogative di auto agile e scattante, anche se l’abitabilità (pur leggermente aumentata rispetto alla Mini inglese) inizia a essere… stretta per le aspettative del mercato. Declinata nelle varianti 90, con motore di 998 cc, e 120 con cilindrata 1275 cc, la nuova Mini è fatta per chi vuole un’auto piccola e pratica, ma fuori dagli schemi. La 90 è il modello base, mentre la 120 reinterpreta la Mini Cooper, anche se l’accento è posto più sull’eleganza che sulla sportività, frutto di una scelta in linea con i cambiamenti avvenuti nel mercato dopo la crisi energetica.

All’esterno soltanto alcuni dettagli distinguono le due versioni: all’interno, invece, la 120 è allestita con dotazioni superiori, alcune delle quali, come la cappelliera, i sedili in panno e il lunotto termico, sono ottenibili nella 90 con sovrapprezzo. A richiesta, per entrambe, gli appoggiatesta, per la 120 i vetri azzurrati. De Tomaso Alla presentazione la Mini di Bertone è accolta con favore, anche se non manca qualche perplessità da parte degli affezionati alla vecchia Mini britannica. La linea rompe con gli schemi precedenti, ma è moderna, pulita, semplice ed elegante, innovativa con il muso piatto, i fari quadrati inseriti nella calandra a righe sottili e un rilievo che funge da spoiler sul bordo del padiglione. In più ha il portellone, soluzione che dona una praticità prima sconosciuta. Malgrado le linee tese e squadrate, il coefficiente di forma (il Cx) è più favorevole rispetto alla vecchia Mini, passando da 0,42 a 0,41.

Della vecchia Mini mantiene le sospensioni rigide, ma il comfort migliora grazie al montaggio elastico dei supporti di sospensioni e motore. Il terreno ideale della Mini resta la città, per lo scatto brillante e le dimensioni contenute, insieme alle strade di montagna, dove ci si può divertire facendo valere l’agilità e la tenuta di strada. Le prestazioni sono allineate alle precedenti Mini, con un miglioramento, più marcato nella “120”, dell’elasticità. Sono inoltre auto parsimoniose, in grado di accontentare gli sportivi senza perdere di vista il portafoglio, argomento forte in anni in cui il consumo di benzina ha assunto un’importanza pari alle prestazioni. Ma quali sono i clienti di queste nuove Mini? Sono persone che desiderano una ventata di dinamicità al volante di qualcosa di diverso, anche con colori vivaci. L’avvio della produzione è rallentato dalle turbolenze sindacali che attanagliano l’industria in quegli anni, tanto che, svincolatasi la British Leyland a sua volta in difficoltà, nel 1976 tocca ad Alejandro De Tomaso gestire la Innocenti (la ragione sociale diviene Nuova Innocenti Spa) attraverso la Gepi, società a partecipazione statale creata per evitare il ridimensionamento della fabbrica e la perdita di tanti posti di lavoro.

De Tomaso, visto il potenziale della 120, pensa di rendere più accattivante la Mini derivandone una versione sportiva che chiama Mini De Tomaso. Il manager argentino ricava poi ulteriori varianti: la 90, nel 1978, si divide in N (che è la vecchia 90) e SL (con tergilunotto, paraurti cromati, poggiatesta e lunotto termico), mentre la 120, che diventa SL, è ora dotata di finestrini posteriori apribili. La 120 uscirà di listino nel 1981, mentre due anni dopo toccherà alla 90 in tutte le versioni. Nel 1980 arriva sul mercato la Mini Mille (fino al 1983), caratterizzato da numerose novità estetiche, tra cui il frontale con la griglia inclinata all’indietro, decorata con righe orizzontali più grosse e priva del listello centrale cromato, i gruppi ottici, il fascione laterale, i paraurti avvolgenti e la targa posteriore al centro del paraurti. Novità anche all’interno: plancia, pannelli porta, rivestimenti, strumenti, volante, poggiatesta, lunotto termico, orologio digitale, retrovisore esterno regolabile dall’abitacolo e lava-tergi lunotto le principali. La macchina è però disponibile nella sola tinta beige chiaro.Giappone La fine della collaborazione con la British Leyland (la fornitura dei motori inglesi cessa al termine del 1981) pone il problema di sostituire il quattro cilindri britannico, aspetto tecnico a cui si aggiunge un risvolto commerciale, poiché il nome Mini è di proprietà inglese. E quindi? Il tutto capita proprio quando, superate le controversie e decollata la produzione dopo tanti scioperi, la Mini realizza finalmente numeri di vendita in linea con le attese.

De Tomaso trova la soluzione stipulando, nel 1981, un accordo con la giapponese Daihatsu per la fornitura del tre cilindri di 993 cc da 52 Cv, dopo aver vagliato anche l’unità Suzuki, sempre a tre cilindri ma tutta in alluminio. Il Daihatsu ha alcune soluzioni ritenute migliori, tra cui un albero contro-rotante di equilibratura che lo rende più dolce e rotondo nel funzionamento, malgrado sia più difficile da inserire nel vano motore della Mini. La nuova Mini, battezzata “3 Cilindri”, che della Mille riprende l’allestimento, è una vettura profondamente rivista nella tecnica: motore, sospensioni, materiali sono nuovi per contenere i costi di produzione e alleggerire senza perdere robustezza. Perciò è impiegato l’alluminio in alcune parti delle sospensioni, accanto a nuovi acciai più resistenti, che permettono di usare lamiere più sottili e leggere. La 3 Cilindri pesa oltre 50 kg meno ed è più affidabile, tanto che i costi per le riparazioni in garanzia scendono drasticamente. E’ assai più brillante e sobria, quindi ancora più adatta all’uso cittadino, ed è questo l’aspetto che orienta, una volta scartata la proposta di Bertone per una versione a passo lungo a cinque porte, l’evoluzione della gamma.

La prima metà degli anni ‘80 vede diffondersi la motorizzazione diesel, favorita dal ridotto prezzo alla pompa del gasolio. Questo fatto contagia persino un modello economico come la Mini la cui gamma si arricchisce, nel 1984, della Minidiesel. Il motore Daihatsu a gasolio da 37 Cv è strutturalmente identico alla versione a benzina, salvo la testa e il monoblocco, che saranno adottati dalle successive versioni a benzina da 993 cc. Peso e dimensioni contenute, cilindrata ridotta e buona efficienza meccanica fanno miracoli in termini di consumo, così questa piccola diesel si rivela straordinariamente parsimoniosa. Non è difficile percorrere 30 km con un litro di gasolio. Ed è anche sufficientemente vivace, pur se rumorosa.

Nel 1984 è presentata anche la Minimatic, 993 cc da 51 Cv con cambio semiautomatico Daimatic (studiato dalla Daihatsu) a due rapporti. La differenza da una trasmissione interamente automatica sta nel fatto che i rapporti sono selezionate da chi guida anziché da un automatismo. Dal 1985 si assisterà a un allargamento della gamma verso cilindrate ancora più basse, per sopravvivere alla concorrenza della Fiat Panda che, pur essenziale, è ben più spaziosa della Mini, la quale si trova anche stretta tra la Fiat 126, concorrente per dimensioni, e l’Autobianchi A112, rivale per immagine ed impostazione. La risposta passa attraverso un bicilindrico di 617 cc da 31 Cv, destinato alla nuova Mini 650. Questo motore è derivato dalla Daihatsu Cuore ed ha la particolarità di avere due contralberi di equilibratura. Con ciò la piccola Innocenti acquista un’identità da moderna city- car.

Nel 1986 la gamma è modificata: l’esigenza di migliorare l’abitabilità riporta in auge la precedente proposta “lunga” di Bertone: le porte restano tre, ma il passo aumenta di ben 160 mm e la carrozzeria di circa 220. Vista da fuori la modifica non si nota molto, ma il maggior spazio in lunghezza rende i posti dietro un po’ più comodi. La 650 conserva il vecchio passo e nel 1987 le si affianca, per poi sostituirla un anno dopo, una di cilindrata ancora inferiore (548 cc e pari potenza, ma con tre cilindri) chiamata Mini 500 e prodotta negli allestimenti L ed LS.

Pur tra periodi di alterna fortuna dovuti alle vicissitudini aziendali, la Mini di Bertone ha riscosso un buon favore di pubblico. Non era facile reinterpretare ciò che Alec Issigonis nel 1959 aveva creato, ma l’estro e il mestiere di Bertone hanno donato una personalità inconfondibile a un concetto di utilitaria che ha fatto scuola.

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